one time

One eye goes laughing,
One eye goes crying
Through the trials and trying of one life
One hand is tied,
One step gets behind
In one breath we’re dying

I’ve been waiting for the sun to come up
Waiting for the showers to stop
Waiting for the penny to drop
One time
And I’ve been standing in a cloud of plans
Standing on the shifting sands
Hoping for an open hand
One time

Biglietto di Natale

sono sempre affezionato al mio blog. e alle persone che in questi cinque anni lo hanno frequentato. e poi, quando sento certa musica, non so perché (anzi, lo so benissimo) mi viene di scriverne e di condividerla. i verve sono stati un fuoco breve, ma intenso. da wigan, nel nordovest dell’inghilterra, il mio amato nordovest. dieci anni fa. questo è uno dei miei pezzi preferiti. è la mia xmas card per voi. se passate ancora. chiudete gli occhi come ashcroft. vi auguro di vedere quello che vede lui.

looking through the red box of your memories

auguri



moris

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quando entro nel bar di moris, lui nemmeno si volta. sa chi sono e cosa voglio.e così con tutti i suoi clienti, che ti assicuro, sono un bel po’.  le donne (di cui ha una maledetta, pessima opinione) le chiama nani, se le conosce un po’. mi fa il caffè macchiato la mattina, prima che vada al lavoro, o il campari soda con ghiaccio e limone, la domenica prima di pranzo. gli stuzzichini sono pezzetti di gnocco fritto, che prendo direttamente da un vaso di rame, dietro il banco. rino, il siciliano che mi vende mozzarelle, mi ha offerto il caffè.  è passato vicino al bar, tra il dehors e il bar in bici, e mi ha salutato mentre bevevo l’ape. moris l’ha rimproverato, e lui gli ha risposto che doveva salutare un amico. il fornaio ieri mi ha salutato per strada, e mi ha chiesto”come va?”. una volta lo ascoltai mentre parlava di casualità e causalità, e gli menzionai la storia dell’orologiaio cieco. all’altro bar, dove vado quando moris è chiuso per turno, la madre e la figlia mi hanno fatto notare che sembro sempre arrabbiato la mattina. e mi servono il caffè macchiato con le decorazioni di cioccolato. nel negozio bangla, dal quale mi servo quando devo comprare le birre fuori orario, il proprietario mi chiama ingegnere, anche se sono un fisico, un mestiere incomprensibile ai più. sta facendo il ramadan, povero, o beato? lui e la moglie sono internet dipendenti, guardano bollywood su youtube. i filippini si siedono sulle panchine la sera e chiacchierano, a voce alta, ridono e sono comunità, come noi non ci sogneremmo mai di essere. la domenica mattina i vicini messicani, o venezuelani, o che so io, sentono questi loro ritmi a volume alto, mentre il profumo della loro cucina si sparge per i cortili. a due passi, altre cucine, dalle più alte con tre stelle michelin alle semplici trattorie lavorano, incessantemente. il sushi è a due passi, come il kebab, la pizza e i tortelli estensi. cucina, suoni, persone. che riconosco, saluto, e rispetto. non so, forse vivo in un’isola incantata. ma la gente è gente, e i loro colori, odori, sorrisi riempiono la mia vita, faticosa come quelle di tutti. in questo centro storico così caldo d’estate, così vivo tutto l’anno.

what about cherries

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le tiri, una dietro l’altra. le assapori, le mangi con le mani, dall’alto. dal gambo in giù. il dolce, la durezza (duroni, no?), il rosso che ti macchia la camicia e il cuore. indelebile, incontrovertibile, senza compromessi. il nocciolo lo sputi, sul piatto, per terra. dura parte delle nostre vite così aspre. amarognole. niente ciliegie senza noccioli. non romperti i denti,  non come me li sono rotti io. giugno è andato, ultimi duroni. ultime ciliegie. davanti il sole troppo forte. red is your colour. forever. soon I’m gone, for you. too soon, for me.


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oz

 

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aspetto il tuo bacio  con le mani unite e la testa inclinata su un lato. dorothy  senza trecce, occhi blu kansas sky e fianchi larghi di tre figli. mentre sparecchi la tavola del party di natale, cantando qualcosa nella tua testa. forse i lampi ritornano ogni tanto, e la strega dell’ovest agita ancora le calze a righe sotto la casa.  il leone ha messo su barba e occhiali, ma ha ritrovato il cuore, e mi ha mormorato di andare a oz, mentre ero preso dalla solita chiamata senza fili. le quattro stagioni tornano da me in un giorno, proprio come sentii a hmv, la prima volta, sotto l’ombra del liver bird.  oz è  lontana solo due occhi chiusi e un tocco, una mano sfiorata sotto il vischio. di un natale alieno, forse  non è nemmeno tuo. scommetterei il mio bracciale celtico che la strada di polvere passa  vicino al tuo desiderio di fine anno, e che vuoi ancora il tornado. ricevo il tuo bacio sulla guancia, e mi allontano dentro il grigio, cercando di scorgere davanti a me il deserto rosso acido.

 

 

 

quattro

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quattro anni fa incominciai a scrivere sul blog. l’immagine non è certo per celebrare questo anniversario, che non interessa a nessuno, nemmeno a me. eppure mi sento di scrivere qualcosa, mi sforzo, e mi interrogo, come quando la spinta della noia  mi fece digitare due righe, allora, in un laboratorio pieno di rumori elettronici e meccanici.
 
di tutto il disastro di mumbai, di questo episodio fuori dal mondo cerebrale che mi costruisco continuamente, mi hanno colpito gli uccelli (corvi?) che volano intorno alle fiamme dell’hotel. come se fosse una natura,  un universo ferino, predatore senza colpa, senza rispetto e al tempo stesso sanguinosamente innocente. indifferente alle storie singole di morti e violenze irragionevoli che passano come treni orrorifici nella notte buia e silenziosa. c’è la luce, la fiamma della ragione in tutto ciò? è la torcia portata dal padre dello sceriffo, nel sogno finale di non è un paese per vecchi. credo sia così. i fiori durano poco. il loro profumo rimane nelle  nostre narici, e per un bizzarro processo chimico si trasforma in memoria. che ci fa sopravvivere nel treno, se possiamo, o mentre lo guardiamo sferragliare dalla banchina della stazione solitaria di frontiera, durante l’attesa che è la nostra vita.   

wave (dedicato all’Onda)

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loro (io?) scrivono la canzone del maggio di de andré sulla stoffa strappata. loro (io?) vedono l’arcobaleno. loro (io?) camminano su marmi antichi, arrivati fin qui nella linea spazio-tempo. loro (io) sono tatuati. e noi sentiamo questo, a palla dal furgoncino bianco:
 
 
We’ll be singing
When we’re winning
We’ll be singing

I get knocked down
But I get up again
You’re never going to
Keep me down

Pissing the night away
Pissing the night away

He drinks a whisky drink
He drinks a vodka drink
He drinks a lager drink
He drinks a cider drink
He sings the songs that
Remind him
Of the good times
He sings the songs that
Remind him
Of the better times:

Oh danny boy
Danny boy
Danny boy…

I get knocked down
But I get up again
You’re never going to
Keep me down

Pissing the night away
Pissing the night away

He drinks a whisky drink
He drinks a vodka drink
He drinks a lager drink
He drinks a cider drink
He sings the songs that
Remind him
Of the good times
He sings the songs that
Remind him
Of the better times:

Don’t cry for me
Next door neighbour…

I get knocked down
But I get up again
You’re never going to
Keep me down

We’ll be singing
When we’re winning
We’ll be singing

 
 
 
 
 
 

cincinnato

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Personaggio romano dei primordi della Repubblica, famoso per la semplicità e l’austerità dei costumi (V sec. a.C.). (Il nome deriva dal latino cincinnus e significa riccioluto.)

Le vicende della sua vita furono tramandate in una luce di leggenda: nel 460 a.C. egli avrebbe ricevuto la nomina a console portatagli dai littori mentre come modesto contadino arava il suo campicello; eletto dittatore nel 458 per soccorrere il console Minucio assediato dagli Equi, dopo avere sbaragliato i nemici e riportato il trionfo, a sedici giorni dalla nomina rinunciò alla carica per ritornare alla semplice vita di campagna.

ovviamente non fu così. ma a me piace pensare che la vita sia leggenda. a me piace credere che fu come la mia maestra rita, bellissima, me lo spiegò. non so se sono morale, come mi è stato scritto. di sicuro vorrei esserlo. e mostrare il mio tatuaggio alla brezza, spogliato della toga, nel tramonto di marzo della via appia. solo.

 

più duri sono…

 

 

come è certo che splende il sole
mi prenderò quel che è mio
più sono duri
più forte cadono
tutti quanti
più sono duri
più forte cadono
tutti quanti

non crediate che la vostra vita sia di qualcun altro. non crediate che il gioco sia sempre truccato per i più forti, i più ricchi, i più belli. non è vero. semplice. basta aprire gli occhi. basta spegnere gli schermi. basta guardare. il re è nudo, ma non se ne accorge. vidi questo film trent’anni fa. e oggi, PROPRIO OGGI, l’ho ricordato. sun on u.

time to go to the tatami, practising the art of judo. ain’t it, mate?

se brucia non muori

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Adàgiati sul divano
    al fuoco freddo blu
        il braccio steso
            sullo schienale
        riflessi del globo
    che dalla stazione
spaziale
    internazionale
        sembra un miracolo
    e dentro
                               DENTRO
    brucia
di rivolte non sopite
    braci che aspettano
                               BENZINA
    per divampare
dietro il sorriso

    dell’anchorman d’argento
                               BRUCIA
se brucia non muori.
 

lonely albert

Albert Einstein pubblicò la teoria della Relatività Ristretta nel 1905, a 26 anni. A 36, nel 1915, pubblicò la teoria della Relatività Generale. Ricevette però il premio Nobel nel  1921 per un altro suo contributo alla scienza, e cioé per l’interpretazione dell’effetto fotoelettrico. Le cellule fotoelettriche sono presenti in molti dispositivi di uso corrente. La luce colpisce un certo materiale, e si genera una corrente elettrica. La spiegazione di questo effetto risiede nella fisica quantistica. La luce è composta da corpuscoli detti fotoni, che hanno una determinata energia, legata alla frequenza (cioè al colore) della luce stessa. La fisica quantistica dà una visione del mondo completamente diversa da quella deterministica, diciamo così, della fisica classica, ed è basata sull’indeterminazione, e sulla probabilità. Non si può mai prevedere in modo assolutamente esatto come evolverà un certo fenomeno. Se ne può solo calcolare la probabilità. Einstein contribuì a questa nuova visione del mondo, con il suo lavoro sull’effetto fotoelettrico, ma ne rifiutò le conseguenze filosofiche. Sua è la celebre frase “Dio non gioca a dadi”, e spese gli ultimi vent’anni della sua vita per trovare una teoria più completa di carattere deterministico. Una teoria del tutto, bella come potevano essere quelle relativistiche. Ma Einstein fallì in questo suo sforzo epico. La fisica quantistica funziona, eccome.  La scienza, la tecnologia e l’industria l’hanno accettata per quello che è, e la applicano felicemente. I nostri dispositivi elettronici (PC, televisioni, gameboy etc.) ne sono la testimonianza più concreta. Certe volte ci si convince che il mondo, che le persone non possano andare in una certa direzione. Ma loro ci vanno, e non c’è niente da fare, tutto funziona lo stesso. Si rimane seduti, a contemplare quella che dovrebbe essere una catastrofe, e non lo è. Non ci resta che sorridere, e magari suonare il violino, come faceva Albert, anche se una coda del grande dolore che abbiamo provato rimane sempre. Ma l’abbraccio, l’amore per noi stessi e per chi prende strade diverse non deve mai mancare. O forse basta il semplice fair play.

 

 

mersey beat

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dall’alto del secondo piano del double deck vedo una ragazza caraibica fasciata in un costume rosso, le ali d’angelo sulle spalle.  cammina per Katherine Street, nella sera ancora lucente. altre persone,  bionde nere asiatiche  si dirigono da qualche parte, vestite di colori  così distanti dai dintorni. scendo incuriosito. e sento i tamburi.  il battito del cuore di una città che si dimentica di essere nordovest e vuole pulsare e vivere in mondi diversi.  un carnevale brasiliano la inonda, la permea e la seduce. tra i muri di mattoni rosso scuro,  tra i pub dalle luci gialle sotto il cielo limpido, sfilano le lingue e i colori di un acquario tropicale. mentre il tuono ritmico dei tamburi delle scuole di samba rimbalza tra i draghi dorati  della porta di chinatown. noi non siamo di nessun posto, come l’aria di questo sabato d’agosto del mersey beat.

grande sole duro

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sembra un bar nuovo. san lorenzo piena di graffiti cani e loro merde macchine muri scrostati marciapiedi sconnessi. i vecchi giovani der mejo si incontrano alle otto di sera mentre siedo al tavolo, esausto dall’ultima sessione del congresso.  uno suona la fisarmonica. l’ultimo di loro arriva in scooterone da fregene o fiumicino, brillantino all’orecchio con i radi capelli grigi, corredo alla faccia gonfia. ce manca ‘na cantante, dice alla ragazza che passa di fretta. i tavolini si riempiono, una donna in canotta nera mi chiede una sigaretta. la fisarmonica è quella dei 50, il film è quello di fellini. mentre il grande sole duro ha smesso di battere, solo per stasera.

i due serpenti macchine scorrono uno accanto all’altro, stessa direzione verso opposto. gli occhi bianchi e la coda rossa. li vedi e ne sei parte. verso il mare sulla cristocolombo, le colline così los angeles sono nere. i pini della strada sembrano palme, quando è buio. ma i pozzi di petrolio sopra sepulveda blvd non sono questi vermi di cemento in posizione  eretta.

cornacchia a castro pretorio a mezzogiorno, la vedo solo un attimo. il grande sole duro batte, sulla grande gente nella grande dura roma.  vado verso nord, cercando di ricordare che questa è casa mia. così bianca d’estate da ferire gli occhi.

there’s a big
a big hard sun
beating on the big people
in the big hard world
 

tattoo

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il ragazzo si avvicina con la macchina degli aghi. non voglio vedere, dico, un po’ per scherzo, un po’ sul serio. lui si mette a ridere, incomincia. non posso vedere, in realtà: è sulla spalla destra. sento il calore, quel piccolo dolore così insistente, il rumore elettrico che copre la musica. sudo dalle ascelle, chiacchieriamo del più e del meno. il rumore insiste, il cerchio prima, poi i raggi, sono dodici. li conto. dovrebbero essere simmetrici, ma uno è stato invertito. colpa dei miei innumerevoli nei, da evitare nel disegno. le simmetrie rotte, in realtà, sono importanti, nella fisica. grazie a loro, alle simmetrie che non ci sono più, esistiamo e respiriamo. è una cerimonia, difficile descriverla. forse è proprio l’atto che ha importanza, più del risultato, che si può vedere solo in alcune particolari circostanze. nascosto dai vestiti, è lì. è mio. l’ho scelto io. e nessun altro. è stato bello farlo, bello soffrire. bello vederlo subito dopo. chi non lo fa, non lo capisce. e così è per gli scritti che leggo ogni giorno. parole senza volto, vite non vissute da me, ma così pulsanti, presenti, nel mio caffè davanti ai pixel luminosi. nina, aka, noti, honey, judith, les, sette, lara, ana, daniel, egidio, angel, sismor, cleopa, jed, mari, bill, limi, zoe, fenila, tigra, divago… quanto ho imparato, da voi? chi non lo fa, non lo capisce. 

 

seven colours: orange

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quanto manca alla chiusura degli impianti. quanto. c’è ancora tempo per risalire sul boè,  su piz la jla, su porta vescovo, sulla marmolada e scendere, nel sole arancio, con la brezza della primavera che piano piano si trasforma in lupo che ti morde sulla faccia. addio nell’ultima pista. la neve un po’ sfatta, nessuno intorno e dentro. questi sci carving fanno miracoli, giri come niente e ti senti stenmark, anche se è solo un’illusione di consumo. basta un pezzo ghiacciato, una cunetta un po’ alta, un cumulo di neve stanca e lì ti disunisci, ti pianti, sbuffi, perdi il ritmo. sorridi stretto, devi tenerli uniti, ‘sti cazzo di sci, devi curvare bene, devi piegare le gambe. anche se alle montagne rosa non frega niente. perché l’ultima deve essere come la prima, come sempre. negli occhi, le lacrime di freddo. sulla testa arriveranno stelle.
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seven colours: blue

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kata guruma in giapponese significa rotazione sulle spalle, ed è uno dei colpi più spettacolari del judo. presuppone che l’avversario si sbilanci in avanti, lo si carica sulle  spalle e lo si proietta facendogli compiere una rotazione su se stesso. la tecnica deve essere eseguita col minimo sforzo possibile, bisogna stendere le braccia, che prendono rispettivamente  un braccio e una gamba di uke (l’avversario). è molto difficile durante un combattimento, ma non impossibile da eseguire. come tutte le tecniche del judo, l’importante è cogliere l’attimo, il momento in cui uke  ha un punto debole nel suo equilibrio, ed eseguire alla perfezione i movimenti. le rotazioni, i movimenti circolari sono importantissimi in questa arte marziale. dal punto di vista fisico, fare compiere rotazioni ad un corpo intorno al suo baricentro costa molto meno sforzo  che spingere o tirare. è una conseguenza semplice delle leggi della meccanica, sulla quale si basa anche il funzionamento delle leve, delle pulegge, delle ruote e via andare. l’esecuzione di una tecnica in judo presuppone concentrazione, colpo d’occhio, e disciplina. sì, disciplina. interiore, soprattutto. nella pratica, nella pazienza delle ripetizioni durante l’allenamento, nel rispetto di sè e dell’avversario. do (seconda parola di judo) vuol dire via, ma anche arte. il mio vecchio maestro era proprietario di una palestra in una borgata, piena di problemi come potevano essere certe zone di roma negli anni ’70. microcriminalità, violenza e povertà (più morale che materiale) impregnavano un’aria plumbea, sotto un cielo mite. e lui, oltre ad insegnare judo, dipingeva. proprio come yves klein, artista totale degli anni ’50 e cintura nera quarto dan, ritratto in questa foto mentre esegue il kata guruma. il blu di yves klein è forse il colore migliore, misto di purezza e nostalgia per rappresentare le mie sensazioni di fronte allo sport di tanti anni, in cui non ho mai eccelso, ma che rimane come punto cardine nella mia educazione e nella mia attitudine alla vita.
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the singular adventures of w-2

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non ho avuto una vita bohemienne, niente genio e sregolatezza. il metodo della mia professione impedisce gli eccessi.  eppure intensa, sì, fortunata, anche se la fortuna è definizione bastarda. e gli occhi ce li ho avuti, per vedere, non ho narcotizzato niente, non sono andato avanti guardando il marciapiede.  mentre la luce usciva dalle macchine,  mentre i numeri riempivano i  computer, e le ipotesi, le conclusioni, i risultati, cadevano come neve di natale. respiravo. e sentivo l’aria della rive droite intersecarsi con quella della rive gauche. in pochi mesi, catapultato tra i NATO boys, a prevedere il tempo e parlarne ai piloti  di caccia sgangherati nascosti, quasi, nel profondo nordest, e vedere la nightlife  di Ku’damn. le città mi sono entrate nella testa, nelle ossa, nella pompa del sangue. è una avventura singolare, educazione sentimentale. merci, dominique, occhi cerulei alsaziani, vissuti nei fuochi artificiali del 14 luglio. e grazie ai piloti NATO (no, non mi piace la guerra, ma voi eravate voi) di passaggio ad istrana, come uccelli migratori. grazie a quella ragazza di kiel conosciuta a wannsee, di cui ho scordato il nome. lo scrisse sulla sabbia, e la sabbia, si sa, dimentica. mai stato buono per i nomi, per le facce e per i numeri, sì.

Paris, Istrana, West Berlin, 1985-1987

changes of clothes and summer showers
like changing the guard it only lasts for hours,
wondering what and where did it go
crying over nothing worth crying for

homeward bound

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ad agosto ho un appuntamento con la mia storia personale. dovrò presentare i risultati del mio lavoro più recente ad un congresso internazionale. proprio qui. in un’aula dove ho imparato l’ABC della fisica quantistica. l’ho scoperto poco fa. sono anni che non vado più nella mia Alma Mater. e quindi, è un cerchio che si chiude. i clash non sono mai morti. qui mi dettero la cassetta di london calling. ho ancora i quaderni degli appunti di quei corsi. scritti con penne rosse, nere, blu, verdi. zeppi di formule, tutte conseguenti. da 1 a 2 a 3 etc. le logiche, i ragionamenti, i disegnini. e le battute pregne di quell’humour un po’ romano, un po’ anglosassone che permeava i discorsi degli studenti e dei (grandissimi) professori. trovo conforto in tutto ciò. nel momento forse più difficile della mia strana vita, piena di città e fatiche diverse, vado a casa. 
 
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perdere

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la pioggia della domenica pomeriggio, i portici umidi sopra le persone a spasso. ho da prendere le sigarette della domenica sera. sconfitte da collezionare come piccole perle acuminate. i reds perdono la champions, i lupi  disfano scudetti, noi  smarriamo patrimoni arraffati da un clown ridanciano che acquista modelle e ne fa tribune. si perde più che si vince, sempre. è la logica del gioco, ma le esistenze sono traiettorie, curve senza interruzioni nello spazio tempo. è l’energia e la sua legge di conservazione, forse che determina le sconfitte? vivere, tutto sommato, non è una scommessa, mai, se lo si pensa, si ha già perso. in  autostrada, col sole rosso alle spalle, il mare avanti.  avanti, perché come nello sport, non ha mai senso girarsi indietro.
 
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senza, dopo

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nel giro di un anno avevano ripreso ad avvicinarsi. gli uccelli di cernobil erano scomparsi nella tempesta di fuoco quando era esploso il reattore numero 4.

orsi tibetani e altre specie in via d’estinzione ripopolano  la zona smilitarizzata tra corea del nord e corea del sud. pesci nuotano nelle acque dell’atollo johnston, già poligono nucleare e  inceneritore di armi chimiche. piante ricoprono villaggi e città abbandonate per catastrofi, o per scelta.  senza di noi, l’acqua scorre e si insinua nelle case deserte, mentre la vita ramifica, trasmuta, perde e vince incessantemente nel gioco dell’evoluzione.
senza. nei nostri momenti peggiori, nelle perdite, noi pensiamo al senza, ma non al dopo.
il dopo arriva inaspettato e suona il campanello, come un postino che ci porta un pacco regalo.  magari ci canta anche una canzone.

fuori dalla porta, il sole aspetta ancora a diventare una gigante rossa.

 

numeri

 

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undici numeri dopo molti mesi di calcoli al computer. li ho trovati, e li ho scritti sul quaderno. sono distanze tra diversi atomi in un cristallo. i reds hanno perso la semifinale, ma non sono mai morti. c’è sempre una possibilità, sempre un’alternativa, sempre un dopo. sempre stato bravo, ma mai morso. mai affondato le mani. voglio sentire una brezza di mare, un alito di città straniera. e la sentirò.  prenderò esempio dai miei amati reds. per adesso, la domenica mattina. nico, sei tu.

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*

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ad un certo punto i narcisi di sefton park spariscono. e con loro va il freddo residuo. rimane solo verde intenso,  nell’indefinita nuova stagione inglese. la pioggia diventa più soffice, il sole è più vivido. luce intensa, nel vento del mersey che si stempera. il tempo dei narcisi è breve. forse è giusto così. ma è un forse masticato e sputato. con occhi spalancati, mano al petto e una punta di dolore.
 
Narciso parole di burro
nascondono proverbiale egoismo nelle intenzioni

 

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tornerete, oh sì.

At the end of the day…

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...what’ the fuss about it? venere emerge dall’acqua e mi chiede: qual è il problema?  sole in alto, sci ai piedi. o acqua tiepida alle caviglie. meltemi soffia, daiquiri sul molo. formule sulla scrivania, piccoli oggetti da studiare. il fuck se ne va, il futuro ora, il mai che non esiste. never say never, forever, I like it more. il bengalese sorride e mi dà il resto, mentre vede bollywood al computer della cassa.  e stanlio e ollio mi fanno ancora ridere. ciao.
 
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25

 

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penso non ci sia molto da scrivere. solo fanculo. come dice lui nel film. mentre le rovine delle torri sono rimosse, i fari sparano verso il cielo, il cane a spasso annusa il dolore e la paura. occhi fissi, vite cambiate che non cambiano mai. fanculo anime belle come me. fanculo opportunisti falsi e bigotti. à la vache.

 

 

4 elements: air

823e1e1692f8a9cc712097e935b8e91b.jpgla terra girò per avvicinarci


girò su se stessa e dentro di noi


fino ad unirci finalmente in questo sogno

Paul recita questi versi a Cristina per affascinarla. è un matematico, e cerca forse la spiegazione di qualcosa. il caso ha voluto che lui vivesse ed il marito di Cristina morisse. perché è successo? 21 grammi escono dal corpo di una persona alla sua fine. non so se l’affermazione data nel film è esatta, e poi, cosa possono essere? aria dai polmoni, probabilmente durante l’ultimo rantolo. acqua, molecole organiche nel respiro. rilasciate in atmosfera, le molecole si mescolano, urtano ed interagiscono con le altre. l’acqua, condensata in minuscole goccioline, viene trascinata dai moti convettivi, su, su, fino a formare le  nuvole. le nuvole vengono trasportate dalle correnti in quota, formano le perturbazioni, fronti freddi, caldi, viaggiano su terra e mare e piangono, silenziosamente o con grande strepito. piogge e tempeste, mentre l’aria dei  21 grammi di quella persona si mescola anche con il respiro di altre, morte e vive. tutto regolato da leggi dove entra il caos, così affascinante e così inaccettabile, frustrante per me. che non capisco perché certe cose debbano succedere ed altre no. che non mi rassegno, anche quando dovrei, e so che dovrei, per me e per gli altri. tutto intrecciato, complicato, impossibile da prevedere con certezza. guardo le nuvole in alto, e penso a quel qualcosa di chi non si è mai conosciuto in vita, che forse si incontra nel dopo dove niente è più.

4 elements: fire

Nel 2005, durante Chelsea-Barcellona, Ronaldinho segna un goal bellissimo: da fermo, finta tre volte e tira di punta per sorprendere il portiere. Elegante, lineare, sembra facile.

Nel 1925  Erwin Schrödinger scrive per la prima volta l’equazione che è alla base della meccanica quantistica: a Natale, in uno chalet svizzero, in compagnia di una delle sue tante amanti. Me lo immagino, Erwin, davanti al caminetto acceso, mentre gioca con i capelli della donna del momento, e le spiega cos’è il fuoco:
mia cara, è solo una reazione di ossidazione, nella quale gli atomi si ricombinano. E’ violenta, incontrollabile, libera energia, ed una parte di questa è sotto forma di luce. Rossa, gialla, o blu.

Illuminati. Ronaldinho e Schrödinger sono illuminati. Anche noi illuminiamo, ma la radiazione che emettiamo non è visibile. E’ nell’infrarosso. Perché siamo caldi, e viviamo. La possiamo vedere con occhiali e sensori speciali, come quelli in dotazione ai soldati americani, quando vanno a caccia di cattivi barbuti nella Città del Sangue.

Mi hanno detto: tu sei diverso, sei illuminato, talvolta. Non so se è vero. So solo che sembra facile, però costa fatica e allenamento, come per il Pallone d’Oro ed il Premio Nobel.

Ma le scintille volano sempre.

 
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Migration

 

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La radiosveglia si accende. E’ ancora buio, papà è già in piedi, impaziente come sempre. Mamma è da qualche parte, forse in bagno. Sul tavolo di formica della vecchia cucina, la moka mi aspetta. Passiamola, questa linea d’ombra. Non posso rimanere. Mia sorella mi sorride e mi bacia. Mamma è OK. Presto, prima del traffico, bisogna uscire dalla città, verso il nastro grigio del Nord-Ovest. Papà mi accompagna, nella pioggia fredda di Gennaio, lungo i primi mille chilometri in Italia. Firenze, Genova, Ventimiglia, fino a Nizza. Vediamo gli aerei partire sul mare, col croissant in mano, mentre scherziamo e ci prendiamo in giro. Mi saluta alla stazione, ritorna a casa. Il treno di notte con vettura al seguito, le luci di Parigi al risveglio. Riesco ad uscirne, e vedo il mattino del Nord su un’autostrada a non so quante corsie, di nuovo aerei sulla testa, atterrano e decollano dallo Charles de Gaulle. Dopo le lunghissime propaggini metropolitane, il deserto della campagna francese del Nord, verso Calais e l’approdo. Onde sulla Manica, il traghetto balla. Guardo la scogliera di Dover per la prima volta, da sottocoperta. E’ bianca come dicono. Adesso guiderò sulla sinistra: Londra, Luton, Milton Keynes, Birmingham, ancora su. Passo sotto l’indicazione per Liverpool, un cartello mi indica Penny Lane. Sorrido, mentre metto su “Advice for the young at hearts” allo stereo. Arrivo proprio lì, dove volevo, all’Università. Parcheggio ed esco nel vento del Mare d’Irlanda, verso la cabina rossa del telefono. E’ buio, sotto la cattedrale  cattolica. Chiamo la mia amica, vengono a prendermi.

E se il tempo tornasse?

Nei pub elettrici
Sotto la pioggia soffice
Sui parchi gelati e umidi
I daffodils si schiudono
Il grigio diventa arcobaleno
Il cuore, acciaio arrugginito
Fumo di anima indomita
Kop rossa negli occhi di Barnes
Mc Manaman, Owen, Gerrard
Il Mersey risale
Ogni giorno nordico
I docks ruggiscono
It ain’t over, till it’s over

 

nice day

 

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So, here we are. Drinking beer, sometime, in a soft English summer evening. O forse sulla 101, la mano fuori dal finestrino, a catturare il vento che viene da sotto, dal mare che si infrange sulle scogliere del Pacifico. Un po’ più su di LA, verso Santa Barbara, poi Big Sur, Monterey e  San Francisco. So easy, this afternoon. I soldi non contano un cazzo, lo sai? La storia è un’altra. Tutta un’altra. Le cose sono solo cose. Le macchine di lusso, le case con giardino, i bei mobili antichi,  i vestiti griffati, e le corse intorno al nulla. Lascia perdere. Fai ciò che ti piace. Per quello fatti il culo, e sorridi. Credimi, è splendido avere di meno ed essere di più. Pensa, e se tutti facessimo così? Wouldn’t it be REVOLUTION?  E ci vorrebbe così poco. Così poco. No, non rispondere subito. Take it easy.  Watch football (splendid night) and get another drink from the bar.

Have a nice day.

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Quantum Leap

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“Il dottor Samuel Beckett è nato l’8 agosto 1953 da John Samuel e Thelma Louise Beckett. Cresce nella fattoria di famiglia e dimostra da subito di essere un genio. A tre anni sa già leggere, successivamente impara a suonare diversi strumenti musicali e pratica diversi sport al liceo. Si laurea in fisica quantistica, medicina, lingue antiche, musica, neurologia, astronomia e vince anche un Nobel.”

Sdraiato sullo sgangherato sofà del mio appartamento di allora, nel freddo umido del Mersey che non mi abbandonava mai, vedevo alla TV il dottor Sam Beckett viaggiare nel tempo e cambiare la vita delle persone.  Il contrammiraglio Al lo assisteva fornendogli le previsioni di Ziggy, il supercomputer, sulle sue possibilità di successo. Non era in gioco la Storia, ma le storie, piccole e così importanti. Sam si trasformava in qualcun altro, giocava col destino. E salvava. Piccole storie di persone condannate che cambiavano. Sam non aiutava nell’adesso, solo nel prima, o nel dopo. Non sempre ci riusciva. Non sempre finiva come lui avrebbe voluto. 

Stretto nel mio vecchio cappotto spinato, cammino per il centro della città, nel freddo assolato. Gli antidepressivi fanno effetto, la chimica funziona. Dio gioca a dadi, penso, e chissà se Sam, lo scienziato buono, può salvare se stesso. Ma sì, l’amore è un buon investimento. E il presente è solo il passato del futuro.

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.

 
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Tu credi che quando ti svegli la mattina quello che è successo ieri non conta. Invece quello che è successo ieri  è l’unica cosa che conta. Che altro c’è? La tua vita è fatta dei giorni che hai vissuto. Non c’è altro. Magari pensi di poter scappare via e cambiare nome o non so cosa. Di ricominciare daccapo. E poi una mattina ti svegli, guardi il soffitto e indovina chi è la persona sdraiata nel letto?
 
Cormac Mc Carthy, Non è un paese per vecchi
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Prestige and hell

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David Bowie-Starman 
 
Elettricità nell’aria, uh? Il dott. Nikola Tesla tra le scintille generate dalla sua macchina, avvolto dai fulmini artificiali, come un moderno Lucifero in una versione attualizzata dell’inferno. Sorrido mentre guardo questa scena di “The prestige”, scuotendo un po’ la testa, di fronte all’impossibilità della suggestione. Prestigio, appunto. Tesla è esistito veramente, ed ho visto una macchina simile in una stampa. Serviva a generare fulmini artificiali. Ovviamente, è impossibile che Tesla attraversi il laboratorio con la sua macchina in funzione, e rimanga illeso. Così come è quasi impossibile accendere una lampadina toccandola, come suggerito in un’altra scena. Scrivo “quasi” perché è possibile invece sfruttare i sali minerali di un frutto come batteria, fare dei contatti opportuni ed accendere una luce. L’ho visto in un programma per bambini.  Sì, per bambini. Tesla era un genio assoluto, inventò tantissime cose, in particolare i motori polifase, che sfruttano la corrente elettrica alternata. Grazie a lui, ora noi usiamo questo tipo di corrente elettrica. cinquanta o sessanta hertz, 125-220-380 Volt. Morì povero. Forse non era tipo da badare troppo ai soldi. Dalla Croazia agli Stati Uniti, spinto da quel vento tempestoso chiamato emigrazione. Bowie (sì proprio lui) nel film lo interpreta splendidamente. La scienza è più inverosimile della magia, l’inaspettato colpisce all’improvviso, come un fulmine. Appunto. E gli occhi di Bowie-Tesla sono ancora di due colori diversi.  

4 elements: earth

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Jefferson Airplane-We can  be together

Guardiamo la Luna, o il dito che la indica. Nel 1968, invece, qualcuno guardò la Terra dalla Luna e la fotografò. Tutta intera, così azzurra e bianca, gli astronauti dell’Apolllo 8 la videro sorgere sopra il grigio riarso. La Terra è a strati: crosta, mantello, nucleo esterno e nucleo interno. Il 30%  della sua composizione è Ferro, localizzato prevalentemente nel nucleo, il 30% è Ossigeno, poi Silicio, Magnesio, Zolfo, Nichel e via andare. Circondata dall’atmosfera. Tutto così miracolosamente insieme, sembra fragile, sembra paradiso, visto da là. Galleggiamo sulle nostre zolle, sopra oceani incandescenti, e giù, giù c’è ferro, prima liquido, poi solido.

Questo successe, proprio allora, ma non abbiamo ancora imparato la lezione. Continuiamo a guardare il dito, o tutt’al più la Luna. Allora provarono qualcosa di diverso, e noi l’abbiamo dimenticato.

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Maggio 1968, Parigi. La Gendamerie blocca l’accesso a Place de la Sorbonne. 
Photograph: Sipa Press/Rex Features 

 

Police and thieves

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Oggi è una giornata in cui mi sento in una maledetta palude. Maleodorante.  Non c’è spazio, si soffoca. Tutti contro. Contro tutti. E allora? Allora i Clash. Police and thieves. Rock’n’dub. Fuck them all. 
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Ghost in you

So long, Bill…

 

 

 

…angels fall like rain
and love is all of heaven away
inside you the time moves
and she don’t fade
the ghost in you
she don’t fade…

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corrente elettrica                        2-200 k (da duemila a duecentomila Ampere)
temperatura elettronica                30.000 K (trentamila gradi)
diametro della colonna di plasma    10-50 cm 
carica elettrica totale                    5-10 C
differenza di potenziale                1-10 x MV (da 1 a 10 MegaVolt)
 

Questo è quanto. Solo un fulmine. 

 

 

 

*

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Why can’t we just play the other game?
Why can’t we just look the other way?

 

My X’mas lecture

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Sulle banconote da 20 Sterline inglesi è effigiato Michael Faraday, un eminente scienziato dell’800. Oltre al suo ritratto, vi è il particolare di una stampa dell’epoca, con la scena di una delle sue Christmas Lectures, organizzate dalla Royal Institution. Michael Faraday ha dato dei contributi fondamentali alla fisica e alla chimica. Basterebbe citare la legge con il suo nome che spiega il fenomeno dell’induzione elettromagnetica, dove elettricità e magnetismo vengono combinate insieme, alla  base del funzionamento dei motori elettrici, della dinamo, e di moltissimi altri congegni, tra i quali mi piace menzionare la chitarra elettrica. Faraday era anche un uomo di indubbia statura morale: rifiutò svariati premi ed onoreficenze, nelle quali non credeva, e non volle contribuire allo sviluppo di ordigni esplosivi da utilizzare nella guerra di Crimea. Non ebbe una educazione molto  buona perché di umili origini, e le sue cognizioni di matematica non erano particolarmente approfondite. Ciononostante, era un grandissimo sperimentatore, e anche un eccezionale divulgatore. Le Christmas Lectures, tenute ogni Natale da scienziati e studiosi britannici di fama mondiale, sono delle lezioni a scopo divulgativo, rivolte soprattutto ad un pubblico di bambini e giovanissimi. Fino a poco tempo fa, venivano trasmesse in televisione, dalla BBC prima, e successivamente da altri canali privati.
Faraday tenne delle lezioni memorabili, con dimostrazioni pratiche incantevoli sulla chimica. Ne tenne 7, un record assoluto, una ha un titolo particolarmente poetico, ” The chemical history of a candle”, e spiega i processi di combustione. Charles Dickens chiese ripetutamente a Faraday  di scrivere le sue Christmas Lectures, ma egli oppose resistenza, sulla base (giusta, a parere mio) che le lezioni difficilmente sono adattabili ad uno scritto. Alla fine acconsentì alla pubblicazione di resoconti stenografici,  disponibili oggi anche su internet. Tutto ciò fa molto Dickens, molto Natale, molto inglese. Non ho mai visto una Christmas Lecture, nonostante abbia vissuto in Inghilterra per molto tempo, perché ho scoperto questa nobile istituzione solo di recent. E mi piacerebbe fare qualcosa di simile nella mia Università. Per quest’anno, mi accontento di scrivere una breve poesiola, e di pubblicarla qui. Che Faraday mi perdoni.

Luce sulle rètine
incanti di cristalli
suono sui timpani
risonanze di fili bronzei
che scuotono magneti
e cavi inossidabili
e scatole tonanti
su vortici di folle,

fioriti desiderii. 

Fasce sui capelli, sudore mancino
di King Jimi,  sue scintille elettriche
da Sir Michael sognate.

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 Jimi Hendrix-Foxey Lady

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Buone feste.
 
P. S. Ho visto ieri i video delle sue lezioni. Si chiama Walter Lewin ed insegna al MIT di Boston. Grandissimo. Qui  dimostra che il tempo impiegato da un pendolo per compiere un’oscillazione completa non dipende dal peso applicato. E  per dimostrarlo  ci si mette sopra, facendo contare agli studenti  il numero di oscillazioni. La Fisica funziona.
 

 

 

Chirality-reality

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Blur-Out of time
 
 
Roberta non vuole vedere l’amico morto nella camera ardente. Entra in obitorio, ma si ferma prima, si appoggia al muro, e vede un’altra immagine: il suo amico che saluta tutti i convenuti, stringe le mani, abbraccia e le sorride da lontano. Lei ha Saturno contro, si droga, è vitale e svitata. Mancina, penso, mentre vedo il film di Ozpetek, che mi irrita un po’. Ma la figura di Roberta mi piace. Controcorrente per certi versi. E questo mi fa pensare al concetto di chiralità.
χειρ vuol dire mano, in greco. Abbiamo una mano destra ed una sinistra. E NON sono uguali. E’ raro trovare ambidestri. Esistono i destri (la maggioranza) ed i mancini. Un tempo, si dice, l’umanità era mancina, poi si è cambiato mano. Personalmente, sono destro, ma per certe azioni uso la sinistra. Perché siamo così asimmetrici? Il nostro organismo distingue tra destra e sinistra. In natura esistono delle sostanze chimiche che sono costituite da molecole uguali in tutto, tranne che nella loro simmetria. Destra o sinistra. Queste molecole vengono dette chirali, ecco un esempio.
 

 
 
Le due molecole che vedete girare sono uguali, ma diverse. Una è il riflesso speculare dell’altra, così come la mano sinistra dovrebbe essere il riflesso della destra. Dico dovrebbe, perché in realtà le due mani non sono esattamente uguali. E  non è nemmeno uguale l’effetto sul nostro organismo se assimiliamo una molecola “destra” o “sinistra” di alcune sostanze. Infatti, queste sostanze possono essere utili o inutili (se non dannose) a seconda dell’enanziomero (così è chiamato). Quindi, intrinsecamente, il nostro organismo è destro, o mancino, perché le molecole organiche che lo costituiscono distinguono tra enanziomeri. Ovviamente il fatto di essere destri o mancini non incide sul tipo di molecole accettate, che è lo stesso per tutti. Però, però…. Non ci dovrebbe essere questa differenza, a rigor di logica. E invece c’è. Perché la natura è intrinsecamente asimmetrica. Lo sono anche le leggi fisiche. Ne ho già scritto qui. Ad esempio, esiste la materia e l’antimateria. Per ogni particella (o quasi) esiste una antiparticella. Se le due si incontrano, annichiliscono. Niente più materia o antimateria. L’energia liberata dal processo si trasforma in radiazione. Se greg incontrasse un anti-greg, ed i due si toccassero, si distruggerebbero mutuamente. Questo succede, ma raramente, perché fortunatamente l’antimateria è presente in piccolissime quantità. Quindi, esiste uno sbilanciamento, un’asimmetria intrinseca nell’universo e nelle leggi che lo regolano. E questo è la nostra fortuna, per certi versi, altrimenti tutto sarebbe molto più instabile, no? Si pensa che l’asimmetria del nostro organismo (che distingue ed usa molecole destre invece che mancine) abbia a che fare con l’asimmetria delle leggi dell’universo, ma al momento è solo un’ipotesi. Quello che è certo, è che io amo i mancini. Ed il concetto di essere mancino. Abbiamo bisogno di mancini, noi destri. Io stesso sono un po’ mancino. E vorrei esserlo di più. 
 
Where’s the love song to set us free
too many people down, everything turning the wrong way round

and I don’t know what love will be
but if we stop dreaming now, lord knows we’ll never clear the clouds

and you’ve been so busy lately
that you haven’t found the time
to open up your mind

and watch the world spinning gently out of time

Feel the sunshine on your face
It’s in a computer now
gone to the future, way out in space

and you’ve been so busy lately
that you haven’t found the time
to open up your mind
and watch the world spinning gently out of time

and you’ve been so busy lately
that you haven’t found the time
to open up your mind
and watch the world spinning gently out of time
Tell me I’m not dreaming
but are we out of time
(we’re) out of time

 

 

Chrissie’s eyes

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Cuoio scuro sulla pelle, voce morbida, chitarra al braccio, cosa c’è di più sexy di una ragazza che suona rock’n’roll? Riff degli anni ’70-’80 nelle orecchie e nel (cuore, sì, mi tocca scriverlo), gli occhi da gatta di Chrissie che mi guardano dalla copertina, mentre sono impegnato a cercare di capire qualcosa da delle strane formule, oggi come allora, quando ero studente. Cercare di capire, è la mia attitudine professionale, no? E così mi affanno a cercare spiegazioni per ogni cosa. E credo che per ogni singolo evento, fatto, fenomeno, sensazione ci sia una causa, un meccanismo. Spesso complicato, difficile. Ma più passa il tempo e più mi convinco che niente è fuori dalla nostra portata. But, hey, is it worth? Vale la pena, vale la pena di comprendere tutto, anche ciò che fa più male, ciò che fa soffrire? O forse è meglio lasciare perdere? E’ un’attitudine e una condanna. Soffia, la voce di Chrissie, mostrami il significato della parola. E parla di qualcuno che viene dalla via lattea con occhi innocenti. Mentre io mi tuffo su fax che non arrivano, formule e fenomeni che non capisco, e che capirò. Un giorno, sia domani o fra dieci stagioni. Forse è questo il vero motivo per cui scrivo da tre anni, compiuti proprio oggi.
 
Time is up, listen and read:

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Pretenders-Show me 
 
Show me the meaning of the word
Show me the meaning of the word
‘cause I’ve heard so much about it
They say you can’t live without it

Welcome to the human race
With its wars, disease and brutality
You with your innocence and grace
Restore some pride and dignity
To a world in decline

Welcome to a special place
In a heart of stone that’s cold and grey
You with your angel face
Keep the despair at bay
Send it away, and

Show me the meaning of the word
Show me the meaning of the word
‘cause I’ve heard so much about it
I don’t want to live without it
I don’t want to live without it
Oh, I want love, I want love, I want love

Welcome here from outer space
The milky way still in your eyes
You found yourself a hopeless case
One seeking perfection on earth
That’s some kind of rebirth, so

Show me the meaning of the word
Show me the meaning of the word
‘cause I’ve heard so much about it
Don’t make me live without it
Don’t make me live without it
Oh, love, I want love, I want love, I want love

 
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Where the weather suits my clothes

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Camminando, mentre la nebbia si alza, i ragazzi intorno chiacchierano, davanti ai portoni degli istituti.
Fumando l’ennesima sigaretta sulla scala di sicurezza, parlando in romanesco col mio collega.
Leggendo alcune note sul waveguiding, una cosa complicata sul funzionamento dei  laser, con la loro luce così pura.
In laboratorio, riavviando gli strumenti.
Niente è troppo importante, dopo tutto. Il sole arriva, finalmente, il grigio resiste, ma mi sento così leggero, oggi. E questa splendida canzone, scrivo solo per farla sentire.
Sì, mi sento, mi sento di andare dove il tempo è giusto per i miei vestiti.

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Everybody’s talking at me
I don’t hear a word they’re saying
Only the echoes of my mind

People stopping staring
I can’t see their faces
Only the shadows of their eyes

I’m going where the sun keeps shining

Thru’ the pouring rain
Going where the weather suits my clothes
Backing off of the North East wind
Sailing on summer breeze
And skipping over the ocean like a stone

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Contact

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Gli occhi azzurri di Jodie Foster si illuminano, quando riconoscono il suo papà nell’essere extraterrestre che lei così tanto ha ricercato. Sulla spiaggia dalla sabbia candida, con sopra un qualche evento cosmico di colore rosso acceso, il “contatto” è dunque con noi stessi, con la nostra vita, la nostra memoria. E i nostri dolori incancellabili, le persone perse nelle spirali e nei tunnel dei nostri viaggi ci fanno compagnia, mentre andiamo avanti, la mattina, col sapore del caffè in bocca, in una giornata di sole splendida. Le corazze di nanotubi di Carbonio, gli space shutlles che ci decollano accanto, le chimiche del nostro cervello in un incessante andare e tornare, mentre i tasti dei computer si illuminano al nostro tatto. Non dimentico, e accarezzo.
 

weekend

 

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No, non voglio lasciare queste pagine con il testo di una canzone malinconica. Just a big smile, look at the sky, think about space shuttles, stars. Strade da percorrere, oggetti ed idee da scoprire, fuori e dentro. And a little bit of rock’n’roll. Città che ci aspettano, passanti che ci sfiorano, traiettorie che si toccano. Film su schermi enormi, goals impossibili che si realizzano, piatti deliziosi da gustare.  Con gli sguardi, con la bocca, con le mani. And love.

Pubblicato in Greg

Domani

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Domani sotituiremo le lampadine a incandescenza con i LED, per risparmiare energia. E avremo tante belle luci colorate (il blu, soprattutto, che piace tanto a me). Domani potremo costruire dei computer con logiche diverse: non più solo 0 o 1, oppure sì o no, ci saranno altre opzioni, utilizzando i principi della fisca quantistica, e le sue stranezze. E saranno sempre più piccoli, e potenti.  Domani useremo (compagnie petrolifere permettendo) auto ad idrogeno, ad emissione zero. Domani andremo su Marte, e lo colonizzeremo, costruendo tante piccole casette trasparenti a forma di bolle. Domani forse chiederò di fare l’astronauta, oppure di andare per un po’ a lavorare Barcellona, o a Berkeley. Domani pioverà. Domani tornerò a Liverpool, e respirerò il vento del mare d’Irlanda. E sorriderò un po’ di più, e farò sorridere voi un po’ di più. Domani scriverò qualche poesiola, o qualche storiella, e forse le farò leggere ad occhioni blu. Domani starò meglio, anzi a scrivere queste cose mi sento già meglio. Jane Birkin, o Brigitte Bardot, o Jane Fonda mi sorrideranno. E prenderò un Campari con Dick Feynman, che mi racconterà una barzelletta. E’ un buon inizio di giornata, con le corde che diventano fili di seta iridescenti. E adesso scappo, che devo tenere una lezione. Sono fatto così, e non posso farci niente. Perché forse il domani è già ora. Sun on you.

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Wormhole Antonioni

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“Da cosa stai fuggendo?”
“Guardati dietro.”
E’ una lunga strada alberata, Lei si volta e allarga le braccia, sporgendosi dalla decappottabile, sorridendo, mentre i capelli ribelli le volano tutt’intorno. E’ una scena di Professione reporter, che ho visto qualche giorno fa. E’ un altro universo, quello che ho visto. Un altro spazio tempo. C’era, sì, c’era. E un wormhole mi ha trascinato, ingoiato, risucchiato. Wormhole: “è una ipotetica caratteristica topologica dello spaziotempo che è essenzialmente una “scorciatoia” da un punto dell’universo a un altro (o tra universi paralleli), che permetterebbe di viaggiare tra di essi più velocemente di quanto impiegherebbe la luce a percorrere la distanza attraverso lo spazio normale.” Ipotetica, non provata. Ma io immagino che esista, stanotte, mentre penso alla vita che è venuta, alla vita che è. Al mondo, gigantesco vortice di immagini facce, situazioni affastellate una sull’altra. Non è nostalgia del passato, no, è solo una sensazione di vertigine, di perdimento. Quello che ero, che respiravo, semplicemente non c’è più. Tutt’intorno a me, altre storie ora.  Tutto un altro vivere, fuori e dentro. Televisioni che mostrano situazioni diverse, parole diverse per strada. Il pane e le rose? Cosa sono, dove sono? Altro. Pensieri di un universo diverso, la mia zattera naviga nel mare dal quale sono emerso all’improvviso senza accorgermene. Alla radio dicono che per i giovani il rock’n’roll è roba che non va, predicatori con la barba minacciano la fine del mondo in intenet (internet????).  Luoghi stravolti,  fatti stravolti. E’ un altro universo, con cose buone ma aliene. A me. Stanotte. Il wormhole mi ha trascinato senza accorgermene, in un universo parallelo. Così simile, continuo, ma la vaniglia non c’è più. Groppo in gola, dico le cose col loro nome. Poi metto su un sorriso vago, e continuo a navigare. Aspettando il messaggio  in  bottiglia dall’universo sparito.

sunset

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Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso. Capisci? E tu non ti puoi arrendere. Io non te lo permetterò.
(Cormac McCarthy, La Strada) 
 
Sorgerà ancora…

…and this?

 

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….Dunque, immaginate di trovarvi davanti un muro, e volete andare dall’altra parte. Non c’è storia, o vi arrrampicate, oppure lo saltate. Se il muro è perfettamente liscio, e non ce la fate ad arrampicarvi, dovete saltarlo. E se non avete l’energia necessaria, nè strumenti adatti, non c’è speranza. Potete sbatterci solo la testa contro. E’ proprio così? No, non è così. Se voi foste una particella piccolissima, diciamo, un elettrone, e le pareti del muro non fossero troppo spesse, POTRESTE passare. C’è una possibilità, certe volte neanche troppo piccola, che si possa passare. Questo è l’effetto tunnel….

(happy Birthday, Mr. Aka, qui

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…and on with this…

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……Per inciso, è l’equazione di Dirac, una delle piu’ belle equazioni mai scritte, per me. Descrive il moto di particelle infinitamente piccole (tipicamente elettroni) a velocità elevatissime, vicine a quelle della luce. E’ elegante, completa. Splendida. ….. E’ come un gol di Ronaldinho. Ne fa alcuni bellissimi, che sembrano semplici, ma non lo sono. Ed io sono convinto che lui abbia faticato moltissimo per potere riuscire a fare quelle cose straordinarie…..

(Ho sempre sognato…., qui

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…and back to this…

 

 

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….Elaine legge un libro seduta sulla spiaggia di Santa Barbara, ha davanti il mare, si intravedono le Channel Islands attraverso la foschia. Edo la riconosce subito, è come tuffarsi nell’ oceano, si avvicina camminando sulla sabbia calda  con le scarpe in una mano ed un pacchetto in un’altra, gli occhiali da sole un po’ storti. Elaine percepisce la sua presenza quando è vicino, sorride senza guardarlo. E’ abbronzata, i capelli biondissimi più corti, un po’ ingrassata, forse. “Eddy boy, he crossed the ocean for me…”,  canticchia sorridendo, guardando le isole lontane. Edo si siede accanto a lei, senza parlare….

 

(Long Kiss Goodbye, è su Splinder, qui)

…went on with this…

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….”Ogni tanto vengo a vederla, l’ultima volta ci ho portato mio figlio qualche settimana fa. E’ rimasto senza fiato, come me quando venni qui la prima volta con mia madre.”
Dom prese la mano ruvida di Horst, lo sguardo ancora verso il busto.
“E’ bellissima”, mormorò, con un filo di voce. “non… non ho parole.”….

(Horst et Dom, qui

The singular adventures of w

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Traffic- Freedom Rider
 
Questa foto ritrae il posto dove lavoravo quando incominciai a scrivere, quasi tre anni fa. Sono pochi, tre anni? A me questi sono sembrati una vita. Non sto a spiegare cosa c’è nell’immagine, un laboratorio con strumenti complicati. Acciaio, elettronica, ottica, computer. Quello che sembra un caos, ha ragione di essere così com’è, e ogni oggetto sta al suo posto, ha la sua funzione. Autodisciplina, rigore, entusiasmo e tanta pazienza. Fatica.
Non contiamoci balle, per ottenere bisogna lavorare. E ci sono prezzi da pagare. Ma qualche volta ci si interroga sugli obiettivi. E’ quello il momento topico, non si può sfuggire alle domande che ci si pone. E non sempre si trova subito la risposta. Però c’è sempre, sempre un retrogusto dolceamaro nel mio essere, dovuto alla consistenza dei miei sogni. Una parte inafferrabile, evanescente e sempre presente, che mi accompagna nei pensieri, parole, opere e, ahimé,  omissioni. Forse è questo che mi salverà, perché la logica ed il pensiero non sono sufficienti per vivere. Quel piccolo pezzo di DNA, che non so quale sia, non lo sa nessuno,  fa sì che io, noi,  qualche  volta respiriamo un’ossigeno diverso, ma vitale. Che consistenza hanno i sogni?
 
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Professor Helga

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Traffic-Every Mother’s Son
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Arrivo in ritardo al tuo seminario, l’aula è già piena di colleghi e studenti seduti, attenti, riflessi dello schermo sugli occhiali, serietà di sguardi e intensità di menti. Come sempre, mi metto in fondo. Hai già incominciato a parlare, nel tuo tailleur blu con delle strane code, di taglio indubbiamente nordeuropeo. Ci siamo scambiati dei mail più di un anno fa, pensavamo di collaborare su un progetto di ricerca, poi siamo stati travolti dalle tante cose da fare, io anche dai miei pensieri, trascinato dall’inerzia della mia malinconia. Nell’ultimo messaggio, mi hai scritto con orgoglio della tua nuova posizione, una cattedra in un’università prestigiosa, “l’unica donna professoressa nella nostra materia della Ollanda“, il solo errore di ortografia, non sei italiana, ma hai vissuto e studiato a Roma, dove ci siamo conosciuti in un tempo che sembra la favola di un’altra dimensione. Fumavi allora, e mi guardavi con i tuoi occhi azzurri tedeschi, mentre parlavavamo del più e del meno sulla terrazza dell’Istituto, nelle pause del lavoro di tesi, con lo sguardo sui pini marittimi. Ci siamo incontrati  dopo, in altri paesi e città, conferenze, esperimenti, nella nostra vita un po’ randagia. E adesso risplendi, ci spieghi magie di motori fatti da molecole che fanno salire le gocce d’acqua all’insù per piani inclinati, e quando ci fai vedere il video dimostrativo è un “ohh” di meraviglia. Mi chiedono di accompagnarti a pranzo, e chiacchieriamo di lavoro e famiglie, della tua casa che immagino sotto un cielo grigio, con un bel prato verde, la stai sistemando per avere spazio per i tuoi nipoti.  Poi mi spieghi di pesci con piccoli magneti nel naso che li guidano nelle loro rotte. I tuoi occhi sono un po’ più liquidi, un po’ più tristi. E il peso del successo, il prezzo del lavoro mi sembra così evidente, ma forse non lo è. Telefonate che ti raggiungono mentre discutiamo, ti riaccompagno nell’ufficio del grande capo. Ti saluto, ma mi sorprendi, vuoi parlare ancora un po’ con me, nonostante tu abbia un’agenda senza spilli. Nel mio studio mi chiedi scusa di non avermi più scritto, e sei sincera. Occhi azzurri, tailleur blu, quando ti abbraccio mi fai pensare al nostro tempo, e all’irreversibilità, ai cerchi che non si chiudono mai, perché è impossibile. Fuori il cielo è plumbeo, i fiori del vaso sono secchi.
 
 

Talking infinity

 

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Santana-Corazon espinado

 

Here we are

talking infinity

with the blonde girl

sitting in the bar 

close to me 

and universe is a small olive

in my Martini.

Chit chat

neurons falling off my nose 

when neutrinos crossing

my Armani suit 

feeling them 

hearing breath of

stars curving space time

while Niels Bohr

sings salsa

with Dick Feynman

playing congas

in a folding grace.

Heart just pumps

relentless life 

brain does the job.

 

(w, 2007) 

 

 

Play it for me

328817bfa58adff77b88817aacc6ec3b.jpgSabato ho visto questo quadro. Non sono un grande appassionato d’arte, so che si tratta di un’opera di un pittore della scuola di Delft, Jacob Ochtervelt, contemporaneo del grande Vermeer. L’immagine non rende giustizia, è la sola che ho trovato. Sono stato a lungo in piedi, davanti a questa deliziosa opera. Il vestito rosso così luminoso, la grazia della figura che mi dà le spalle mi hanno affascinato. Ho pensato solo una cosa: suona per me. Per lenire la stanchezza di questo periodo. Per incantarmi. Per farmi sorridere. Per farmi continuare, a vivere e sognare. Per trovare il bello che c’è sempre. In ogni singolo attimo in cui gli atomi oscillano, le molecole reagiscono, i corpi si muovono ed interagiscono, le piccole scariche elettriche generate e ricevute dai nostri neuroni  si trasmettono, e gestiscono le nostre sensazioni. I nostri pensieri. I nostri sentimenti. Play it for me.

 

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Taking off…

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Oasis-Talk tonight

 

Poco ancora… In aria, di nuovo, finalmente… E per me non c’è niente di più bello. Annusare città diverse e sentire lingue che non capisco. I would like to speak any language, see all of you.

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sun on you. 

 

 

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Est-West

 

d1ceb43627af2dcea46c73bbd2f594e0.jpgU-Bahn. Il treno giallo viaggia veloce e perfetto, sotto l’Est, e illumina le stazioni abbandonate, le scritte gotiche riaffiorano dai finestrini. I dipinti multicolore sul Muro che divide a metà la strada, nella sua lunghezza, nel silenzio domenicale del Checkpoint Charlie. Il bunker di Hitler abbandonato nella terra di nessuno, sterpaglie sul tumulo seminascosto. Neve nera su Kreuzberg, le strade con i negozi turchi, uomini magri coi baffi neri, occhi da Mediterraneo, rincasano in palazzi cadenti. Luci a Ku’damn, vetrine sfavillanti di articoli con estrogeni. Mercedes nere sulle autostrade cittadine che scorrono sopra il silenzio di casette grige ordinate ed uguali. Soldati russi in libera uscita, facce da bambini e zigomi alti, cappotti grigi sempre troppo grandi, Unter -den -Linten, di là. Dove le macchine sono scarse, piccole e colorate. Turiste sovietiche con i denti d’oro in fila per accedere alla torre della televisione. Che si vede, di qua, nella spianata dove gli immigrati tengono il loro mercatino. Era  Potsdamer Platz? Quella Potsdamer Platz? Alexander-Platz a scacchi bianchi e rossi, falce, martello e compasso sul palazzo basso di vetro. Prigione per un uomo solo,  Rudolf Hesse, nella caserma inglese di Spandau. Una ragazza bionda di Kiel mi scrive il suo nome scandinavo sulla sabbia di Krumme Lanke, in una giornata afosa. Le tre di notte, rincasando con la bicicletta sgangherata nel mio quartiere anonimo, accanto alle caserme americane. Wenders aveva ragione, se c’è un posto dove possono esistere gli angeli è Berlino, venti anni fa. (Però mi piaceva tantissimo).

 

(sull’onda delle memorie generate da “Le vite degli altri”)

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Tamura on Monday

e4b0911c6816916334072a939790f306.gif Così si chiama questo fuoco artificiale giapponese. E’ bellissimo. Non so cosa voglia dire la parola Tamura.  Le nuvole sono grigie, oggi. Ed è Lunedì. Ho pensato di iniziare la mia settimana con Tamura. L’avevo già fatto vedere, un anno fa. Non ho molte parole dense di significato da spendere, sapete? Solo una speranza. Che le luci diventino blu, che  i miei occhi possano vederle, che possa fare sorridere voi e altri come voi. Che arrivi la festa. Una festa qualsiasi. Che la tazza di caffé che ho davanti riscaldi la mia anima, solo un po’. Che i vostri ed i miei pensieri siano un po’ più leggeri. Che i nodi si sciolgano bene. Che le azioni “carezze e baci” abbiano un incremento sostanziale, nelle borse di tutto il mondo, e non sia una bolla speculativa, per nessuno. Tamura on Monday, bring us something good.

 

P.S.: Tengo Tamura ancora un po’. Per la bella notizia che qualcosa si è mosso contro la vergogna della giornata dell’orgoglio pedofilo. 

 

 Stereophonics-have a nice day

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Invisible city-2

4932b12b162453db946fe7793aeeddf3.jpgCan I go for it? Will I go for it? Oggi ho fatto un primo, piccolo passo. Verso la città invisibile. Lascia che sanguini. Lascia che scorra. Lo space cowboy arriverà. La freccia del tempo punta lì. Mi viene da ridere, al pensiero. Mi tocco i polpastrelli. E poi stringo i pugni, solo un po’. Devo imparare una nuova lingua, e faticare come Adamo. Lì, precisamente lì. Su quel mare che non ho ancora visto. Dove voglio bagnare i mie piedi, e risciacquare la mia faccia.

 

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*

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Ineludibile
Indelebile
Inevitabile
Indispensabile
Indisponibile
Inessenziale?
Inamovibile
Intollerabile
Inaccettabile?
Pain and joy
At the same time.
Kiss

 

 

 

David Bowie: The man who sold the world
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Under a cruel and gentle sun

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Vorrei che i miei occhi tornassero quelli di prima. Lev, tu mi dici che forse c’è una  possibilità che questo avvenga senza fatica. Che la freccia del tempo perda l’orientazione. Che punti di nuovo all’indietro. Ma il Bingo non l’ho mai vinto. E allora, il viaggio deve continuare. E la  fatica del cammino è tanta. Ma basta incominciare. One step after the other. Slowly, painfully. Under a cruel and gentle sun. L’importante è sorridere. E sapere nuotare, per attraversare i fiumi. In termodinamica, percorrere un ciclo chiuso costa sempre fatica. Ma la fatica dà il sapore al vivere. One step after the other. Verso il mare, verso i miei occhi.

Plat du jour: Jimmy Cliff, Many Rivers To Cross
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Ventiminuti 3 (revisited)

Mi è venuto in mente questo vecchio post. Per la musica e per domani. I know why.

La scorsa notte ho dormito tre ore. Capita. Il mio umore non era dei migliori stamattina. Poi il rush per accompagnare mia figlia a scuola. Sbrigati, sbrigati, sbrigati… la parola più usata da me negli ultimi tempi. In tempo, sì, in tempo, raramente facciamo tardi. Gli zainetti multicolore entrano, io mi volto e ritorno alla macchina. E i ventiminuti dalla scuola all’ufficio, sempre quelli. Ieri, oggi, domani. La radio locale che sento da quando vivo e lavoro qui mi regala questa perla. Why can’t we live together. I colori cambiano, i fiori risbocciano, il sole splende più vivo. L’organo a scatti, le percussioni, che meraviglia. Tutto assume un altro aspetto. Ed io che mi dico: adesso la metto su, non posso farne a meno. E’ quello che ho fatto. Buongiorno miei cari. Love, w

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Strada Jack Kerouac

 

 

Così si chiama un pezzo della pista ciclabile che ho percorso. Quando ho letto l’iscrizione, non ci volevo credere. Il mondo è meraviglioso. C’erano alcune sue  citazioni sbiadite su alcune targhe, qua e là, tra alberi di ciliegi, campi con le balle di fieno già formate,  casette con giardini in fiore, fabbriche alimentari, capannoni industriali. Segni della periferia che divora spazio e tempo in ogni parte del mondo, e  non risparmia niente. Automobili e camion che passavano nelle strade accanto, così vicini e lontani al tempo stesso. Sfrecciavano, piccoli astronavi di gente nelle loro orbite quotidiane.
Un sole sfolgorante, urlava la sua gioia. Il vento traverso mi rallentava, le colline che sembravano così vicine, verso le quali stavo andando, erano lontanissime, per le mie capacità ciclistiche. Qualche rezdora con la borsa della spesa, ciclisti vestiti di tutto punto che andavano nella direzione opposta. Direzione opposta alla mia, come se avessi sbagliato orario. Ma per me l’orario era perfetto. E’ così la mia  vita? Ho sbagliato orario? Controfase. Sì, forse sono in controfase. Al ritorno del mio giro, mi sono fermato su una panchina, e mi sono fermato proprio in quel tratto lì, dedicato a Jack. Mi sono seduto su una panchina, e mi sono acceso una sigaretta, in suo onore. Alla faccia del wellness. Ho letto “Sulla strada” a sedici anni, l’ho riletto a quaranta.  Non cambio mai, vero? No. Non cambio. Niente mi cambierà. Questa giornata ventosa, questo piccolo viaggio nascosto, è stato un balsamo di gioia e dolore. Non  di pace. Domani insegnerò, scriverò formule, lavorerò col computer, farò esperimenti, costruirò i miei soliti castelli. Il dolore e l’inquietudine che provo in questi tempi riprenderà. Ma questi momenti, così particolari, così intimi, mi resteranno dentro, come un sasso pesante che mi spinge giù, mi lega al mio essere vero, ammesso che esista. Tornerò sulla strada Jack Kerouac, in allegra compagnia. Ma il viaggio di Greg continua. In solitario.

The only people for me are the mad ones, the ones who are mad to live, mad to talk, mad to be saved, desirous of everything at the same time, the ones who never yawn or say a commonplace thing, but burn, burn, burn, like fabulous yellow roman candles exploding like spiders across the stars and in the middle you see the blue centerlight pop and everybody goes.“Awww!”

Il viaggio di Greg

Domani Greg non va al lavoro. Domani Greg prende la bici. Stacca il cellulare. Computer nemmeno a parlarne. Ancora non sa dove va. Tutto il  giorno via. Non lo sa nessuno, né occhioni scuri, né occhioni blu, meno che meno i colleghi. Solo Greg e voi. Spera di trovare un bell’albero sotto il quale riposarsi. Mangiare un panino, o qualcosa per strada. E Dharma è sempre parte di lui. Indelebile. Un po’ di dolore in meno, forse.  Molto sole in più.

Here comes the sun…

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Hope…(per la redazione)

Vorrei spendere alcune semplici parole per i miei amici bloggers che hanno difficoltà con la nuova piattaforma. E’ nuova, e come le cose nuove un po’ avanzate tecnologicamente bisogna un po’ abituarcisi. Però alcuni hanno SERI problemi. Non riescono nemmeno ad accedere ai loro blog. Ora, è come per certi versi non potere più rientrare a casa propria. Alcuni/e di loro hanno dei blog bellissimi, tra i più visitati della piattaforma. Notimetolose, Lareginapigra, Cleopa, tanto per citarne solo alcuni. Gente che scrive, e non riempie il proprio spazio di farfalline, cuoricini, testi di canzoni sdolcinate etc. Per carità, ognuno è libero di scrivere e fare ciò che vuole dello spazio a disposizione, ma insomma, a ME PIACE LEGGERE QUESTO TIPO DI BLOG. Un po’ di attenzione e cortesia in più nei confronti di questi/e bloggers sarebbe gradito. Mi avete dato la coccardina, tanto carina, e vi ringrazio. Forse avreste potuto impiegare il tempo speso per darmi la coccardina a risolvere i loro problemi. I know, life is hard. Ma se si continua così, la piattaforma sarà piena solo di coccardine, farfalline etc. Tanto per ripetermi. Se siete contenti così, basta che ce lo scrivete. Prenderemo atto. Ho messo su un’immagine a me molto cara, intitolata Hope. Vedete voi. Sun on you 

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Stream

 

Stream of consciousness

Life is, after all, just like that.

Giochiamo sulla spiaggia, al tramonto, purpureo come il nostro sangue che scorre, sgorga, per non dimenticare. Mai. Di essere vivi. Sorrido e scappo dietro la duna. Mi ritroverò. Ancora. E ancora. E bacerò tutti sulla fronte. Perchè tutti lo meritano, nessuno escluso.

Non dimentichiamo chi siamo, vediamo l’aria attraverso i nostri corpi, atomi in moto casuale e determinato al tempo stesso. Le senti, le risate dei bambini? 

…dedico queste sciocche righe ai miei amici bloggers. Ecco.
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Where

Cammino sotto il sole di Maggio che sembra Luglio. Ho ripreso la borsa di pelle, e lasciato lo zainetto a casa. Il braccialetto di rame no, quello sempre con me. La città lattiginosa, le macchine altere ed indifferenti. Non sono qui, no, sono nel deserto di Zabriskie point, forse, o sul pack artico.

Dolori vicini che sembrano lontani, la freccia del tempo che mi
spiegano non cambiare mai direzione, nè verso.
Forse solo colore.
Dov’è l’amore? Dov’è?
Il peso del mondo è sulle nostre spalle, ma non ce ne accorgiamo.
Solo quando vediamo con occhi chiari, con mente sgombra e vulnerabile.

Allora le mani si giungono, chiniamo la testa e la luce ci riscalda la nuca scoperta.
Dov’è l’amore? Ci sembra di saperlo. Solo in quel momento.

 

Invisible city

Voglio vedere un mare che non ho mai visto
Parlare una lingua che ancora non conosco
Vivere qualcosa che non ho ancora vissuto
Sedermi sotto un albero di cui non conosco il nome
Lavorare in un laboratorio che si deve ancora costruire
La città l’ho scelta, anche se non ci sono mai stato
La testa ad est, il cuore ad ovest
I piedi sul sud, la memoria a nord

Keep the torch aflame, plus perdu.

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…Chiederò un altro drink?
Eviterò il light fandango?
Troppo bella da sentire, a prescindere.
La faccio vedere, perché oggi, con questa strana febbriciattola che ho, così mi va.
E ancora, e ancora.
Non c’è fine a certe cose. E’ in questo la loro bellezza.
Mi chiedo se arriveremo a quel pianeta, 20 anni luce di distanza, che hanno scoperto ieri.
Voglio credere di sì.
Click on image…

Max

Questo post è per te. Un neo ti ha portato via un anno fa. Una volta, ad una presentazione, facesti vedere una foto di Julie Christie. Una volta ringraziasti Greta Scacchi alla fine di un articolo scientifico. Una volta mimasti una scena di “Miracolo a Milano”, mentre lavoravamo di notte. Oggi ho pensato a tre film che vorrei vedere con te:
Sliding doors, con Gwineth che piange davanti alla porta che si apre e chiude continuamente.
The wedding singer, con Steve Bushemi che canta True degli Spandau Ballet alla festa di matrimonio.
Shakespeare in love, con Gwineth che bacia il Bardo.
Lo so, non sono dei capolavori, ma mi piacquero, e mi fecero stare bene. Occhioni blu era appena nata, ero molto Greg e poco Dharma, ma, beh, ero contento. Fidati, ti divertiresti. Non credo nello spirito, abitualmente, ma stasera voglio crederci. Poggia una mano sulla mia spalla, amico, e guidami nel mio vagare, in questo viaggio senza partenza e senza ritorno, iniziato molti mesi fa. Sentiti Elvis Costello, mentre bevo l’ennesima Heineken alla tua memoria, sorridendo e pensando a qualcosa di leggero.

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Frozen water (from my keyboards)

Niente Gran Risa quest’anno. Poca neve, poco tempo. A me piace scendere per questa splendida pista dopo pranzo, poca gente intorno. E’ difficile, ripida, ma affidabile, come una vecchia amica. Mi manca, come molte altre cose, di questi tempi. Lei è lì, la sogno, l’aspetto. Il primo muro, sempre pieno di gente che si affanna, poi una deviazione, e ci siamo, in mezzo al bosco. Tutta d’un fiato, se ce la fai, se gli sci tengono e se la neve è buona. Verde scuro di abete, rosa di dolomite, bianco della materia, quella vera: FROZEN WATER. Ogni curva un sorriso, uno sbuffo. Pochi minuti di paradiso, di essenza. Ultimo muro, lasciati andare a uovo, se no devi racchettare. All’anno prossimo, amica mia. Mi sei mancata, mi mancherai. Gli appuntamenti qualche volta saltano. Ma il sogno rimane.

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Ode alla (mia) bici

Sparisce l’asfalto tormentoso
sparisce la bruma di dolore
meccanica e levità
distorci il reale
in gioia ed essenza
di musiche conosciute
volare non è mai impossibile
con te, nella fatica della fibra
di muscoli qualsiasi.

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Oggi

Oggi è un giorno duro. Ho avuto molto da fare, ed in fretta. Pesante, già, pesante è la parola giusta. E nei brevi momenti di pausa, rifletto un po’. Tra le altre cose, il mio blog. Sono più di due anni che scrivo. Prima del blog non tenevo un diario, non scrivevo niente. Nemmeno gli appuntamenti sull’agenda. E invece qui ho scritto di tutto. Delle specie di recensioni cinematografiche e musicali, storie inventate, autobiografiche, poesiole, testi di canzoni, considerazioni sulla fisica e sulla mia visione del mondo, ammesso che ne abbia una. Ho aggiunto immagini, video, musica, che è sempre stata importantissima in questo spazio. Ho letto molto i blog degli altri, che mi hanno influenzato. Ho amato e odiato il mio blog. Una volta l’ho perfino cancellato. Mi ha fatto stare bene, ma anche male. E’ stato partecipe ed anche artefice di molti cambiamenti dentro di me. E adesso? Adesso non so. Non so proprio. L’ho scritto molte volte, basta, almeno per un po’. Non lo scrivo più. Però faccio fatica a continuare. Può essere solo un periodo. Magari domani riscrivo. Però ieri sera volevo, e non ce l’ho fatta. Non m’era mai successo prima. Come metterla, non lo so. Quindi la chiudo qui. Pasqua incombe, e vado via per una settimana. Parto domani, e non avrò occasione di scrivere, credo, da dove vado. Non la cercherò. Poi vedremo. Lascio questo brano, perché è bellissimo. E aggiungo un’immagine bella, di un’attrice del passato che piaceva molto ad un mio amico che non c’è più da un anno. Perché non so quando tornerò a scrivere. Sun on you

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Occhioni blu

Oggi occhioni blu ha suonato. Era una favola in musica, recitata, suonata e cantata davanti a tanti bambini. Occhioni blu stava poco bene, un po’ di febbre, non era andata a scuola negli ultimi giorni, ma niente al mondo le avrebbe impedito di suonare. Quando è arrivata al “punto lettura” (una piccola biblioteca di quartiere) saltellava per la contentezza. Niente emozione o paura, lei è così. Ha suonato benissimo, come sempre. Alla fine, c’era il sole dopo una settimana di pioggia. Nel prato fuori della biblioteca, la figlia di un mio amico ha raccolto tante margherite. Questo piccolo post è dedicato a occhioni blu. Perché il mondo è bello. Perché lei esiste.

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Hope…

…to feel better… ANYWAY.

P.S.: e quelli del post precedentente sono i MIEI sandali ed il MIO braccialetto di rame.

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Bill

Spirito ti fai chiamare
mi dicesti ho perso il cuore
e il dolore che sprigiona
in scintille nella notte cittadina
stempera in risate leggere
di piogge di Aprile.
Vai nel sole della gente
spirito non sei
nelle mie sere meno solitarie.

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T.

Felino parlante, graffiami di musica
rhytm’nblues nella chitarra di una bimba
con una valigia sfavillante.
Può “legge” e “cuore”
essere un pensiero unico e leggero
come quel palloncino che mi vola sulle idee
di questo pomeriggio al Nord
verso il Sud della tua passione.
Das liebe is nur fur dich.

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Diam

Fiamme ai tuoi piedi
sali sorridente e ciarliera
non più lacrime salate
non più quel male distorto.
Il cammino può chiudersi
il ritorno diventare
andata senza fine
nella casa di bolle
soffiate dalla tua anima.

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Aka

Dioscuro vestito lucido
sapere e sentire nel tuo cortese sorriso
parola spedita nello spazio.
Che importa se l’io è dominante
quando offerto con grazia.
Occhi, orecchie, mani che cercano
domande in oceani mentali.
L’oriente vicino è radice
della tua benevolenza.

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Cleo

Sole sulla città amara
cammini nervosa, lo sguardo si stringe
dentro al groviglio
di io, tu, noi.
Mare di acqua dolce
profondo in quella parola
che dà la forza al sentire.
I grazie che mando come baci
non saranno mai abbastanza.

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Yle

Nervi sensati
lucide stanze in disordine
piccole punture
benedicenti.
Agro e dolce nel pixel
sfumato in risate sagge.
E’ la mente che comanda lo stupido sentire
nelle droghe autoprodotte
da fantasmi inesistenti.

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Past

Past is past. Now is now. Will future be? Bit of a smiling mask, as usual. Tears behind, breeze on my hair. Dreams floating all over, of green eyes and sunny showers.

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Light

Non mi stancherò mai di elogiare la mia bici. Leggera, elegante, mi ha portato oggi pomeriggio in giro per la città. E leggera è stata questa giornata di precoce primavera. Una canzone dei Prefab Sprout, gradevole e agrodolce, con un pizzico di ironia, mi ha accompagnato.

Cruel is the gospel that sets us all free,
then takes you away from me.

Ho usato gli occhiali scuri, sì, ma solo perché c’era un sole splendido. Sorseggio un bicchiere di Montepulciano d’Abruzzo, stasera, e penso ai prossimi viaggi, al giorno in cui rivedrò il Liverpool Waterfront, ai colori del mondo che mi riempiranno lo sguardo e alla musica che continuerà a fluire nelle mie orecchie. Sun on you, miei cari, vorrei che vedeste coi miei occhi.

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Quando

Quando la pianterete di litigare? Quando tornerete a baciarvi? Quando sarete di nuovo tutt’uno? Quando vedrete con gli stessi occhi? Quando i vostri occhi non saranno più nascosti dagli occhiali scuri, nelle mattine di sole o di pioggia che siano? Vi amo, tutti e due. Non fatevi male, permettete che io respiri. Che possa vedere il mondo come prima. Che la notte non morda più. Che il mattino sia leggero.

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Move on up

Ok, il governo è caduto. Ok, è un periodo che ho degli alti e bassi veramente molto, molto intensi. Ok, sto diventando, diciamo di mezz’età? Ok, sono un po’ brillo. Mi vedo questo film sul calcio e sugli angloindiani, una commediola cosmopolita semplice e deliziosa (Sognando Beckham), e ho nostalgia dell’Inghilterra e della sua multirazzialità, dei ristoranti etnici indiani, cinesi, messicani, dei pubs e dei cabs. E del loro calcio, del loro tempo schifoso, dei mattoni rossi, dell’eterna luce estiva e dei loro parchi. Soho, a Londra, Toxteth, a Liverpool, Renshaw, a Manchester. E in Sognando Beckham, ad un certo punto, durante una scena dove le ragazze della squadra di calcio si allenano, si sente ‘sta gran musica, Move on up di Curtis Mayfield. Il sangue mi scorre nelle vene. E domani è Venerdì, e perchè lasciare il blog con una canzone triste durante il fine settimana? Quindi, beccatevi Move on up, e state bene. E basta con le (mie) cazzate. E cascasse il mondo , Mercoledì prossimo vado a giocare a calcetto con i miei amici. Baci da Greg.

Stufo (su PACS, commenti ed imbecilli)

Oggi ho ricevuto un commento da una blogger: mi ha scritto che è costretta a moderare i suoi commenti, dopo avere pubblicato un post molto ben fatto e documentato sui PACS. Il post è in home page, tra i cinque più votati. Era continuamente oggetto di insulti e schifezze varie. Ovviamente anche perchè è una ragazza, e scrive chiaro come la pensa, su questo ed altro. La cosa mi ha colpito molto. Sono più di due anni che scrivo su questa piattaforma, e non è la prima volta che sento di queste storie. Sono stufo di sentirle. Così come non mi piace vedere in giro blog con gagliardetti, fiamme tricolori, asce bipenni e armamentari varii. Ognuno ha le sue idee, io le mie. E lo scrivo. Metto su un bel simbolo della pace, e spero che sterilizzino prima o poi la proverbiale mamma degli imbecilli. Anche se la speranza è vana.
P.S.: ovviamente sono FAVOREVOLE ai PACS, e trovo che la Chiesa ed i politici che sono contrari alla loro introduzione abbiano una posizione BIGOTTA, IPOCRITA ed ARRETRATA. W Zapatero! Continuiamo: Sono antiprobizionista, sono favorevole all’eutanasia come si pratica in Olanda, sono stato contrario alla guerra in Irak, sono per il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan, sono per la tolleranza ed il rispetto delle culture degli altri (sì, inclusi i musulmani, proprio loro), sono per il voto agli immigrati, sono per la libertà sessuale (quando non significhi violenza e pedofilia), sono antifascista…

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Goodbye, Mr. Nice Guy

Quando metto su Hopper, le cose si mettono male. Per me. Nessun motivo particolare. Nessuno da incolpare. Dharma e Greg si mordono. Si prendono a calci. E’ così. Mr. Nice Guy non è così nice. Nessuno è mr. Nice Guy. La stanchezza mi forma dei cerchi sopra la testolina da prof. che pretende di sapere. E che invece non sa un bel niente. Di se stesso, soprattutto. Passerà? Ma certo che passerà. Bit of a smiling mask, nel frattempo. E sotto la maschera, le occhiaie, i rimorsi, i punti neri in fondo agli occhi. Mr. Nice Guy si prende una vacanza. E io aspetto che ritorni, con le sue musichette e le sue parole soffici. E Dharma e Greg faranno la pace. Quando? Difficile dire. Sorry.

Ultimo minuto: mail arrivato mentre scrivevo il post.

“…Mi scuso per la dimenticanza dettata da dimenticanza….”

troppo bello, no?

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Urquhart weeping


Ti porterò sul Clyde, o sul Firth of Forth. Vedremo l’erica, e raccoglierò un cardo per te, le nuvole che scorrono sopra le Highlands verde bruno. Giocheremo a nascondino dietro i muri dell’Urquhart Castle, accanto al Loch dal colore plumbeo. I gabbiani sulle montagne di Skye, il mare che insegue il cielo e le rocce grigie. Saluteremo l’Edinburgh Castle con la mano sulla fronte, ci struggeremo davantti alle ciminiere di Glasgow. Shortbreads a colazione, mia cara, o marmalade di Dundee. Ci ammaleremo di whisky e malinconia, prima che il sole colpisca oltre le Ebridi. Il cielo di Scozia si apre, per sorriderci, ma solo un momento, prima di riprendere a piangere.

Black is the color of my true love`s hair
Her lips are like some roses fair
She has the sweetest smile and the gentlest hands.
And I love the ground whereon she stands

I love my love and well she knows
I love the ground whereon she goes.
I whish the day it soon will come
When she and I can be as one

I go to the Clyde to mourn and weep
For satisfied I’ll never can be
I’ll write her a letter, just a few short lines
And suffer death ten thousand times

Black is the color of my true love`s hair
Her lips are like red roses fair
She has the sweetest smile and the gentlest hands.
And I love the ground whereon she stands

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You

Non scrivo molto di questi tempi, qui, ma ti penso.

Ti conosco da più di due anni, che è un tempo lungo. Sempre in contatto. Ti sei raffigurata come un leopardo. Metto la testa nelle tue fauci, mi morderai un po’, forse. Ma so che lo fai per me.

Sei bravo, una sfida intellettuale. Grazie della tua amicizia, e dei tuoi haiku.

Mia cara, sono stato vicino a te, sei stata vicina a me. Questo basta.

Sei un po’ pazza, ma sei forte. Ti ho spedito un messaggio per il nuovo anno. Grazie.

Pensavo fossi più distante, ma io sono molto, molto tardo. Chiacchieriamo ancora un po’ del tempo, dai. Come gli inglesi.

Siamo stati vicini. Ci siamo allontanati. Colpa mia. Ti penso, comunque. Mi piace immaginare che ogni tanto passi da queste parti, come faccio io con te. Mi piace immaginare che i tuoi occhi non siano così tristi, solo verdi. E che riesca a darti il libro che ti ho promesso.

Riservata, in apparenza, ma ti piacciono gli Who. Auguri per tutto. Keep in touch.

Auguri anche a te, fiammella destra. Stai passando uno dei momenti più belli della tua vita. E mi fai ricordare il mio.

Hai raccontato il tuo inferno, e mi hai commosso. Ma riesci anche a farmi ridere. Come pochi. So che stai bene, e forse hai ritrovato il cuore. Ne sono contento. Sei un collega, e io stimo i miei colleghi.

Sei come il caffè, mi tiri su. E non sei cinica, no no no.

Se non ti cito, non ti ho dimenticato. Ho solo poco tempo.

Tu che passi regolarmente e mi saluti.

Tu che passi regolarmente e non lasci scritto. Non ha importanza. Va bene lo stesso.

Tu che sei arrivato qui la prima volta, grazie.

Ti dedico questa canzone. Mi piace pensare che la senti a volume alto, al lavoro o a casa. E che metti le tue braccia davanti e le agiti su e giù, a tempo. Come nelle feste, quando si cazzeggia un po’. Se non ti piace la musica, o se non riesci a sentirla, beh, leggi questi versi, li ho tradotti per te. Parlano di un uomo un po’ matto, che crede nell’impossibile. Li hanno scritti i REM.

Voglio i colibrì, voglio gli orsi danzanti
I più dolci sogni di te
Guarda dentro le stelle
Guarda dentro la luna

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Neil

Due anni fa, durante i miei frequenti viaggi in macchina, lo risentii alla radio. Era un po’ che non sentivo Neil il giovane. Neil Young ha accompagnato la mia adolescenza. Il suo splendido album “Harvest” ha significato moltissimo per me. E quando lo ricomprai e lo risentii in CD, fu una magia. Rocker tenero e duro al tempo stesso, chitarrista con un sound molto particolare. Tengo un piccolo pezzo della mia vita cucito alle sue canzoni. Alcune le sapevo suonare alla chitarra e cantare, i miei amici mi dicevano “Ah Se’, facce Neil Young”, e io pronto eseguivo. Lui ancora suona, ed è bello saperlo. Heart of Gold, con la sua armonica, mi scalda, mi gira dentro. Cerca il cuore d’oro, Neil il giovane, come tutti noi. Scava, va a Hollywood, attraversa gli oceani, gli oceani della vita. Non lo trova, e c’è un pizzico di ironia nei suoi versi. Uno dei grandi meriti della mia pazza e lunga stagione blog è quella di avermi rimesso in gioco con la musica, sentirla, accarezzarla, sognarci dentro. E di pensare alla ricerca del cuore d’oro. Oggi c’è un sole splendido, chissà, forse la ricerca sarà più dolce per tutti.

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Palmland

Sono steso sul letto, vestito, lucina accesa. Lui è lì fuori, flottante nel buio del cortile. Mi aspetta, come un cane fedele. Sorrido nella penombra, spengo la luce, trovo la tenda, la tiro, apro la finestra. Lo tocco, il mio tappeto di seta viola, scavalco e ci salto sopra. Si affloscia leggermente, ma non come due anni fa, quando pesavo di più. Il cuore non è dimagrito, il resto sì. Lo accarezzo, gli dico qualche parolina e lui parte. Vola sopra la città nebbiosa, sopra la pianura silente, sopra il fiume di macchine dell’autostrada. Case, fabbriche, gatti sui tetti, uccelli addormentati, vi saluto. Lontano, lontano dai dolori e dagli affanni vacui, dalla gente che scassa l’anima tutto il giorno, dalle donne e dagli uomini di buone intenzioni e di buona volontà. Niente spirali, niente angoli, niente picchi e valli. Onde sotto, nuvole sopra. Verso Palmland, dove il caldo è più caldo, ma lo senti meno. Sulla spiaggia, a sgrovigliare fili coi denti e contare con le dita, aspettando che le noci di cocco cadano sulla sabbia. Guardando il blu attenuato dal corallo rosso. Vuoi venire con me?
(Gennaio 2005, perso e riscritto Gennaio 2007)

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tick tock (prima di dormire)

Piccole mani
stringono, afferrano
strane idee confuse
scintille nella nebbia
passanti mormorano
tick tock in stanze vuote
sdraiarsi nel letto freddo
e dirsi click, adesso stop
beauty in the garden
ain’t it good
ain’t it bad
put a brave face on
bit of a smiling mask
green eyes in my dreams
sparkling diamond
still on my brow.

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Su “soprabiti…”

Il mio penultimo post (soprabiti…) non è rivolto a nessuno in particolare. O meglio, è rivolto alle persone alle quali sono più legato alla blogsfera, ma non solo a loro. Ho utilizzato frasi già scritte, ed un’immagine che avevo già mostrato. E’ solo un modo per cominciare questo 07 da belle sensazioni dello 06. Vorrei che chi leggesse queste mie sciocche righe, ne uscisse con un lieve, lievissimo sorriso, o in generale un pochettino meglio. Non sempre ci riesco, anzi, forse quasi mai. E’ solo una mia idea pazza, probabilmente. Ma continuerò a provarci. Sun on you

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Nick

Permettetemi di chiamarlo Nick. Non sono un grande lettore, anche se ho letto, e leggo abbastanza. Più della desolante media italiana, credo. Cioè, vedo un sacco di film, al cinema e adesso più spesso, a casa, su cassetta e DVD. Ho un bel po’ di dischi, e soprattutto la magia del secolo, l’i-pod. Ma leggo sempre meno. E per qualche motivo a me ignoto, scrivo su un blog. Il che, visto che devo lavorare, stare dietro a mia figlia da solo praticamente tutta la settimana, e tutte le altre varie incombenze, leva inevitabilmente spazio alla lettura. Durante le vacanze di Natale ho letto molto per i miei standard. Un giallo di Simenon (“Maigret si sbaglia”), un piccolo, straordinario romanzo cinese (“La storia del giogo d’oro”, di Zhang Eiling), un libro scritto assieme ad altri quattro baldi giovani dall’unico scrittore che conosca personalmente (“Q”, di Luther Blissett) e poi, in un impeto di furore lettorio (non letterario, ma lettorio, perchè ho letto, appunto) ho comprato “Una vita da lettore”, di Nick Hornby, all’autogrill, mentre tornavo a casa. Lo conoscevo già, Nick. “Alta Fedeltà”, “Febbre a 90”, “Come diventare buoni”, già letti prima. E questo lo sto divorando, spesso ridendo. Ce le ha tutte, Nick, per piacermi:

a) E’ inglese, ma non se la tira troppo, e notoriamente, per chi mi conosce, questo suona un campanello in me, visto che ho vissuto in Albione per un bel po’.
b) Conseguentemente, ha quello humour inglese che a me difetta, e che io A-D-O-R-O, tanto per essere chiaro.
c) Ha più o meno la mia età (lui è più vecchio, però, eh?) e quindi sono in sintonia su molte delle cose che scrive.
d) Gli piace la musica rock. Non è che i nostri gusti coincidano, ma insomma, ci si può intendere.
e) Fuma.
g) Gli piace il calcio, anzi è proprio fissato. Peccato che tifi per l’Arsenal, che rispetto, ma io tifo per la Roma, e per il Liverpool (lo so è una contraddizione, questa, ma che ci volete fare, è così).
Quindi, qualsiasi cosa lui scriva, mi piace. Da impazzire. Anche questo libro. E’ una raccolta di articoli pubblicati su una strana rivista, The believer, credo di ispirazione religiosa. Scrive dei libri che legge, un po’ li recensisce, un po’ li analizza, un po’ cazzeggia. La sua scelta è assolutamente casuale. Di questi libri, ne ho letti soltanto uno o due, e non ne leggerò più di tre o quattro. Ma non importa. E’ bello leggere ugualmente ciò che Nick scrive su di loro. Uno spettacolo. I passi migliori:
Quando parla di “Pompei”, il romanzo di Robert Harris, uno dei pochi che ho letto anch’io, e che ovviamente tratta bene, perchè Harris è suo cognato. Lo fa spudoratamente, e compatisce sua sorella, per il tempo che il cognatino ha speso a documentarsi sulla vulcanologia e sugli acquedotti romani. Comunque a me, “Pompei” era piaciuto abbastanza.
Quando rimprovera Cechov, perché nelle sue lettere alla moglie non non fa altro che chiamarla passerotto, tesoro, orsetto, uccellino etc. (“cazzo, datti un contegno, sei un gigante della letteratura!”).
Quando si ricrede sulla sua affermazione che la letteratura vinca sempre su tutto, dopo avere visto il primo gol di Reyes, neo-acquisto dell’Arsenal, una fiondata sul sette della porta avversaria. La parola che si dice di questi tempi: mitico.

Non ho ancora finito di leggere questo libro delizioso, ma mi ha regalato veramente dei momenti esilaranti. Bei momenti. Ne avrei bisogno più spesso. E me li cercherò. E me li troverò. Leggendo, guardando bei film, ascoltando musica, e vedendo le partite della Champions League, sperando che la Roma ce la faccia col Lione. Mi sono dimenticato qualcosa nell’elenco? Certo che sì, una cosa che incomincia per S e finisce per O, ma va da sé, è la migliore di tutte. Sono sicuro che Nick, e tutti voi, siate d’accordo con me. Love, w

P.S.: Non so se a Nick piace questa canzone dei Tears fo Fears. A me sì…

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soprabiti…

Psst… ehi… sono w, ciao. Ho rimesso l’immagine dei soprabiti, perché è ora di uscire di nuovo. Ci riprovo, a essere un po’ più Dharma, e un po’ meno Greg. Ci riprovo, ad arrivarti vicino. Quest’anno, un po’ meno Nord, ed un po’ più Sud, un po’ più scirocco, un po’ meno bora. E soprattutto, più chitarre elettriche e meno violini. Scambiamo il 6 con il 7, e ricominciamo. Metti su il tuo sorriso come se fosse il tuo vestito migliore. Ne vale sempre la pena. Love, w

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Lungo Dicembre

E’ questo il titolo dell’ultima canzone dell’anno, dei Counting Crows. La metto su, la ascolto e penso all’anno prossimo. Alla voglia che ho di ricominciare a sentire linguaggi diversi, vedere facce diverse, e ritornare a viaggiare. Da questa piccola, bella e ricca città, penso ai luoghi che visto e vorrei rivedere, ed a quelli che spero di visitare per la prima volta. Forse quest’anno c’è il Brasile. Non vorrei mai fermarmi.

Berlino con i suoi palazzi alteri e gelidi
Parigi con i suoi abbracci luminosi
Liverpool con i suoi tramonti sfolgoranti
LA con le sue palme svettanti su un cielo rosso fuoco
E chissà quante altre.

Il lungo dicembre sta per finire,
un altro giorno sul Canyon,
un’altra notte a Hollywood
è tanto che non vedo l’Oceano
penso che dovrei.

Buone feste, miei cari, sole su di voi w

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Respiro

Slaccio la cintura ed esco dall’auto, l’aria fredda che respiro mi apre i bronchi intasati dalle tante sigarette che sto fumando in questo periodo. L’anno tramonta, i suoi tardi bagliori colpiscono i miei occhi. Mi porto la mano sopra la fronte e guardo in là, con un mezzo sorriso che piano piano spunta dal gelo. Imparo ed insegno come funzionano i laser, scrivo strane storie su due computer, sei mesi bene, sei mesi male. Ingrasso, dimagrisco come mai mi era successo. La schiena non mi fa più male. Sento, e respiro, come non mi accadeva da ere geologiche. E’ questo il lascito, l’eredità. Per sempre. Il mezzo sorriso diventa intero, incomincio a camminare come ogni mattino con il lettore acceso, questa musica nelle orecchie. Il traffico impazzisce a Natale, bip bip, me ne curo meno del solito. L’importante è respirare, e ancora ci riesco. E miglioro. Le storie si ripetono, il loop si chiude, indefinitamente. L’anno tramonta, l’anno sorge. Tutto può succedere, e succederà in meglio. Lo auguro a voi, e a me. Respiro.

Breathe some soul in me
Breathe your gift of love to me
Breathe life to lay ‘fore me
To see to make me breathe
(Midge Ure)

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Gli occhi sul mondo

Così alla fine è morto in ospedale, nel proprio letto, senza passare nemmeno un giorno in galera. Barbaro sanguinario. 91 anni, più della vita media di un uomo. Ieri ho saputo la notizia della morte di Pinochet. E meno male che hanno deciso di non fargli i funerali di stato, anche se picchiano la gente che festeggia la sua morte. Gioia? Nemmeno un po’. Provo un sapore amaro, e pena per quello che successe in Cile negli anni ’70. E ricordo:
Quando ci fu il golpe in Cile, avevo tredici anni, mio padre mi spiegò. Incominciavo un po’ a leggere il giornale, ad informarmi. Altri tempi. Vidi le immagini dell’assalto alla Moneda alla TV in bianco e nero, con i caccia che sorvolavano il palazzo. Provai subito angoscia.
Dopo pochi anni vidi i film di Miguel Littin e ascoltai gli Inti Illimani, il Cile era in qualche maniera legato a noi, struggente paese all’altro capo del mondo, tanto dolore, tanta angoscia, paura. E sangue.
Nella nostra scuola proiettarono un documentario in bianco e nero sul golpe, sul ruolo degli americani in quel misfatto. Sparizioni e torture. Vidi ragazze della mia età piangere.
Nefandezze ne sono state compiute tante, nella storia, ma questa mi ha lasciato un ricordo più di altre. Mi ha fatto aprire gli occhi sul mondo. E il mio pensiero va là, in un paese dove non sono mai stato, ma che ho riscoperto ieri essermi vicino.

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Light fandango (revisited)

Ieri mi è capitato di risentire questo pezzo, stavo attraversando la strada mentre andavo in Facoltà, e l’opzione brani casuali dell’i-pod, tra i Nirvana ed i Pearl Jam, me l’ha disseppellita. Maledetto i-pod. Mi ha combinato un bello scherzo. Sentire questo pezzo è come rivedere un grande amore che hai perso, e che hai ritrovato più volte. Sai che devi dimenticare, sai che ti fa male, ma non puoi fare a meno di riincontrarlo, e di ricominciare. Mesi di deserto, questi, e i Procol Harum fanno capolino con questa canzone. E quindi la tengo su, sul mio blog, mi dimentico della storia che volevo scrivere, e ripropongo per la terza volta questo post. Non la levo, non la voglio levare. Forse dovrei, ma come quel tipo di amori là, la tengo e ci annego dentro. Certe cose sono così, indelebili, indimenticabili, perse e ritrovate, morte e resuscitate, anche se non dovrebbero, anche se fanno male. Ma alla fine fanno bene, fanno sentire vivi.

And I find it kind of funny
I find it kind of sad
The dreams in which I’m dying are the best I’ve ever had

Love w
(novembre 2006)


Quando ero bambino, la musica suonata con i grandi organi a canne nelle chiese mi emozionava tantissimo. Mi ricordo almeno un caso in cui ho costretto mia madre ad accompagnarmi all’uscita, perché mi veniva da piangere. Non so il motivo, ma mi ricordo questa sensazione così intensa che mi faceva sentire in una specie di spirale che girava, difficile a descrivere. In quegli anni (il 67, per la precisione) usciva una delle più belle canzoni rock melodico di tutti i tempi (a mio modesto parere), si chiamava “A whiter shade of pale”, dei Procol Harum. L’ho sentita da bambino, probabilmente nella versione originale, sicuramente nella versione cover con i testi tradotti in italiano e suonata da uno di quei complessi che meritoriamente traducevano il beat, doveva essere l’Equipe 84 o i Camaleonti, non mi ricordo, ma ho questa memoria di un varietà in bianco e nero dove la cantavano, mi ricordo anche i versi iniziali “Han spento già le luci….” . Sicuramente l’hanno ascoltata tutti, almeno una volta. Apre la canzone un’introduzione con un organo Hammond, la musica è ispirata a quella di J.S. Bach, anche se non è un estratto particolare, sembra scendere dal paradiso, e mi fa sentire un po’ proprio la stessa sensazione di quando ascoltavo l’organo in chiesa. Poi la voce (molto soul) del cantante apre maestosamente con questi versi:

We skipped the light fandango
turned cartwheels ‘cross the floor
I was feeling kinda seasick
but the crowd called out for more
The room was humming harder
as the ceiling flew away
When we called out for another drink
the waiter brought a tray

ed è una tensione continua, quasi un duello tra la voce e l’organo, che fa continuamente capolino, poi domina, poi ritorna in sottofondo, poi fa un assolo e così via. Semplicemente meraviglioso. Di questa canzone si è parlato e scritto molto. Se mi ricordo bene, Paul McCartney la cita una sua autobiografia, dice di averla sentita per la prima volta in un locale con qualcun altro (non vorrei sbagliarmi, ma doveva essere qualcuno degli Stones) e di averla commentata come un colpo di genio. Nel film “The commitments” due protagonisti discutono sul significato del testo, mentre uno dei due la suona con l’organo di una chiesa. Già, le parole. Il significato non è ben chiaro nemmeno a chi l’ha scritto. Io penso che in questo caso siano come delle macchie di colore che impreziosiscono questo splendido dipinto sonoro. L’ho risentita recentemente, e mi sono detto che sicuramente deve essere meraviglioso innamorarsi con questa canzone. Spero riusciate a sentirla mentre leggete questo post.
(giugno 2005, luglio 2006)

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Lettera aperta a Virgy (e sua risposta)

Cari membri dello staff,
sono un vecchio membro della community dei blog di Virgilio, sia di età che di anzianità di servizio, chiamiamola così. Ho letto recentemente un post pubblicato da milenaferrari (http://blog.alice.it/mil) dove si riporta una vostra risposta ad un suo mail, nel quale credo che lei riscontrasse difficoltà e/o problemi. Nel testo si propone alla cliente di passare ad altra piattaforma a pagamento (!), e si capisce che ci saranno grosse novità sulla attuale piattaforma di Virgilio. Desidererei sapere se queste novità prevedono l’obbligo da parte della comunità dei bloggers di Virgilio a passare ad un servizio a pagamento. Permettetemi un consiglio: non lo fate. Altrimenti prevedo una emigrazione di massa da parte degli attuali utenti (compreso il sottoscritto) su altre piattaforme gratuite. E l’attuale Community dei blogger, che è molto viva ed unita verrà dispersa. Un peccato, per noi, ma anche per voi. Pubblicherò questa lettera su post, e mi auguro di rendere pubblica anche una vostra risposta positiva (per noi ovviamente).
Come spesso dico, sole su di voi.

weller60
http://blog.alice.it/weller60
P.S.: metto su anche la più bella canzone che abbia mai sentito per convincervi…

Risposta di Virgy circa 10 minuti dopo (!)

ciao

c’e’ stato purtroppo un equivoco con milena… i blog sono e
resteranno gratuiti in Alice.

Per ora il servizio non e’ del tutto pronto (fra cui
personalizzazioni e altro), lo sara’ fra qualche mese, e abbiamo
proposto a lei e agli altri che avevno sperimentato problemi di fare
intanto la’ una registrazione, e di segnalarci lo user scelto in
modo che intanto “manteniamo gratuita la registrazione”.
C’e’ scritto chiaramente nella mail che lei ha deciso di
rendere pubblica.

E’ sempre gratuito, lo sara’, ma e’ una delle
personalizzazioni che dobbiamo, per l’appunto, completare rpima
del lancio del servizio, previsto in febbraio.

un saluto dallo saff di alice community

La canzone, il post e la foto li tengo lo stesso. Love w

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Repetita…

Sono seduto in soggiorno, l’ultima sigaretta prima di andare a dormire. Guardo lo zainetto blu che sostituisce la mia splendida borsa in pelle
da professionista, buttata in un angolo sotto la scrivania. Me la sono fatta regalare, ma non ci vado d’accordo. O meglio, non ci va d’accordo la mia bici. Già scritto, mi ripeto. L’estate è andata, ma in fondo me ne sono accorto solo adesso. Adesso, che i negozi si riempiono di addobbi natalizi e di merce da regalare. Agosto, Settembre, Ottobre, Novembre, li vedo da un tubo lungo e stretto. E’ ora di ricominciare, ricominciare a vivere e scrivere un po’ come prima. E aspetto il mio appuntamento con la pista da sci della Gran Risa, una vecchia amica difficile, ma affidabile, proprio come certi amici che ti sbattono in faccia la verità. W tende ad autocompatirsi, mia sorella era bravissima a darmi gli scrolloni. Wake up, silly boy. Mi ripeto di nuovo, scrivendo di un vecchio video di Elvis Costello che ho ricordato, e che mi fa sempre pensare alla mia esperienza blog. L’ho rivisto, ve lo propongo. Mi sento come Elvis nella macchina per fototessere, la gente entra e lo bacia mentre lui canta.

I wanna be loved
I just wanna be loved

E’ un po’ il desiderio di noi tutti, no? Semplice, voglio essere amato, solo amato, sempre di più. Ce lo nascondiamo, talvolta, non ci vogliamo pensare, ma sotto sotto è così. Sorrido mentre spengo la sigaretta, seduto sul divano del soggiorno, ed il silenzio intorno mi sfuma i pensieri. Mi sto ripetendo ancora, meglio che guardiate il video.

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Here, now, again

Da oggi, e per un po’, lascio pubblicato questo post. Virgy, Alice, Matrix, vi prego, non fate scomparire tutto questo. And you, Paul, play it again, please. Love, w

“…To rise above the lies
‘Cause what we’re dealing here with today is a love thing
Right here, right now
Now listen…”

Un paio d’anni fa (circa) diventavo un blogger. Non sapevo che cosa significava esattamente. Ero in un grande laboratorio, durante i tempi morti di un esperimento. Ci sono molti tempi di attesa, negli esperimenti, ma non si può andare via, bisogna sempre stare attenti che gli strumenti funzionino. Stavo lì, annoiato, davanti ad un computer, di sera, da solo. Era un weekend. Conoscevo i blog famosi dei giornalisti, degli scrittori, ma scoprii che si poteva creare un blog con facilità, immediatamente. Curiosai un po’ tra i blogger di Virgilio, e fu come diventare un astronauta, un esploratore in altri pianeti. E mi dissi: “why not?”. Ne creai uno. E’ diventato una parte di me. Scrissi, cosa che non avevo mai fatto prima. Raccontai e racconto ancora sogni, cose che mi accadono, film che vedo, musica che sento. Ma soprattutto leggo. L’anno scorso scrissi una storia per il primo anno, oggi ho riletto alcuni post vostri. Alcuni bloggers non sono più in attività, con altri non ho più contatti, altri li ho incontrati da poco, alcuni post che ricordavo non ci sono più. Perfino un pezzo del mio blog non c’è più, per mia dabbenaggine. Ma ciò che ho letto è meraviglioso, ve ne propongo una personale selezione, in ordine più o meno cronologico. Non è esaustiva, ne potrei mettere molti altri, ma non ce la faccio più a rileggere, per ora basta così.

Jed dalla dentista:
qui

Cleopa a spasso per la sua città:
qui

Law & Religion:
qui

Il pranzo di Matu:
qui

La domanda di Marihellen:
qui

Le notti stellate di Kuccimol:
qui

L’arrivederci di Lara (che dolore…):
qui

L’amore di Pietro:
qui

Her Majesty gets Closer:
qui

La pasquetta de paura di Est:
qui

Ana fa flop (flop):
qui

Le piccole magie di Nina:
qui

L’Inghilterra mia e della gattina del Cheshire:
qui

Gli intrecci della dea:
qui

Le cose che piacciono a Emma:
qui

I fraintendimenti della Iena:
qui

Aka piccolo pescatore:
qui

L’amore di Bill:
qui

Una visita di Lenin72:
qui

L’ultimo di Ju, veramente difficile scegliere e scelgo questo. Tutti emozionanti:
qui

Questo è quanto, grazie per i momenti che mi avete regalato. Il sole splenda su di voi. Love w

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Here, now

“…To rise above the lies
‘Cause what we’re dealing here with today is a love thing
Right here, right now
Now listen…”

Un paio d’anni fa (circa) diventavo un blogger. Non sapevo che cosa significava esattamente. Ero in un grande laboratorio, durante i tempi morti di un esperimento. Ci sono molti tempi di attesa, negli esperimenti, ma non si può andare via, bisogna sempre stare attenti che gli strumenti funzionino. Stavo lì, annoiato, davanti ad un computer, di sera, da solo. Era un weekend. Conoscevo i blog famosi dei giornalisti, degli scrittori, ma scoprii che si poteva creare un blog con facilità, immediatamente. Curiosai un po’ tra i blogger di Virgilio, e fu come diventare un astronauta, un esploratore in altri pianeti. E mi dissi: “why not?”. Ne creai uno. E’ diventato una parte di me. Scrissi, cosa che non avevo mai fatto prima. Raccontai e racconto ancora sogni, cose che mi accadono, film che vedo, musica che sento. Ma soprattutto leggo. L’anno scorso scrissi una storia per il primo anno, oggi ho riletto alcuni post vostri. Alcuni bloggers non sono più in attività, con altri non ho più contatti, altri li ho incontrati da poco, alcuni post che ricordavo non ci sono più. Perfino un pezzo del mio blog non c’è più, per mia dabbenaggine. Ma ciò che ho letto è meraviglioso, ve ne propongo una personale selezione, in ordine più o meno cronologico. Non è esaustiva, ne potrei mettere molti altri, ma non ce la faccio più a rileggere, per ora basta così.

Jed dalla dentista:
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Cleopa a spasso per la sua città:
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Law & Religion:
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Il pranzo di Matu:
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La domanda di Marihellen:
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Le notti stellate di Kuccimol:
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L’arrivederci di Lara (che dolore…):
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L’amore di Pietro:
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Her Majesty gets Closer:
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La pasquetta de paura di Est:
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Ana fa flop (flop):
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Le piccole magie di Nina:
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L’Inghilterra mia e della gattina del Cheshire:
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Gli intrecci della dea:
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Le cose che piacciono a Emma:
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I fraintendimenti della Iena:
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Aka piccolo pescatore:
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L’amore di Bill:
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Una visita di Lenin72:
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L’ultimo di Ju, veramente difficile scegliere e scelgo questo. Tutti emozionanti:
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Questo è quanto, grazie per i momenti che mi avete regalato. Il sole splenda su di voi. Love w

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ventiminuti 4

E così, sono stato costretto a comprare una macchina nuova. La vecchia era morta definitivamente. Portata la figlia a scuola, ventiminuti per l’ufficio, anzi no, un po’ di più, che traffico. E non riesco a sentire la mia radio preferita, segnale troppo debole, o radio peggiore, non so. Devo fare benzina, mi fermo al solito distributore, nella via satura di macchine. La benzinaia è una donna minuta, scura di capelli, magra, occhi grandi ed espressivi. Non ha molti più anni di me, ci conosciamo già da un po’, ed è già nonna. Il marito non c’è oggi, vedo il suo cane, un boxer di nome Ettore tranquillissimo che vaga per la piazzola. Vado alla cassa per pagare, mi aspetta silenziosamente. Dietro di lei un televisore, ed un videoregistratore. Li ho visti accesi più di una volta, con su cassette di cartoni animati, per la nipotina. Spesso la tiene lei, dietro il banco, su un passeggino, o una sedia, non so, è quasi invisibile ai clienti che vengono a pagare. Le chiedo della bambina:
“Quanti anni ha?”
“Tre”, mi risponde, e fa il segno del numero con la mano, chissà perché.
“Va all’asilo, allora…”
Lei annuisce:
“Oggi però è qui, dorme, non ce l’ho fatta a portarla, devo tenere aperto, sono sola.”
Poi inaspettatamente, aggiunge:
“Venerdì mi sa che devo chiudere per forza, devo andare a Bologna, al Tribunale dei Minori…”
Io la guardo:
“Per lei?” e faccio un cenno verso dove immagino che la bimba stia dormendo.
Lei annuisce, e mi racconta la storia. La madre non la vuole, il padre la vuole dare in affidamento a un istituto. I due sono separati, il padre è in Calabria (la loro regione di origine) e ama ancora “quella donna”, come la chiama lei. Spera di ricattare “quella donna” con la minaccia dell’affidamento in un istituto, e di non farle più vedere la figlia, per farla tornare da lui. La nonna si oppone, e vuole tenere la bimba con sé. “Io le dò di più che non una marocchina”. Non capisco bene, forse intende una donna che lavora in un Istituto. Chissà perché mi racconta questo, un cliente che a malapena conosce. Ha gli occhi un po’ lucidi. Penso alla bimba, alla nonna, e mi viene un groppo in gola. Le faccio gli auguri, lei mi risponde con un “grazie” meccanico, mi volto e vado in macchina. Metto gli occhiali scuri, e penso alla storia, ed alle altre storie che sento, o leggo. Troppe storie, di questi tempi. Mi viene da piangere, parto e vado in cerca di sigarette. Il sole non mi scalda più.

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Stormer

Esco fuori sulle scale di emergenza del mio Dipartimento. C’è una formula che non capisco, meglio schiarirmi le idee con una bella sigaretta. Domani la devo pure spiegare ai miei studenti, diligenti ed attentissimi. Due ragazze sono pure carine, serie e sveglie. Mi piacciono, anche se non dovrei dirlo.
Incontro il postdoc romano. Magrissimo, occhiali spessi, ricci che avrebbero bisogno di un po’ di forbici. Timido, mi saluta. Fumiamo silenziosamente, è già un po’ buio. Rompo il ghiaccio. Un po’ di romanesco:
“Ce sei stato a Roma per er ponte?”
“No, ce so’ stato du’ settimane fa.”
“Io nun me ricordo più… Pasqua, cazzo, era Pasqua.”
“Filippo, Filippo c’è stato. Dice che era bellissimo.”
“Chi ce l’ha fatto fa’, a veni’ qqua. Er sacro foco d’a scienza, ce l’ha fatto fa’.”
Lui ride, io continuo.
“Ce potevo rimane’, a Roma. Ce penzo ancora, m’avevano preso a’a Casaccia.”
“Mi’ sorella lavora là. E’ ‘na chimica.”
” ‘Na chimica? Beata lei.”
“Beata…”
La sigaretta finisce. Ci salutiamo. Occhi un po’ nostagici, un po’ divertiti. Roma, maestosa e incantata, aleggia.
Scendo giù, in laboratorio lo studente napoletano che lavora con me mi dice:
“Fatto. Vediamo se ora funziona.”
Il “cosa funziona” è troppo difficile da spiegare. Non funziona da troppo tempo. Abbiamo cambiato una cosa, e la macchina non va. Ma domani funzionerà. Tardi. Raccolgo le mie cose, i-pod e bici. E’ buio, nel parcheggio del campus. La bici va. E’ una Nuzzi in lega, leggerissima. Volo, sì, mi sembra di volare, i fari delle macchine, i passanti, le altre bici, è un turbine. Mi alzo sui pedali, mi piace usare sempre il rapporto lungo. Svicolo, salto sulle buche e sui marciapiedi. Arrivo sulla ciclabile, nel parco. Nel buio, gli extracomunitari sulle panchine mi osservano mentre canto. Me ne fotto. Fa freddo, un po’. Ma così è bellissimo. Perché? Perché stare male? E’ ora, quello che conta. Arrivo di corsa, la signora tunisina che mi aiuta in casa è lì, che mi aspetta. Niente cous-cous, ancora non me l’ha portato. Ma me lo porterà, sono sicuro. Sorride e scappa. Mia figlia guarda la TV, la bacio sui capelli. Domani devo spiegare perché un tizio di nome Stormer ha vinto il Nobel. Domani è ancora bello.

I know it takes
To the start of forever
That’s a long time
Such a long time
To be waiting
In the sun
In the sun

Love, w

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Advice

Arrivai sulle rive del Mersey.
Ci arrivai sulle onde dei Tears for Fears.
Li cantai a squarciagola, mentre la mia macchina passava sotto le indicazioni di Penny Lane.
Ghiaccio sulla strada, vento freddo. Double deck che giravano.
Telefonai dalla cabina rossa, e vennero a prendermi.
Buio, case abbandonate.
Conobbi mia moglie, nacque mia figlia. Nella sala c’era scritto “Liverpool is the pool of life”.
Consiglio per i giovani “dentro”: presto diventeremo più vecchi.

Love is a promise, love is a souvenir.
Once taken, never forgotten, never let it disappear

Sorrido, in questo pomeriggio di Novembre. Gli anni passano, le lacrime scendono. Le canzoni sono lì, che ci aspettano.

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Postcards from nowhere 3

Ho combinato una cappella in laboratorio. Niente di grave. Smontare e rimontare, al solito.

La mia macchina è ufficialmente morta. Solo bici.

La nebbia sta arrivando. Per ora è pioggerellina.

Liverpool, Parigi, Berlino, Trieste, Roma, San Francisco. Vorrei avere un mazzo con queste carte, sceglierne una a caso, e andare (tornare) lì.

Prendo il caffè come la signora col cappello che vedete. Immagino che lo stato d’animo sia lo stesso. Mi piace Hopper. Mi sa che userò un po’ dei suoi quadri. Gli chiedo scusa.

Edo, Claire, Elaine, Jamie, Tim, Horst, Dom, Manolo. Se ci siete, battete un colpo. Ritornate.

Dove sono? Il tomtom non funziona più.

Grazie fiammelle. Love, w

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Verrà

Verrà il giorno in cui mi alzerò dal letto sorridendo. Preparerò la colazione per me e mia figlia, senza troppi patemi. Mi raderò prendendomi tutto il tempo che voglio, canticchiando questa canzone. Mi farò la doccia e mi verrà un ‘idea per una bella storia, una bella vacanza, un buon progetto di lavoro. Verrà il giorno nel quale mi fumerò una sigaretta seduto sugli scalini del mio istituto senza i soliti pensieri scuri, guardando gli studenti che sciamano da un edificio all’altro, senza invidiarli troppo. Che ricomincerò a leggere il giornale senza interrompermi perché penso ad altro, che riuscirò a vedere il Film Bianco di Kieslowsky senza dovere smettere perché fa troppo male. Verrà il giorno che ricomincerò a lavorare senza interrompermi continuamente perché non riesco a concentrarmi, senza questo dolore che mi batte nel petto e nella testa. Che non sarò costretto a prendere l’EN per dormire. Qualunque sia il tempo, pioggia, neve, nebbia o sole, starò di nuovo bene. Mi metterò le cuffie dell’ipod e mi sentirò i Led Zeppelin, mentre torno a casa in bici dal lavoro, cantando a squarciagola come un matto. Verrà il giorno che andrò a sciare sulla Gran Risa, o che mi tufferò nel mare della Croazia, solo per il piacere di farlo, e non per scacciare le nuvole dentro. Senza che l’assenza di qualcuno mi pesi come un macigno. Senza i rimorsi e la sensazione di condanna che provo continuamente, Verrà il giorno che scriverò sul blog come facevo agli inizi, e sarà una festa. La nebbia sta per arrivare, lo stato di grazia non c’è più, ma il sorriso è dietro l’angolo. E’ solo colpa mia, è una cosa insensata, e sta a me uscirne. Love, w

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Acquario

Se avessi una casa un po’ più grande mi piacerebbe avere un acquario. Mi piacerebbe passare un po’ di tempo a guardare pesciolini multicolori che nuotano in un blu luminescente, nella stanza illuminata solo dalle lampadine nella vasca. Un pesce pagliaccio che si nasconde dentro una piccola caverna artificiale, un cavalluccio marino che mi guarda attraverso il vetro. Mi sentirei come l’uomo dalle ossa fragili che guarda quelle strane e deliziose immagini nella videocassetta che gli ha regalato Amelie. Luci e colori silenziose nella penombra, il piccolo Nemo che mi sorride, mentre mi allontano dal vacuo fragore del mondo che si avvita in spirali senza senso. Love, w
(Settembre 2005)

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Postcards from nowhere 2

Ieri sul Carso soffiava la bora. Le foglie stanno diventando gialle e rosse. Mi manca la bora, mi mancano i Krantz di Magda la mattina. Mi manca il freddo secco.

Ho portato mia figlia a visitare la sua ex-scuola. Un edificio incantevole, in mezzo al verde. I bambini le sono corsi incontro, la maestra ha interrotto la lezione. Sono stato là, mezz’ora, seduto su una piccola sedia, a vedere i bambini giocare a tombola in classe. La squadra di mia figlia ha vinto. La maestra mi ha chiesto: “ce la riporterà per l’anno prossimo?” Mi sono messo gli occhiali scuri appena comprati al Kompas Shop di Fernetti. Non sono riuscito a rispondere per la commozione. E’ stata una delle mezz’ore più belle della mia vita

Mia figlia mi ha portato a vedere lo stagno nel parco dietro la scuola. Niente girini, niente rane, con suo disappunto. In tutti gli anni che sono stato là non avevo mai trovato il tempo di andarci.

Il motore della mia macchina si è rotto in autostrada, mentre stavamo tornando a casa. E’ arrivato il carroattrezzi e ce l’ha portata in una autofficina sperduta in Veneto. Siamo stati là un po’, io e mia figlia, ad aspettare che mia moglie ci recuperasse. Da una villetta accanto all’autofficina una bambinetta è spuntata con un cane pastore. Voleva giocare con mia figlia. Povera, sperduta nel nulla della bassa.

Sono qui, nel mio ufficio, a preparare la lezione. Fra un po’ vado a pranzo. Non so se domani andrò in palestra, non ho la macchina. Forse sì, in bici.

Vorrei che Mary Poppins venisse da me con una scatola, io la aprirei e ne uscirebbero tutti i colori del mondo.

We never leave the past behind
We just accumulate

Love, w

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Mercoledì…

….un sogno che ho nel cassetto da qualche mese forse si avvererà…

…ricominciare dopo venti anni. Me ne fotto della schiena, me ne fotto dell’età. Ce l’ho ancora il mio judoji, i miei zoori, la mia cintura. Mi ricordo ancora un sacco di cose. E quando ho visto mia figlia salire sul tatami, e fare il rei, il fuoco è divampato. Fatemi gli auguri. Love, w

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Postcards from nowhere

Il sole è ancora caldo, la nebbia tarda ad arrivare. Meglio così.
Oggi ho sentito la prima canzone dei Beatles. Al Flanagan’s, il pub irlandese vicino al Cavern, in Matthew Street, i vecchietti con la birra in mano la cantavano a squarciagola. La memoria, che brutto affare.
La bilancia mi dice che sono dimagrito di 11 Kg. Sarà vero?
Sono arrivato ad un pacchetto al giorno.
I capelli bianchi sulle tempie mi spuntano come funghi.
Sabato vado in Slovenia.
A lezione mi sono sfiancato in una dimostrazione matematica estenuante. Corso nuovo, difficile. Studenti: sei. Ma sono delle perle.
Ricomincerò a praticare lo Judo?
Lo stato di grazia non c’è più.
Il cuore batte ancora, forte.
Giovedì era il compleanno di Something, dei Beatles (George Harrison). Oggi però è un altro giorno. E io aspetto ancora lo space cowboy…

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ventiminuti 3

La scorsa notte ho dormito tre ore. Capita. Il mio umore non era dei migliori stamattina. Poi il rush per accompagnare mia figlia a scuola. Sbrigati, sbrigati, sbrigati… la parola più usata da me negli ultimi tempi. In tempo, sì, in tempo, raramente facciamo tardi. Gli zainetti multicolore entrano, io mi volto e ritorno alla macchina. E i ventiminuti dalla scuola all’ufficio, sempre quelli. Ieri, oggi, domani. La radio locale che sento da quando vivo e lavoro qui mi regala questa perla. Why can’t we live together. I colori cambiano, i fiori risbocciano, il sole splende più vivo. L’organo a scatti, le percussioni, che meraviglia. Tutto assume un altro aspetto. Ed io che mi dico: adesso la metto su, non posso farne a meno. E’ quello che ho fatto. Buongiorno miei cari. Love, w

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LA

Sono stato in California solo una volta, per vacanza. Vorrei e potrei andarci per motivi professionali, e forse prima o poi ci andrò. La California è il paese che ho visitato di più dopo l’Italia. Sì, perché quando uno vede film o telefilm americani, questi sono per la maggior parte ambientati là. Guardare film o telefilm, se sono particolarmente belli, è un po’ come viaggiare nel tempo e nello spazio, e finirci dentro. Non è un’idea particolarmente originale, ma è così, almeno per me. Sono stato a Los Angeles per tre giorni, non l’ho sopportata, ne avevo paura, l’ho visitata pochissimo, eppure ne sono rimasto affascinato, in un certo modo. Ho visto scorci di posti che conoscevo già, tramite il cinema o la televisione. Questo ammasso sterminato di casette con giardino, ricchissime o miserabili , questa foschia permanente, i pozzi di petrolio sulle colline DENTRO la città, queste strade dove non cammina nessuno, perché tutti girano in auto, o, al più sui pattini ed in bicicletta, è finita, in qualche modo, dentro il mio cuore e la mia testa. Mi sembra incredibile, eppure potrei descrivere per filo e per segno ogni posto che ho visitato a LA, a differenza di altre città. Potrei raccontare dei surfisti a Malibu, della giostra di Santa Monica, del supermarket di Beverly Hills dove abbiamo comprato sushi che abbiamo consumato su una panchina al di fuori, assieme agli immancabili lavoratori “invisibili” messicani, degli attrezzi da culturismo a Venice, dei piccoli condo vicino Hollywood che io immagino abitati da aspiranti attori. Quando vedo film come Collateral di Michael Mann, o Jackie Brown di Quentin Tarantino, ripenso sempre al mio viaggio, e a quella sorta di sentimento struggente che mi prendeva durante la mia visita. LA, lo so che prima o poi ti rivedrò, e camminerò sotto le tue palme. Love, w

(Giugno 2005)

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Esco con Panda

Questo è un vecchio post. Parla di incontri e amici di tanto tempo fa. Still missing Britain.

Stasera esco con Panda. Panda e’ il soprannome che hanno dato ad Andy quand’era studente a Cardiff. Fa il lecturer in un college di Wrexham, una cittadina del Galles del Nord. L’ha scelto lui di andare a lavorare li’, certo non e’ Berlino, dove era prima. Ma lui e’ un gallese purosangue, in famiglia parla gaelico, e si sente questa missione di educare nel paese in cui e’ nato e dove sono le sue radici. Mai e poi mai vivrebbe in Inghilterra. Il mio amico-collega Ronan (altro celtico, ma di Dublino) lo ha invitato a tenere un seminario a Liverpool, e lui questa notte restera’ a dormire a casa mia. Io e Panda non ci conosciamo da tanto, ma siamo in sintonia, abbiamo lavorato bene insieme e siamo abbastanza amici. Lui e’ un bel ragazzo britannico (britannico si puo’ dire, comprende scozzese, inglese e gallese), alto, sorriso aperto e pronto alla battuta. Il suo accento gallese e’ splendido da sentire per me, anche se agli inglesi deve fare sorridere. Ho visto piu’ di un programma comico dove il gallese viene dipinto come un sempliciotto che ha dimestichezza (per non dire altro) solo con le pecore. Panda pero’ e’ in gamba, e gli piace uscire ed andare in giro per locali, questa e’ una cosa che gli manca nella sua nuova vita. I miss metropolys, mi manca la metropoli, mi confessa. Dopo essere passati per il mio appartamento, up we go. Chiamiamo il cab ed andiamo a mangiare all’Everyman, un ristorante self-service veramente speciale. E’ a due passi dall’Universita’, sotto un teatro. I piatti che servono sono buoni, molto meglio di quello che si potrebbe aspettare da un posto del genere. E’ pure segnalato in alcune guide. Serve un misto di cucina inglese, indiana, francese. Quiche lorraine, piatti vegetariani e dolci fantasmagorici, buonissimi, preparati con cura nella scelta degli ingredienti, soprattutto per quanto riguarda la provenienza e la genuinita’. Ad una certa ora la cucina smette di servire, e si passa alla birra. I frequentatori sono di tutti i tipi, prof. universitari (che essendo inglesi, sono ivariabilmente eccentrici), brave signore con tante borse dello shopping, immancabili studenti di tutti i tipi e colori, impiegati di banca nei loro vestiti blu gessati. Mangiamo, ma non ci fermiamo per bere. Andiamo ad uno dei mie pub preferiti, il Philarmonic, di fronte alla Philarmonic Hall (The Phil, la chiamano i locali). Un locale molto grande (maestoso, direi), pieno di gente che beve, parla e ride forte. Pinte di lager e di bitter, con Panda si parla del piu’ e del meno. Del fatto che in Galles adesso c’e’ una particolare attenzione nello studio del gaelico a scuola, che rischiava di venire sommerso dall’inglese. Ho visto in TV (a Liverpool si puo’ vedere il canale locale gallese) dei ragazzi di colore parlare questa lingua dolce e cantilenante, ovviamente a me incomprensibile, e mi ha fatto veramente uno strano effetto. Poi si parla di sport (celtici, ovviamente) e delle loro strane regole. Naturalmente anche di calcio e di ragazze. Dopo un po’, atterriamo in un altro locale, il Blue Angel. Un posto un po’ fetido ma, a suo modo, un piccolo museo del beat anni 60. Foto dei Beatles quando non si chiamavano ancora cosi’ e di altre glorie del passato. Tra le altre, una foto degli Stones quando erano gia’ famosi, mentre firmano un muro del locale. Il Blue Angel e’ in una zona decadente della citta’, piena di vecchi magazzini con i loro muri di mattoni rossi e sporchi. Questa zona, vicino al Mersey, e’ adesso piena di locali quasi invisibili di giorno, ma vivi e pieni di suoni e di gente durante le notti del weekend. Per le strade, cabs neri che passano senza sosta e che raccolgono gente , e’ incredibile, basta mettere fuori il braccio e ne arriva subito uno, che ti carica e ti porta in giro. Finiamo in un locale dove si sente acid jazz, gli ultimi drinks, i clubs chiudono alle tre. Prima di uscire, una ragazza mi chiede sorridendo se sono italiano. Naturalmente, le rispondo col sorriso piu’ largo che io possa fare. Panda si intromette,il giovialone, lei fa spallucce, mi saluta e se ne va. Ora di andare a casa. Per strada, sono ancora aperti i negozi di take away. Ragazze vestite benissimo che mangiano fish and chips dal cartoccio mentre camminano per strada, odori pungenti di spezie indiane. Fra qualche settimana tornero’ in Italia, Panda cambiera’ ed andra’ ad insegnare in una citta’ gallese dal nome impronunciabile, Aberystwith (pronunciate un po’ voi un nome cosi’).
Dopo molti anni, ci mandiamo ancora bigliettini natalizi e ci incontriamo alle conferenze. Chissa’ che un giorno non vada a mangiare fish’n’chips dalle sue parti, guardando il mare.
(Maggio 2005)

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Ancora soprabiti

Per un po’ è stato appeso. Ora di rimetterselo, ed uscire. Cool outside. E sorridere, un po’. British humour, mi manca. Go back to England. Be brit. Drizzle, lawn, football, pint of lager, coffee break, smile, smirk, pence, telly, have you got the time on you, mate? Miss you, Liverpool. Love, w.
…and corner shops, teapot, sunday breakfast, scrambled eggs, beans on toast, sunday paper, boring cricket, toons, booze, cabs, clubs, pubs, bars…

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Fiammelle

Non è un bel periodo, ve l’ho già scritto. Ho fatto un esercizio di narcisismo, stasera: ho riletto i vostri commenti ai miei post. E ho trovato un tesoro, che mi ha rimesso un po’ in sesto. Siete fiammelle, come si fa a non volervi bene? E ho deciso di postare alcuni dei vostri commenti che mi sono rimasti nel cuore. Sono lì, nel mio blog.Ce ne sono molti altri, ma non posso metterli tutti, purtroppo. Eccoli, mi emoziono ancora a leggerli. Non so quando tornerò a riscrivere un post decente, una storia o chissà che altro. Mi dispiace di avere perso i commenti del primo blog, che ho cancellato. Anche lì ce n’erano di straordinari (Lara Croff, Law girl, Jed ed altri). Ma questi li conservo nel mio cuore, nella mia mente, nei miei occhi.

Scritto da: esteban.77 il 10-01-06 alle 07:28 Auguroni anche a te. Abbiamo letto tutto, le storie sono piaciute moltissimo anche a Daniela. Spero tanto che non siano finite qua. Ti confesso che mi piacerebbe che fossi te Edo: è un personaggio malinconico, ma affascinante. Come mai usi cosi spesso l’espressione “ravviarsi i capelli”? Mi piacerebbe uscire a bere qualcosa con te, purtroppo so che non sarà facile. Ancora buon anno, Est

Scritto da: thedanix il 28-03-06 alle 21:22 carissimo weller anche per me leggerti è sempre un grande piacere, sia nei commenti che nei racconti, ti porti dietro la tua aura (concedimelo) signorile ed è una qualità che apprezzo molto. Su Moretti dici bene, quando avrai desiderio di andare a vederlo mi farà piacere leggere il tuo pensiero. ti abbraccio. la reine 🙂

Scritto da: kuccimol il 30-03-06 alle 18:16 Ciao. Mi hai fatto un complimento molto bello, davvero. E’ confortante sapere di riuscire a trasmettere qualcosa scrivendo, nonostante le mie limitate capacità. E poi adoro il mare, quindi tutto ciò che ha a che fare con esso (onde comprese!) mi va benissimo. Ciao, e grazie per essere tornato a leggermi. K.

Scritto da: anonimo (Anabolena) il 27-04-06 alle 16:04 mi dispiace e ti capisco, resta sempre il senso di colpa assieme alla vita, ti lascio questo, come un bacio: “Lessi con incomprensione e fervore queste parole che con meticoloso pennello tracciò un uomo del mio sangue: ‘Lascio ai diversi futuri (non a tutti) il mio giardino dei sentieri che si biforcano’ “. (Il giardino dei sentieri che si biforcano J.L.Borges) Ana

Scritto da: thedanix il 01-06-06 alle 11:21 si è vero i commentatori sono eccezionali, lo dico sempre sono la miglior cosa di questa esperienza. Salvo gli articoli per forza ma dovrei salvare i commenti altrochè!

Scritto da: anonimo (scemerentola, lapanchina) il 26-05-06 alle 10:59 Buondì, ho stampato e letto in viaggio Horst et Dom e volevo farti i complimenti, mi è piaciuto molto, ora mi leggo questa nuova storia…Sono ancora in mezzo letargo, ma ci sono.Baci Gabri

Scritto da: matu73 il 12-05-06 alle 11:29 le nanoparticelle sono golose, attirale preparando un buffet di nanoantipastini stuzzicanti: cocktail di scampi elettromagnetic i, positrone in carpione, tortino al neutrino… basta che sia un pranzetto di (quark) charm e che l’acqua non sia troppo pesante, senno’ gli viene l’heaviside di stomaco. non e’ una buona idea w, che ne dirac? 😐 … … …

Scritto da: anabolena8 il 25-05-06 alle 18:01 noia? sei la perona più hippy che conosco qui…(sorrido) , si anch’io…i post possono passare dallo strafottente alla vertigine, ma nei rapporti con gli altri Peace&Love…e ironia…ana

Scritto da: anonimo (diamanta) il 30-06-06 alle 09:17 …E le antenne si sentono perse, disperate, emettono ma non ricevono. Bip bip, niente segnale, per un po’ niente energia. Ma noi insegnamo un’altra cosa. L’energia assume forme diverse…. bellissime parole, molto vere, ma mi è sorta la domanda, ci sono antenne costruite per ricevere un segnale specifico, gli altri segnali li percepiscono ma non li decifrano… in tal caso? Cambiare la struttura dell’antenna vuol dire distruggerla per ricostruirla, o meglio lasciarla così? Ok ok stamattina fiammella un pò malinconica ^_^

Scritto da: gasolinedreams il 29-06-06 alle 15:46 Da qualche post a questa parte, mi ritrovo qui, qualcuno di diverso, di nuovo. Simpaticamente nuovo e maggiormente accessibile. Ti ho sempre letto volentieri, ma ti ho sempre sentito un po’ distante, con quel tuo aplomb all’inglese :-))). Forse è proprio perchè siamo così imperfetti che ricerchiamo la perfezione. Abbiamo bisogno di crederci, per avere un obiettivo superiore cui tendere. Una meta irraggiungibile e per questo fortemente desiderata. Ma hai ragione, è nella imperfezione la vera perfezione della nostra vita, in fondo, perchè in essa sta la diversità che ci aiuta a colorare l’esistenza. Yoko 🙂

Scritto da: mari_hellen il 27-06-06 alle 06:34 (questo è il mio preferito) leggerti oggi e’…..come dire stupefacente… …e nn saprei dirne esattamente il perche’…vedila cosi un’emozione che non si puo descrivere ma la si vive…ma passiamo oltre..un amico perche’ tale e’ al di la di ogni preconcetto mi consiglio di leggere un libro …..io mi persi fra quelle frasi teorie e spiegazioni in un capogiro piacevole…..p ermettimi di consigliartelo. …tu ovviamente lo leggerai con occhi diversi piu’ consapevoli…. Ruggero Pierantoni-vort ici,atomi e sirene.Immagini e forme del pensiero esatto edizioni electa…..non ti sentire obbligato ad acquistarlo era solo un consiglio..ti bacio marihellen

Scritto da: anonimo (anabolena) il 26-06-06 alle 13:21 Sergio, è veramente meraviglioso, la poesia della scienza, della verità senza se e ma, la particella di Dio…il principio e la fine…e noi, piccoli, ipocriti, lottando contro i nostri pregiudizi per crearne di nuovi il giorno dopo…e l’affano e l’amore…e tutto perchè ignoriamo l’esistenza della particella di Dio…che ci farebbe essere più umili, più rilassati e più hippy…Ti ringrazio infinitamente per questo post, per la poesia che ha e per la pace che dona. Ti ammiro veramente sai…è se c’è una strada giusta e sicuramente la tua perchè tu lo sei una persona serena e in pace con il mondo. Bacissimi, ana

Scritto da: anonimo (kuccimol) il 11-07-06 alle 22:19 Sei il prof. più adorabile nel quale mi sia mai imbattuta… ma i tuoi studenti lo sanno quanto sono fortunati? A presto… sto tornando… K.

Scritto da: anonimo (diamanta) il 14-06-06 alle 10:50 Wow… mi piace sempre di più questo “nuovo” e bello (visto che mi è stato detto che non lo so..) 😉 Weller, meno nascosto dietro i racconti e più “visibile”

Scritto da: anonimo (akamotasan) il 21-08-06 alle 17:20 Mi hanno raccontato che un cellulare ed un computer funzionano perchè è altamente probabile che operino, ma che potrebbero anche con tutta naturalezza non funzionare…na turalmente sono caduto nella fascinazione più pura. Akamota

Scritto da: thedanix il 03-08-06 alle 22:52 herr adoro quel che hai scritto, sarà che filosoficamente parlando sono gli stessi pensieri che condivido su taluni argomenti, sarà che a volte abbiamo bisogno che qualcuno traduca quel che abbiamo in testa. un abbraccio. la reine

Scritto da: diamanta_ il 27-07-06 alle 16:51 Se avessi avuto un prof di fisica come te, l’avrei amata…

Scritto da: gasolinedreams il 25-08-06 alle 12:52 Ciao Doc. Grazie del passaggio e della tua gentilezza. Tornerò? Credo di si :-), ho solo bisogno di tempo…ma intanto non smetto di leggere, qui e là…ci sono blog a cui resto affezionata e questo vale anche per il tuo. La storia di Giada è di una levità disarmante. Farò come lei, cercherò la mia pozza e quando finalmente ci avrò trovato dentro il mio sorriso, capirò che sarà giunto il momento di tornare e allora verrò a cercarti e canteremo :-)))). Ti sono ricresciuti i capelli? Ehehehehe…a presto. Un abbraccio. Yoko

Scritto da: akamotasan il 25-08-06 alle 14:40 Non mi hai semplicemente citato !!! Grazie, mi sento onorato-smetto di lavorare oggi.

Scritto da: cleopa78@v il 01-09-06 alle 16:01 ciao weller, scusa se ti sto trascurando un pò ma mi sono beccata il virus influenzale di fine estate, insomma sono due giorni che sono a casa con la febbre… pfui!

scritto da: layle74 12-09-2006 per quello che può servire, sappi che sarà un peccato non leggerti per un pò. 🙂 spero a presto…Yle

Scritto da: setteparole il 12-09-06 alle 19:13 La canzone l’ho ascoltata tutta e ti ho visto così malinconico lungo il binario. Anche tu fiammella. Spero che magari solo il tuo narcisismo non ti faccia andare via. Un abbraccio da un’eterna ragazza “un po’ ” più vecchia di te.

scritto da: under-pressure il 15-09-2006 alle 09:50 torna weller…e dammi il tempo, di scrivere un commento decisivo, o almeno decente..ti abbraccio…for te forte

Tornerò, sicuro. Love, w

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Paris match

…Sole attraverso la Tour Eiffel…

…pensando a chissà cosa mentre cammino sotto i portici di Place des Vosges…

…ti ho ancora negli occhi, è presto per scrivere.

The gift you gave me is desire
The match that started my fire

(à suivre)

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Au revoir

….Prima qui….

…e poi, soprattutto, qui

Au revoir, passerò per dare un occhio. Sole su di voi (e su di me, speriamo nel tempo). A Settembre con Edo & Claire, immagini e sogni ad occhi aperti. Love, w

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Narciso

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E così sono nella Home Page di Virgy. Ringrazio, ovviamente. Ho letto durante le vacanze che la celebre Pulsatilla, blogger e romanziera, afferma che i blogger sono tutti dei Narcisi, e li divide pure in varie categorie, elencate puntigliosamente da Natalia Aspesi nel suo articolo. Pulsatilla ha ragione, non sfuggo alla categoria, e quindi mi autocelebro un po’ anch’io. Ma dico grazie a voi che ogni tanto mi leggete, e mi commentate. Non siete tantissimi, e non credo nemmeno di essere tra “i vostri preferiti”, come recita Virgy. Ma tant’è, vi voglio bene, siete le mie fiammelle, e adesso beccatevi questa musichetta. Che il sole splenda su di voi. La leggenda di Narciso è qui . Love, w

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Welcome back home, silly boy

Oggi ho preso la macchina, mi sono fatto i soliti 300 Km, da solo, come per tanto tempo, e sono tornato a lavorare. Il traffico era lo stesso di sempre, la mia auto un po’ più vecchia, poveretta, mi sa che la cambio presto. Nel mio dipartimento sono tornati quasi tutti. Il mio laboratorio sempre là, le macchine sono silenziose, alcune smontate, per fare posto a nuovi esperimenti. Gli studenti che mi aiutano sono tornati. Scambi di idee, progetti nuovi, lavori da terminare. Telefonate, e-mail, moduli da compilare. Un articolo che è il risultato di un lavoro durato anni, accettato per la pubblicazione. Devo leggere, studiare, ho rimandato fin troppo certe cose. Saluti di qua e di là, e sì, sono dimagrito, sono abbronzato, stai bene, dove sei andato. Il mio compagno di ufficio è stato in Giappone, è ancora stordito dal fuso orario. Mi fa vedere qualche foto, poi arrivano i suoi collaboratori e discutono insieme di qualcosa che non so. Pausa sigaretta, fuori sulle scale a fumare con un giovane post-doc, arrivato da poco. E’ di Roma, e per questo provo una certa affinità con lui, mingherlino e con gli occhiali, un po’ spaesato, ancora. Lui mi spiega alcune delle ricerche che fa, io gli spiego le mie.Problemi da risolvere, difficoltà, soluzioni possibili, posti in cui si è stati. Spagna, Stati Uniti, Germania e così via. Che piacere, in queste conversazioni. Forse sono il sale del nostro lavoro. Ci si dà del tu, anche se la differenza di età e di posizione è quella che è, ma da noi usa così. Una volta la mia direttrice mi ha scritto un mail, e mi ha salutato scrivendo “besos”, neanche fosse Cleopa, o Ana. La malinconia che mi ha assalito per tutto il mese, i pensieri che mi hanno tormentato, sfumano, lentamente. Torneranno, oh sì, sarà dura rialzarsi, in piedi. Sono a casa, ora, e chissà perchè mi viene di scrivere così, non posso farne a meno. Domani torno in Dipartimento, e ricomincio, e provo amore per il mio lavoro come non mai. Mi tiene insieme, e ho l’idea per una nuova ricerca. Welcome back home, silly boy.

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Giada e le pozze magiche

Giada era una bambina di 9 anni vivace, allegra e curiosa. Aveva due trecce bionde molto lunghe e tante, tantissime lentiggini. Col suo visetto faceva strane smorfie che facevano ridere tutti i suoi amichetti. Le piaceva giocare a nascondino, con i suoi pupazzi di pelouche e a calcio, con i maschi, nel cortile del suo palazzo. Andava abbastanza bene a scuola, ma si distraeva spesso e le maestre la rimproveravano. Le piaceva inventare storie fantastiche con animali di tutti i tipi: leoni, foche, pinguini, squali, api e pappagalli, le scriveva su un quaderno rosso da cui non si separava mai, e faceva dei disegni bellissimi. Abitava con la sua mamma ed il suo papà in un grande palazzo, pieno di gente. Ogni volta che usciva di casa per sbrigare una commissione incontrava sempre qualche suo vicino: si fermava a chiacchierare con la signora anziana del piano di sopra, con il portiere alto e magrissimo, con la bambina immigrata dalla Tunisia qualche anno prima, e così via. Insomma, alla fine tornava a casa sempre in ritardo. La sua mamma la sgridava solo lo stretto necessario, poi guardava il suo viso tutto rosso, sorrideva e le dava una carezza sul volto. Che c’era di male, in fondo, se la sua Giada socializzava un po’? Un sorriso che dai e una chiacchiera che fai è come un investimento in banca, diceva sempre, prima o poi ritornerà con qualcosa in più.
Un pomeriggio d’estate, dopo che la scuola era finita, Giada era a casa, da sola, e si annoiava. Quasi tutti i suoi amici erano andati in vacanza, ed il palazzo si era svuotato. Anche l’amichetta tunisina era tornata al suo paese, mentre lei doveva aspettare ancora due settimane prima di andare al mare, perchè il papà e la mamma dovevano lavorare. “Quasi quasi mi faccio un giro”, pensò. Chiese il permesso alla mamma, che glielo accordò non senza averle fatto le solite raccomandazioni, scese in cantina e prese la bici, portando il suo zainetto con dentro una merendina, un succo di frutta, il quaderno rosso ed i colori. Uscì di gran carriera dal cortile del palazzo e si diresse verso la periferia della sua piccola città, dove si trovavano grandi parchi e delle bellissime ville, alcune molto antiche. Quel pomeriggio decise di fare una strada un po’ diversa dal solito, per vedere una zona che ancora non aveva esplorato. Le trecce le volavano dietro, mentre lei pedalava forte, sbuffando a più non posso. Capitò in una strada con degli alberi altissimi, molto vecchi. In fondo vide il muro di cinta di una grande villa, seminascosta dalla vegetazione. Arrivò al cancello, enorme e di ferro battuto, e si avvicinò per vedere l’edificio. La casa sembrava disabitata da molti anni, gli intonaci erano vecchi e scrostati, ed il cancello era tutto arrugginito. Le erbacce incolte erano alte, ma il vialetto di ghiaia che portava dal cancello alla costruzione sembrava ben curato. Giada smontò dalla bici e l’appoggiò al muro di cinta, fatto di pietra scura, e si avvicinò al cancello. Proprio accanto c’era la cassetta della posta dorata, che era lucida e pulita. “Che strano, tutto questo abbandono e la cassetta sembra nuova”, pensò. Toccò lo sportello della cassetta, che si aprì da solo verso l’esterno. Dentro c’era una grossa chiave, ed un bigliettino. La bambina, sempre più incuriosita, prese il bigliettino, dove c’era scritto “CHIAVE DI GIADA” in stampatello. “Una chiave per me? Come è possibile? A cosa servirà? Ma certo, ad aprire il cancello!”
La curiosità di Giada era così forte, che prese la chiave, e con essa aprì il cancello senza nessuno sforzo, perchè i meccanismi della serratura ed i cardini erano ben oliati. Giada percorse lentamente il vialetto di ghiaia, un po’ impaurita. Sapeva che entrare in casa d’altri non era una buona cosa, ma d’altra parte la chiave aveva il bigliettino con scritto sopra il suo nome, come se qualcuno le avesse fatto un regalo. Incominciò a girare intorno alla casa, dentro sembrava non esserci nessuno. Quando arrivò sul retro, vide un sentiero che si dirigeva verso una parte del parco dove il bosco era più fitto. Adesso Giada aveva un po’ di paura e di emozione, ma le vinse e proseguì. Il sentiero era sempre ben delimitato, e si vedeva chiaramente. “Ho 9 anni, sono grande!”, pensò, e camminò ancora più speditamente. Uno scoiattolo si arrampicava su un albero, non ne aveva mai visto uno vero, e tutta contenta di questa scoperta si addentrò nel boschetto. Qualche uccellino cantava, era ancora giorno e ci si vedeva bene. Dopo un po’, il sentiero la portò in una radura molto grande. E lì vide che si trovavano tantissime piccole pozze d’acqua, tutte uguali, di forma perfettamente circolare, con dei sassi tutt’intorno. “Che bello!” esclamò Giada, e si avvicinò alla pozza più vicina. Si chinò verso la superficie dell’acqua, che era scura. Poi, piano piano, vide apparire il volto di una bambina, ma non era il suo riflesso, la bambina era bruna, con i capelli a caschetto, le sorrise e le fece con voce squillante:
“Ciao! Mi chiamo Emma, vuoi sentire le mie storie?”
Giada era sorpresa, ma non aveva paura, anzi era molto divertita, la bambina era una gran chiacchierona, ed incominciò a parlarle del suo gatto che si chiamava Pinuccio, dei suoi genitori e dei suoi amichetti. Giada rideva, e commentava ogni tanto. Poi Emma smise di parlare e le chiese:
“E tu, che hai da raccontarmi?”
Giada prese il suo quaderno rosso, e le raccontò una delle sue storie, dove un leone imparava a nuotare da una foca. Emma sorrise e esclamò:
“Che bello! Adesso però devo scappare, mia mamma mi sta chiamando. Se vieni domani, possiamo raccontarci qualche altra storia… Ciao Giada!”
L’immagine di Emma sparì, e l’acqua tornò scura. Giada era contentissima, Emma era molto simpatica. Mentre vagava nella radura, sentì una musica che proveniva da un’altra pozza. Si avvicinò e vide il volto di un ragazzo che suonava il flauto, e la musica era così dolce che a Giada veniva quasi da piangere per la commozione. Il ragazzo si fermò, la guardò e le sorrise. Giada lo salutò, ma lui non si curò di risponderle, e riprese a suonare. Lei alzò le spalle e passò alla pozza vicina. Dentro vide l’immagine di una donna che parlava al telefono, sembrava litigare con qualcuno. La ragazza chiuse la comunicazione bruscamente, e si mise a piangere. Giada rimase lì, un po’ perplessa, finché la ragazza non si accorse di lei, le rivolse un sorriso dolcissimo, con le lacrime agli occhi:
“Ciao, ti chiami Giada, vero? Ho sentito la tua storia mentre eri da Emma, era bellissima. Mi fai vedere i tuoi disegni? Io mi chiamo Matilde, oggi sono molto triste, ma domani ti mostro qualche mio dipinto…”
Giada prese il suo quaderno e le mostrò il disegno di un’ape che giocava a calcio con una farfalla. Matilde sorrise di nuovo, annuì e svanì nell’acqua scura. Giada passò ad un’altra pozza, da dove provenivano delle risate. Vide un bambino che stava facendo delle smorfie divertentissime, raccontava delle barzellette, e poi rideva, rideva tanto. Anche dalle pozze vicine si sentivano delle risate. Giada gli mostrò il buffo disegno di un tricheco che mangiava pollo al ristorante, e il bambino fece una risata fragorosa:
“Oh com’è divertente!” esclamò, “Torni domani, Giada? Io mi chiamo Carlo.”
Giada era entusiasta di questo posto magico, e di tutta quella gente nelle pozze che la faceva divertire, e con la quale poteva parlare, come se fossero suoi amici. Ad un certo punto si rese conto che si stava facendo buio, era tardi. “Mamma mia, devo tornare a casa subito,” pensò,” e questo posto bellissimo è un mio segreto, non dirò a nessuno che ci sono venuta. E’ così bello stare qui, domani ci tornerò.”
E così fu. Giada tornò ogni pomeriggio a chiacchierare con i suoi amici nelle pozze, a sentire e raccontare storie, a vedere e mostrare disegni, a ridere e scherzare con Carlo ed Emma, i suoi amici preferiti. Un pomeriggio, andò alla pozza di Matilde, che aveva promesso di mostrarle uno dei suoi splendidi quadri, ma l’acqua rimase scura per un po’. Poi comparve un cartello con su scritto: “Matilde è andata via.” Giada provò dispiacere, e passò vicino alla pozza dove il ragazzo suonava il flauto. Nessuna musica, solo delle voci che litigavano. Il ragazzo urlava verso qualcuno,e quello che diceva non era per niente piacevole a sentirsi. “Mamma mia, come è arrabbiato”, pensò, “tornerò domani”. Andò alla pozza di Carlo, che le fece vedere un gioco di prestigio con le carte, Giada applaudì e le raccontò del pinguino che era andato in Africa su di un iceberg. Carlo le disse:
“Brava! Adesso però devo fare vedere un nuovo gioco di prestigio ad una mia amica, è un regalo solo per lei, quindi per piacere vai via e torna domani.”
Giada si arrabbiò un po’, ma alzò le spalle ed andò da Emma, che le raccontò di Pinuccio, poi si fece tardi ed andò a casa.
Il pomeriggio dopo, anche Carlo sparì dalla sua pozza. Al suo posto, c’era un ragazzo con i capelli lunghi che suonava la chitarra elettrica. A Giada dispiacque molto, Carlo era diventato un suo amico. Nonostante il ragazzo suonasse benissimo, Giada scoppiò a piangere, e tornò a casa, senza fare il solito giro dei saluti a tutti i suoi amici. E così, nei pomeriggi successivi, Giada scoprì che le persone dentro le pozze sparivano, magari riapparivano da un’altra parte, ma era difficile seguirle. Con un bambino di nome Marco una volta litigò, era suo amico ma era geloso di Emma, e ci rimase malissimo. Insomma, in quel posto non si divertiva più tanto, le persone a cui si affezionava cambiavano pozza, sparivano, litigavano fra loro e con lei. Un pomeriggio, poco prima di partire per le vacanze, si sentì così spersa e spaesata che si sedette per terra, singhiozzando, con il suo quaderno rosso stretto fra le mani. Si accorse di una pozza che non aveva mai visitato, si avvicinò e vide l’immagine di una giovane donna, che le disse sorridendo:
“Ciao Giada, sono la maga Bri, ho sentito le tue storie, sono molto belle. Perché piangi?”
“Non mi trovo più tanto bene qui, all’inizio mi divertivo tanto, ma adesso Carlo non c’è più, con alcuni amichetti ho litigato, ed altri sono spariti…”
“Amichetti? Eh, sì, qui se ne fanno tanti, ma non è proprio lo stesso che a scuola, vero? E’ più bello, ma può anche essere più brutto. La gente va e viene, cambia nome, cambia pozza, interrompe le amicizie e ne fa altre. Ma ricorda, sono solo pozze. Dietro c’è gente vera, in altri giardini magici come questo, ma ci si può vedere solo attraverso le pozze. E’ bello, ma non è proprio la stessa cosa che vederli direttamente. E’ una magia, non è come andare a scuola, o stare in cortile a giocare con altri bambini. Le magie sono una cosa diversa dalla realtà, e qui le persone spesso si comportano diversamente che nella realtà, forse perché si sentono più libere. Anche tu lo fai. Racconti le tue storie, fai vedere i tuoi disegni. Ma il resto? Il resto della tua vita? Non te la prendere troppo, è solo una bella magia, niente di più. Hai trovato la tua pozza, Giada?”
“La mia pozza?”
“Sì, la tua pozza. Cercala, e ti dirà qualcosa di importante. Vai, cara. Ciao! ”
Giada incominciò a cercare, ma non sapeva bene dove. Girò silenziosamente, poi vide una pozza con una targhetta, ed accanto un fiore. Sulla targhetta c’era scritto il suo nome.
L’acqua era limpida e rifletteva il suo volto, con le lentiggini e le trecce. Era proprio lei. La Giada nella pozza fece una smorfia e disse:
“Brava! Sei arrivata finalmente. Passa di qua più spesso, per ricordarti chi sei, chi sono i tuoi genitori, gli amici del cortile ed i compagni di scuola. Vedrai che non sarai più così triste come oggi. Prendi il fiore e piantalo in un vaso sul terrazzo. E’ un regalo di tutti noi, dietro le pozze. Quelli che ci sono e quelli che non ci sono più. Così che tu possa ricordarli anche a casa.”
E Giada così fece. Il giorno dopo partì per le vacanze, e portò con sé il vaso dove aveva piantato il fiore. Al ritorno dalle vacanze, ritornò nel giardino magico, a visitare i suoi amici, ricordando sempre di passare prima per la sua pozza.

You, I thought I knew you.
You I cannot judge.
You, I thought you knew me,
this one laughing quietly underneath my breath.

Questa ed altre favole le potrete trovare qui . Love, w.

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Neve su Los Angeles

Questa foto è stata scattata proprio dal punto in cui mi trovo a prendere il sole. E’ Ferragosto, sono le 11 di mattina e non c’è molta gente. Sembra impossibile, ma non lo è. Diciamo che è un posto improbabile. E questa sotto è la mia tenuta completa da mare.

Abbronzatura integrale, oh yes, e quest’anno sono anche dimagrito di otto chili. Che situazione improbabile. La mia canzone dell’estate è “Maybe Tomorrow”, degli Stereophonics, la sento ossessivamente sull’ipod, chissà perché.

Been down and I’m wondering why
These little black clouds keep walking around with me, with me …

Ripenso a quando l’ho sentita la prima volta, fa parte della colonna sonora di “Crash-contatto fisico”. Titoli di coda, scena finale, neve che cade su downtown Los Angeles. E’ mai successo? Mi sentirei di dire di no. E’ impossibile, il film lo rende possibile, anche se eccezionale. Possibile, impossibile, probabile, improbabile. Gli eventi si spostano da un aggettivo all’altro, molto spesso. Il confine tra impossibile ed improbabile, o probabile, o possibile, non è così netto come si può pensare. Nella mia amata scienza, la fisica, certi fenomeni si pensavano impossibili, adesso sono solo improbabili. E su scala ridotta, non c’è più concatenazione stretta tra causa ed effetto, gli eventi sono regolati da leggi probabilistiche. Ciò vale anche su scala grande, ma i margini di probabilità che un oggetto scompaia ed appaia da un’altra parte sono molto limitate. Come dice Akamotasan, c’è la possibilità, anche se ridottissima, che il mio computer naturalmente smetta di funzionare. Meccanica Quantistica, si chiama, la teoria che regola tutto questo, e Dio gioca a dadi. Penso alle azioni umane, alla nostra vita. I confini tra possibile ed impossibile si spostano. Atti impossibili, amori impossibili che diventano possibili e viceversa. Le nostre scelte giocano un ruolo in questo, ma non sempre. E poi c’è la lunga teoria dei “vorrei ma non posso”, dolorosa. E i sogni, possono diventare possibili? Una persona molto cara mi ha detto “scrivere è bellissimo, perché rende i sogni possibili”. E io l’ho fatto, confesso, ho scritto i miei sogni. E forse anche alcuni dei vostri. Colpevole. Colpevole di sognare ad occhi aperti cose impossibili. Di scriverle e renderle possibili. E qualche volta fa male, oh se fa male. Ma continuerò a farlo, sono recidivo. Non posso farci niente, sono un sentimental boy. La canzone degli Stereophonics finisce, la rimetto. Poi vado a fare un bagno, e la chiudo qui, senza conclusioni e senza certezze. Solo sensazioni.

So maybe tomorrow I’ll find my way home…

Love, w

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Prossimamente…

Tornato, per un po’. Per ripartire. Prossimamente scriverò. Molte storie, spero.
Neve su LA.
Giada e le pozze magiche.
Edo & Claire.
Professor Helga.
Propositi? Nessuno,a parte le storie. E quella sopra è un’immagine che ho visto. Sole su di voi. Love w

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ventiminuti 2

“Ciao stellina, vengo a prenderti alle quattro e mezza”, un bacio sulla fronte, lei non è troppo soddisfatta di questa nuova scuola, di questa nuova vita. La guardo mentre si allontana nell’androne, il senso di colpa si fa strada nel mio animo, scava un piccolo tunnel doloroso. Station wagon e fuori strada che vanno e vengono, bambini con zaini colorati e mamme in jeans e stivali neri che escono ed entrano di corsa, è tardi, il vigile urbano che aiuta i pedoni ad attraversare si allontana. Mi infilo nella macchina, non ho più tanto sonno, sono venti minuti dalla scuola al lavoro, accendo la radio e parto per il viaggio. Freccia a destra, tangenziale. L’uomo del giornale si sporge per esporre la mercanzia, non l’ho mai visto in faccia, porta una mascherina sporca di dubbia efficacia, la barba bianca è ingiallita solo dalla nicotina? Un tempo c’erano piccoli zingari che chiedevano l’elemosina a questo incrocio, una volta ho visto la polizia cacciarli via, le facce inespressive al semaforo sono rimaste, scivolano avanti e indietro mentre vado ed attraverso, il traffico si sgombra, il viale alberato con foglie rosse e gialle. Kay Rock radio station, siate benedetti, vi seguo da quando sono qui, grande musica con deejay che mi fanno ridere quando pronunciano i titoli delle canzoni, ma intanto a trovarle delle radio così In Inghilterra, non solo in Italia. Mi servono gli Eagles, non ricordo il titolo, coretti country “you can’t hide…….” ed arrivo al secondo grande incrocio. Una bella signora con un cappello nero attraversa la strada, una ballata avvolge la mia auto, non è presentata, ogni tanto i dj omettono di dichiarare il titolo, ma la riconosco subito, fa parte della colonna sonora di Big Fish. Titoli di coda, Pearl Jam, voce impastata di Eddie Vader, chitarra elettrica. Un padre che racconta storie incredibili, fantastiche, reinventa la sua vita, ed un figlio che non ci crede più. Splendide gemelle siamesi che cantano per i soldati vietnamiti, impresari di circo solitari che si trasformano in lupi rabbiosi, giganti che percorrono boschi con alberi animati, villaggi perfetti ed inesistenti da dove non si riesce più ad uscire, grandi pesci ed anelli di matrimonio. Storie ed alberi con foglie rosse e gialle, cammino con la mia auto, rivedo la bella signora col cappello che mi scivola dietro, telefonerò a mia moglie appena arrivo, da sempre insieme ma in due città diverse, ma finchè c’è vita c’è speranza. Le storie aiutano.
(ottobre 2005)

Sono in piscina, un bel po’ dopo. E’ estate, la scuola è finita, niente più ventiminuti. Ma l’ipod mi fa risentire la stessa canzone, mentre le stesse mammine sono in costume e prendono il sole, ed i bambini, compresa la mia, sguazzano nell’acqua. Guardo le piccole onde di questa pozza d’acqua, mentre fumo e ascolto Eddie che mi canta dell’uomo dell’ora, il protagonista del film, che se ne va per il suo ultimo viaggio a cavallo del grande pesce. Le onde mi distraggono. Le onde, già. Insegno che le onde vanno e vengono, che portano energia, la trasmettono, vengono emesse e vengono assorbite. E l’amore è una forma di energia, no? Le onde dell’amore e delle sensazioni viaggiano da una parte all’altra, e tra le persone, e le antenne ed i trasmettitori che siamo noi, emettono ed assorbono. Poi, puf, i trasmettitori non funzionano più, o si voltano da un’altra parte, e l’onda non arriva. E le antenne si sentono perse, disperate, emettono ma non ricevono. Bip bip, niente segnale, per un po’ niente energia. Ma noi insegnamo un’altra cosa. L’energia assume forme diverse, si conserva sempre. Sì, questo dovremmo tenerlo a mente. E poi, qualche altro emettitore funziona, funziona sempre. Circolo, energia che si conserva, che viene immagazzinata, onde che vanno e vengono. Questa non l’hai raccontata, uomo dell’ora. Sorrido, mentre mia figlia è impaziente, vuole che mi tuffo con lei. Aspetta, stellina, che l’uomo dell’ora non è ancora andato via, gli devo raccontare questa piccola, sciocca storia di un sentimental boy. Questa settimana ho raccontato molte storie a voi, già, molte più del solito. Adesso mi sento un po’ anch’io l’uomo dell’ora. Per ora basta, mi inchino, come canta Eddie, e vado a tuffarmi in piscina. La prossima settimana ritorno, perchè le onde vanno e vengono, e l’energia si conserva sempre.
(giugno 2006)

Apettando (ancora) lo space cowboy

Ieri sera ho avuto brutti pensieri. Brutta notte. Basta col blog. Poi oggi, in sequenza:
ho concluso un lavoro che mi trascino da due anni;
ho aiutato (e molto) uno studente in difficoltà;
ho comprato a mia figlia un paio di sandali che lei desiderava tanto.
E ho pensato: eccheccazzo, perchè devo smettere questa festa? Un anno fa (è un po’ che mi riferisco all’anno scorso, sto diventando autoreferenziale) scrissi dello space cowboy. E’ una figura che ricorre in alcune canzoni pop-rock degli ultimi 30 anni.

Steve Miller canta:

Some people call me the space cowboy, yeah
Some call me the gangster of love
Some people call me Maurice
Cause I speak of the pompitous of love

E poi, vent’anni dopo, ecco i Jamiroquai, un po’ acid, che mi ripetono:

This is the return
Of the space cowboy
Inter-planetary
Good vibe zone
At the speed of Cheeba
You and I go deeper
Maybe I’m gonna have to get high
Just to get by.

Beh, io lo aspetto ancora, lo space cowboy. Natale va via, ma poi ritorna. Le cose si rompono, ma possono essere riparate. Quanti baci ho preso qui, in questo anno e mezzo? Innumerevoli. Mettete su il vostro sorriso, come se fosse il vostro vestito migliore. L’acquario arriva, e la festa deve continuare. Love w

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Cuore a Ovest

Qualche settimana fa ho comprato una bicicletta nuova. Ero stanco di avere degli scassoni, pesanti e arrugginiti. E così…. ne ho presa una per percorsi misti, un po’ city ed un po’ mountain, in lega, leggerissima, senza parafanghi, con una quantità indescrivibile di marce. Quando la uso, è come guidare una macchina sportiva. E’ splendido. La prendo per andare da casa in ufficio, sempre più spesso. In questi giorni fa caldo, si suda, ma non m’importa. La prendo, e metto su un’altra piccola meraviglia, l’ipod. E oggi, mentre andavo con la musica che sentite, vedevo.

Vedevo surfers che aspettano l’onda dell’oceano, a San Diego.
Vedevo mammine toniche correre su pattini a rotelle, a Venice.
Vedevo la sabbia dorata di Santa Barbara.
Vedevo le palme del Sunset Boulevard contro un cielo di fuoco.
Vedevo l’acciaio rosso del Golden Gate sull’azzurro della baia di San Francisco.
Vedevo la costa scoscesa sull’oceano spumeggiante a ridosso della PCH.
Vedevo le foreste magiche di sequoie dello Yosemite National Park.

Tornerò lì? L’ho già scritto, la mia mente è a Est, ma il mio cuore a Ovest. Love w

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Su Dharma e Greg

Più di un anno fa in un vecchio post scrissi di una situazione in cui mi trovavo, e in cui mi trovo ancora adesso. Ecco che cosa scrivevo:
“Dolomiti e California, un bel contrasto. In questo momento vivo questa sorta di dicotomia, sono duplice, una parte di me (un po’ hippy, californiana, teenager) e’ riuscita fuori con prepotenza ed affianca lo scienziato (cosiddetto), il professore (cosiddetto), il padre di famiglia. Le due parti per ora convivono, non sono in conflitto tra loro, spero che duri cosi’. Mi piace essere il bravo paparino, ma al tempo stesso mi sento come uno dei boys back in town. Sono prof e studente, Ying e Yang, Dharma e Greg. E mi sento questa splendida musica che negli anni avevo dimenticato.” La musica era quella degli Eagles, in particolare avevo scritto di Tequila Sunrise, che avevo sentito in un rifugio sulle Dolomiti, durante il ritorno dalla Settimana Bianca. E siamo a Dharma e Greg. Avevo visto questa sitcom in Inghilterra, la definii “sciocchina”, con la spocchia da prof che ogni tanto mi esce fuori, e questo sollevò alcune obiezioni e proteste. Ed ero io che avevo torto. Ho rivisto Dharma e Greg, e l’ho trovato delizioso. E molto intelligente. E sapete che vi dico? Essere Dharma è molto più bello che essere Greg. Io adoro Dharma, la figlia di due hippy che non sono legalmente sposati per motivi ideologici, casinisti e disarmanti, nella loro splendida ingenuità. I due hippy sono molto più sposati in realtà dei genitori ricchi di Greg, che non vogliono fare sapere di essersi separati “perchè sono nel pieno della stagione delle feste”. Dharma è solare, ottimista, pasticciona, hippy anche lei e soprattutto, vuole bene a Greg e alla gente in generale. Vorrei essere come te, Dharma, ci sto provando, credimi. E per ricordarlo a me stesso, mi sono anche rimesso il vecchio braccialetto di rame con disegni celtici che avevo comprato in un negozietto new age, a Liverpool, tanti anni fa. Mia figlia l’ha notato subito; solo lei ha chiesto perchè l’avevo rimesso. Purtroppo devo essere anche Greg, qualche volta, ma almeno qui voglio essere solo Dharma. Queste sono le mie fermissime intenzioni. Love w

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Sparkling diamond

Mi piego e ti raccolgo
impolverato e grigio
piccola gemma scintillante
ti metto sul mio orecchio
e ascolto scariche elettriche
ti metto sul mio cuore
e sento calore e vita
la mia vita
ti metto sulla mia fronte
e mi incammino cantando
con la chitarra al braccio.

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Joe ed io

Ho deciso di tradurre questa canzone di Joe, l’ ho risentita oggi dopo anni (10? 15?) che non la sentivo piu’. Non so come abbia fatto a scordarmela. In realta’ e’ proprio come dice lui: non ci lasciamo mai il passato dietro, accumuliamo tutto e poi, hop, lui salta fuori quando meno te l’aspetti. Incredibile come succedano ‘ste cose. L’ho sentita e ho ricordato quanto mi piaceva.

Home Town-Joe Jackson

Di tutte le cose stupide che avrei potuto pensare
Questa e’ stata la peggiore
Ho incominciato a credere
Che ero nato a 17 anni
E tutte le cose stupide
Le lettere e le poesie incomplete
Sono rimaste in fondo al cassetto
Erano sempre state la’
Ed ora scavo attraverso pile
di conti, ricevute e carte di credito
E biglietti e articoli di giornale
E qualche volta io….

Voglio tornare nella mia cittadina
Anche se so che non sara’ mai piu’ lo stesso
Nella mia cittadina
Perche e’ passato cosi’ tanto tempo
E mi chiedo se e’ ancora la’

Noi pensiamo di essere molto bravi
Noi “cittadini” andiamo in giro
E quando le cose si mettono male
Uccidiamo il dolore e ci rispostiamo
Non siamo mai sposati
Mai fedeli a qualche posto
Ma non ci lasciamo mai il passato dietro
Solo, accumuliamo
Cosi’ qualche volta quando la musica si ferma
Mi sembra di sentire un rumore lontano
Di onde e gabbiani
Tifosi di calcio e campane di chiesa
Ed io

Voglio tornare nella mia cittadina
Anche se so che non sara’ mai piu’ lo stesso
Nella mia cittadina
Perche e’ passato cosi’ tanto tempo
E mi chiedo se e’ ancora la’.

(Marzo 2005)

E non c’è niente da fare. Fumo seduto sul divano, e guardo la borsa splendida che mi sono fatto regalare, mentre ascolto di nuovo Joe. Niente da fare, preferisco lo zainetto. Un anno dopo, qualche capello bianco in più, mia figlia di qualche cm in più alta. Niente da fare, la malinconia mi assale a ondate, come quando avevo 15, 25, 35 anni. E’ come quella pioggia inglese sottilissima, non la senti e ti trovi tutto bagnato. Niente da fare, la penso ancora come un tempo: che troppi soldi non servono poi a molto, che per amare bisogna rispettare (cosa che dovrei ricordarmi più spesso), che Jerry MacGuire era un bel film. E vi dico che voi siete come fiammelle che io vedo nel buio, che mi aiutate più di quanto possiate pensare. Vi prego, non andate via, non spegnetevi. E tu, Joe, non smettere.

(Giugno 2006)

Fuoco indimenticabile

Chitarra, basso, batteria, voce solista. E’ questa la formazione, come il 4-4-2 nel calcio, classica e sempiterna. Potete metterci le tastiere, le coriste, i campionamenti, i violini e tutto il resto che volete, va bene, non dico di no, ma per me sara’ sempre questa la formazione di una rock band. Ragazzi compagni di scuola, che si cercano attraverso annunci su bacheche o via internet, giubbotti di cuoio e giacche fosforescenti, blue jeans a tubo, scampanati,vita alta, vita bassa, capelli lunghi o corti a seconda delle mode dei nostri sciocchi e veloci tempi. Si cercano per mettersi insieme e fare rock’n’roll. E’ una lunga linea che dura da quaranta anni e che non finira’ mai, come un cavo d’acciaio che corre sotto gli Oceani delle nostre vite, dei nostri amori, delle nostre storie, e che ci unisce tutti. Rolling Stones, Who, Led Zeppelin, Clash, U2, Nirvana, Verve e quei gruppi nuovi che non riesco piu’ a seguire. E’ una passione, un fuoco inestinguibile e indimenticabile che brucia sempre, per me adesso cova sotto la cenere dei miei mille sciocchi affari quotidiani, ma ogni tanto divampa in fiamme inaspettate. Vinile, musicassette, CD, MP3. Oggi accendo e sento questi versi uscire dagli auricolari:

No one knows what it’s like
To be the bad man
To be the sad man
Behind blue eyes

No one knows what it’s like
To be hated
To be fated
To telling only lies

But my dreams
They aren’t as empty
As my conscience seems to be

E poi giu’ una schitarrata che ha quasi la mia eta’ (di Pete Townsend), ed io che faccio fatica a non suonare l’air guitar in mezzo al parcheggio del supermercato, senno’ chiamano l’ambulanza e mi ricoverano. Come facevo nella mia cameretta tante ere fa. Qualche giorno fa vedo un mio studente con una felpa di non so quale gruppo Heavy Metal nordeuropeo, siamo stanchi tutti e due, alla fine di una lunga giornata, io da una parte e lui dall’altra; gli faccio “Lei e’ un metallaro, dunque”, lui mi guarda con un’aria che e’ un programma, poi si scioglie e chiacchieriamo un po’. Io gli cito i Led Zeppelin, a lui si illumina il volto e mi dice che ha un vinile di questo glorioso gruppo comprato da suo padre. Gia’, suo padre. Ridiamo insieme. Non mi pesa questo, no, il fuoco non si puo’ dimenticare, non si estingue mai. E mi fa sentire vivo.
(aprile 2005)

Scariche elettriche, hana bi, Jimi Hendrix.
(giugno 2006)

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Stato di grazia

Mi ricordo del video di una vecchia canzone di Elvis Costello (I just want to be loved, credo) dove lui canta davanti ad un obiettivo di una macchina per fototessere. Uno o due alla volta, persone diversissime entrano dentro la cabina, lo baciano e lo accarezzano mentre canta. Ho sempre creduto che il mio blog fosse così, e l’ho anche scritto, agli inizi della mia esperienza, forse qualcuno di voi se lo ricorderà. Oggi sono in stato di grazia, e questo per merito vostro e dei vostri commenti. Jed una volta mi ha scritto “fa’ di me quello che vuoi”, ed io giro questa richiesta a tutti voi, semplicemente. Penso in particolare a quelli che conosco da più tempo, ed anche ad una persona che mi ha scritto che non voleva più avere contatti con me per un motivo che non sto qui a dire. Fa’ di me quello che vuoi, rimani sempre nel mio cuore, assieme agli altri. May the sun shine on you all, miei cari.

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Massì…

…facciamo un post da blog carino: mettiamo su una bella immagine del castello di Miramare al tramonto. Anche una musichetta di Joni Mitchell. Tutto a posto.

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Il neo

Oggi sono andato a salutare un collega, vecchio amico, a Milano. Un neo, che è diventato un melanoma, e che poi è andato in metastasi, l’ha portato via a 52 anni. Sono partito questa mattina col treno, sono andato a salutarlo, e poi sono tornato prima che celebrassero la cerimonia vera e propria, dovevo andare a prendere mia figlia a scuola. Sono stato un po’ lì, ho visto la sua bara nella cappella universitaria. Chissà perché nelle bare sembriamo così piccoli. E’ stato grazie a lui che sono andato a lavorare in Inghilterra, dove ho conosciuto mia moglie e dove ho avuto una figlia. Oltre a lavorare insieme duramente, assieme ad altri miei colleghi italiani, tutti ancora giovani, parlavamo spesso di cinema. Ci interrogava spesso, per scherzo, citando e mimando delle scene di film famosi. Lui era un capo instancabile ed efficiente, aveva sacrificato molto per il lavoro, questa specie di sete inestinguibile che ci spinge a investigare, a cercare di capire cose apparentemente inutili e un po’ assurde. Durante gli esperimenti, non dormiva mai, era sempre sveglio. Un anno lavorammo quasi due mesi giorno e notte alla macchina, per cercare di cavare fuori piccoli risultati con sforzi enormi. Nn ci siamo mai persi completamente di vista, anche se non collaboravamo più da un bel pezzo. L’ultima volta che parlai con lui di cinema fu nel 2001, ricordo che commentammo “la stanza del figlio” di Moretti. L’ho visto a Trieste più di un anno fa, molto prima che si ammalasse. Lo scorso autunno, mia moglie mi telefonò per dirmi che cosa gli era capitato. Mi ero proposto di andare a trovarlo, ma la lunga nube scura, come la chiama Bob Dylan, è arrivata prima. Oggi ho visto i miei colleghi che arrivavano da Roma, da Trieste, dalla città dove vivo e lavoro adesso. Poche frasi di circostanza fuori dalla cappella, mentre gli studenti sciamavano dentro e fuori dalle aule, presi nei loro affari quotidiani. Avrei voluto parlare un po’ di più con loro, di lui, di noi, ma non c’è stato il tempo. E allora scrivo qualche cosa qui, sperando di non essere troppo sciocco, con quel senso di colpa che mi aveva preso anche quando mia madre se ne andò, qualche anno fa, mentre io ero già lontano, in un’altra città, e non trovavo il tempo di andare a trovarla abbastanza spesso. Qualcuno mi ha detto che non c’è niente da fare, alla fine si muore soli. E’ una banalità, ma è proprio così.

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Unico sangue

Sì, abbiamo vinto, non è una gran vittoria, ma non è più come prima. La sensazione di stamattina è di stanchezza e di malinconia. Ci sono detriti e macerie della battaglia da rimuovere, credo che questa guerra abbia coinvolto tutti. Siamo pure stati insultati invece che blanditi dai leader della parte avversa, cosa mai successa, almeno da personalità pubbliche. E adesso? Sentivo questa canzone, mentre venivo in bici al lavoro.

One love
One blood
One life
You got to do what you should
One life
With each other
Sisters
Brothers
One life
But we’re not the same
We get to
Carry each other
Carry each other

E scusate il buonismo, è il sonno.
P.S.:Questa è l’ultima immagine di Audrey. Ho pensato che in mezzo alle brutture della battaglia, potesse dare qualche bella sensazione.

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Grazie, bookmakers

I bookmakers inglesi danno la vittoria di Prodi pagata a 0,23 della posta, quella di Berlusconi a 4,3. Io ci credo più dei sondaggi. Altra foto di Audrey per scaramanzia….

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Audrey….

…..salvaci tu….
dalla bruttezza, dalla cafonaggine, dall’arroganza, dalla vigliaccheria, dall’ipocrisia, dalla materialità dei nostri sciocchi tempi.

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Una storia dal Merseyside

Il 12 Febbraio 1993 un bambino di nome James Bulger, di due anni circa, venne rapito, seviziato e lasciato morire lungo i binari di una ferrovia da due ragazzini di dieci anni, Robert Thompson and Jon Venables. James fu travolto anche da un treno. Il rapimento avvenne sotto lo sguardo di una videocamera di sicurezza, che riprese la scena in un centro commerciale a Bootle, nel Merseyside. I due “bad boys” con alle spalle situazioni familiari difficili (naturalmente) avevano marinato la scuola, si erano ritrovati ed erano andati a rubacchiare nei negozi del centro commerciale. Poi, l’inconcepibile (purtroppo non lo è più) è successo. Non sono mai riuscito a leggere i particolari del delitto, ancora adesso faccio fatica a leggere alcuni dettagli sul web. Dopo il ritrovamento del corpicino di James, Robert andò a deporre un fiore sul luogo del crimine. In quel periodo facevo avanti ed indietro tra l’Inghilterra e Roma, e mi ricordo di un colloquio avvenuto in aeroporto con una signora del posto, che mi raccontò del funerale di James nella Cattedrale di Liverpool, con la funzione officiata dal vescovo. Quando i due vennero fermati come sospetti, erano “terrorizzati ed affascinati dalle procedure usate dalla polizia”. Chiesero ai poliziotti come funzionava il sistema di identificazione tramite le impronte digitali, e fecero un mucchio di domande, come fa qualche volta mia figlia a me e mia moglie quando vede un documentario in TV. Interrogati singolarmente, crollarono presto, incolpandosi a vicenda. Uno dei due poi incolpò se stesso, ma questo non ha molta importanza. Il caso venne dunque risolto. Robert e Jon vennero processati alla fine del 1993, ma non parteciparono al processo, erano incapaci di comprendere le procedure, in quanto troppo giovani. Erano presenti al verdetto, invece, dove furono giudicati colpevoli. La pena: detenzione “during Her Majesty’s pleasure in un posto e per un periodo deciso dal segretario di stato per molti, molti anni fino a quando il Ministro dell’Interno non sia soddisfatto della vostra maturazione e riabilitazione. “
Il caso non finì qui, fu un tormento, con ricorsi in tutte le sedi. La pena, stabilita in realtà a otto anni, passò a dieci, poi a quindici. Sottolineo che la pena era decisa dal Ministro dell’Interno. La corte Europea nel 1999 stabilì che il processo del 93 non era giusto, in quanto i due erano stati trattati come adulti. Alla fine della fiera, furono liberati nel 2001, e vivono con nuove generalità. La pubblicizzazione dei loro nuovi nomi e della loro residenza (ancora non noti al pubblico) è stata ed è oggetto di battaglie legali.
E’ impossibile capire il motivo che ha spinto due bambini di due anni più grandi di mia figlia (ad esempio) a compiere un gesto del genere. Gli orchi esistono, e possono avere molte sembianze e forme. Anche di mammine care, di bambini più grandi, di conoscenti che sono padri di famiglia. Lo dimentichiamo, e poi qualche nuovo evento di questo tipo ce lo ricorda.

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Casa

Per oggi, un vecchio post.

Sono le 8.30, aspetto il minicab fuori dal cancello. Arriva in ritardo, sorry mate, mi dice con un sorriso ironico il tassista, e’ il solito liverpuliano dalla faccia furba ma simpatica. E’ un ex-docker, sbarca il lunario con questa parvenza di lavoro, un altro piccolo segno della crisi di questa citta’ devastata per decenni. OK, let’s go. C’e’ ancora tempo per arrivare alla stazione degli autobus. Il pullman va, attraversa Suburbia ed imbocca la M56. Il tranquillo paesaggio della campagna inglese incomincia a risvegliarsi per l’incerto arrivo della primavera. Fa ancora freddo, ma oggi c’e’ il sole, finalmente. Traffico, si’, ma si va, nessun problema. Aeroporto di Manchester, folle di pachistani in attesa di un volo da Islamabad, qualche famigliola inglese che parte per la Spagna, ancora gente con gli sci in partenza per la Francia, la Svizzera, il Colorado. Pochi businessmen, poca gente che si sposta per lavoro. Oggi e’ Sabato. Ieri sera sono uscito e sono andato ad Hardman Street col mio amico C., girando per quei locali dove boys in camicia col colletto chiuso e girls bionde in vestitini corti, senza maniche e senza calze, fanno la fila all’ingresso, e file di taxi all’uscita li raccolgono per portarli chissa’ dove. C. e’ riuscito a saltare la coda, come sempre, solo una quick beer pero’, in mezzo alla folla vociante ed alla musica assordante, la testa era altrove. Check in, controlli (niente di ossessivo e paranoico come sara’ in futuro) e poi dentro il non luogo per eccellenza, nel terminal. Prendo la stecca di Marlboro 100’s per mio padre, e mi metto a leggere The Guardian seduto davanti al gate. Il grigio John Major governa ancora, la prima e folle guerra del Golfo e’ ormai dimenticata; in Italia la situazione e’ decisamente piu’ interessante. C’e’ quel gruppo di magistrati a Milano, come si chiama quello piu’ famoso, ah si’, Di Pietro che sta mettendo sotto Craxi ed i suoi amici, ecco qua la notizia. Vorrei un giornale italiano, li vendono al book shop, ma resisto, fra un po’ me lo danno gratis sull’aereo. “E’ un terremoto”, mi strilla Pelu’ nelle orecchie da dentro il nuovo lettore CD portatile. Ci siamo finalmente, chiamano. L’hostess BA che mi accoglie dentro l’aereo e’ una signora di mezza eta’, dall’aspetto gradevole. Certo che con queste divise, poverette, sembrano delle massaie. Niente a che vedere con quelle Alitalia. Ma oggi, amica mia, mi porti a casa, ed il tuo sorriso e’ il piu’ bello del mondo. Poca gente sull’aereo, ahime’, anche stavolta non c’e’ nessuna bella ragazza vicino con la quale cercare di attaccare bottone. Anche se ci fosse, poi, non mi distinguo certo in questo genere di cose. Qualche volta ci riesco, ma poi, chissa’ perche’, faccio fatica a chiedere i numeri di telefono. E le occasioni scappano. Gin and tonic, noccioline, vino bianco. Ci vorra’ un bel po’ di caffe’ per smaltire, sono gia’ un po’ brillo. L’aereo sorvola la scacchiera dei campi inglesi, attraversa la Manica, sorvola la Francia e raggiunge le Alpi. Ma quello e’ il Cervino, sono sorpreso di me stesso, l’ho riconosciuto, e’ un piccolo miracolo. Dente aguzzo piantato nel bianco, mi ricordo di quando sono andato a sciare a Cervinia, sono solo tre anni ma sembra un’eternita’. Un po’ di turbolenza, poi vedo l’isola d’Elba, e’ incredibile, e’ proprio come la disegnano sulla carta geografica, e poi giu’, giu’, arriviamo. Esco, qua fa gia’ caldo, gente in occhiali da sole, elegante. Qualche telefonino. Mio padre mi aspetta all’uscita, ci abbracciamo, un po’ impacciati come sempre. Mia sorella lavora all’aeroporto, passa a salutarmi, e’ molto carina nella sua divisa, so gia’ che s’e’ messa con un nuovo ragazzo che lavora con lei. Auguri, stavolta spero che l’hai scelto giusto, penso, da bravo fratello maggiore un po’ geloso ed invidioso della sua freschezza e della sua solarita’. Papa’ mi porta alla macchina che e’ parcheggiata lontanissimo, come e’ sua abitudine. Non c’e’ problema, papa’, me la sto godendo lo stesso, anche se sudo sotto i vestiti troppo pesanti. Autostrada da Fiumicino a Roma, parliamo del piu’ e del meno, evito la politica il piu’ possibile, non voglio litigarci subito, io di sinistra e lui democristiano fracico, ma con un senso dell’umorismo col quale faccio a gara tutte le volte. Ridiamo, ci scambiamo qualche battuta in romanesco. Il casino del traffico e’ veramente impressionante, e mi devo un po’ riabituare alla guida a destra. Passo davanti alla mia vecchia palestra dove andavo a Judo da piccolo, questa volta voglio passare a trovare il mio maestro, mi ripropongo, naturalmente non lo faro’. Passo davanti alla mia scuola media (ricordi meno piacevoli) e poi a casa, in un attimo. Mia madre e’ li che mi accoglie sorridente, mi bacia, ha appena bevuto il caffe’ (ne vuoi? no grazie, mamma, in aereo ho gia’ fatto il pieno). Entro dentro la mia camera, poster vecchi, cartoline da Londra, lo stereo, la chitarra elettrica, la scrivania sulla quale ho studiato da quando mi ricordo. E’ pomeriggio tardi, l’aria dolce e primaverile si sta rinfrescando quando apro la finestra. Sotto, in strada, il solito paesaggio. Solite macchine parcheggiate in doppia fila, soliti ragazzi al bar che discutono d’a Roma e d’a Lazio, solita sporcizia per strada. Non ci posso credere, mio padre si sta guardando una partita di calcio inglese alla TV, c’e’ il Liverpool. Commentiamo insieme, come si chiama quel ragazzino, Mc Manaman, c’e’ anche Barnes. Poi si stufa e gira, c’e’ un documentario naturalista, tie’, beccate l’animaletti, mi dice. Adesso fuori e’ buio. Esci stasera? Mi chiede mia madre, gia’ in ansia per la cena da preparare. No mamma, c’e’ tempo per gli amici che pensano ai loro matrimoni, per i colleghi dell’Universita’, per le pizze a Testaccio, per i locali del centro, per le feste fuori citta’. Oggi resto a casa.

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Mohamed

Questo è un vecchio post. L’ho recuperato. La strada esiste, la potete cercare qui sotto.

Il telefono squilla, ma che ora e’? Troppo presto, ho dormito male, sono rientrato dal lavoro cosi’ tardi che ormai era giorno, l’alba di una qualsiasi Domenica estiva inglese. Il mio amico merlo era gia’ li’, sulla finestra dell’ingresso, sembrava che mi stesse aspettando. E’ una settimana che lavoro alla macchina, su un esperimento, assieme ai miei colleghi. Abbiamo un paio di giorni di break, finalmente. Guardo la mia radiosveglia, le cifre luminose ballano davanti ai miei occhi, le 9.30. Alzo la cornetta, e’ mia madre per i soliti saluti settimanali. No mamma, non ti preoccupare, non mi hai disturbato, si’ sto bene, poi si parla dell tempo, notizie varie dalla famiglia. Riattacco e mi rigiro sul letto. Niente da fare, provo a riaddormentarmi per un’oretta, poi getto la spugna e mi alzo. La schiena non mi fa piu’ tanto male, ma ancora si fa sentire. Sono due anni che ho avuto un’ernia del disco, ho provato cosi’ tanto male certe volte da piangere, ma il mio spartano dottore inglese continuava a ripetermi che l’operazione era inutile, e che sarei piano piano migliorato. Era vero. Doccia, colazione con caffe’ Lavazza, cornflakes, succo d’arancia. Mi vesto, e’ ora che vada a comprare qualcosa da mangiare. Niente supermercato, giusto qualcosa per sopravvivere per i prossimi giorni. Per fortuna abito a due passi da Lark Lane, una strada di Liverpool un po’ particolare, vicino a Sefton Park, all’inizio di un grande quartiere chiamato Aigburth. Nonostante sia lunga solo trecento metri o poco piu’, e’ un concentrato di negozi, di pub e ristoranti. Difficile elencarli tutti. C’e’ un meccanico (specializzato in macchine d’epoca, ci ho visto anche una Rolls Royce), tre o quattro pub, negozi di alimentari vari, ristoranti greci, italiani, francesi, messicani, off licence. Popolazione giovane, studenti, gente un po’ alternativa, “il paradiso dei lettori del Guardian” (giornale di sinistra), come mi sembra di avere letto una volta in una guida. E poi ci sono loro, i corner shops. Ce ne sono tre, vendono giornali, sigarette, ma anche generi alimentari. E sono aperti sempre, fino a sera e durante le feste. Sono la mia salvezza nei periodi di lavoro intenso. Non sono gestiti da indiani, questi, no, ma da medioorientali. C’e’ l’egiziano (come lo chiamo io) dal quale mi servo principalmente per gli alimentari, i libanesi (scomodi ed antipatici) e poi c’e’ Mohamed. Dopo avere comprato un po’ di roba dall’egiziano, vado da lui per comprare il solito giornale della domenica. Mi piace andare da lui, perche’ e’ veramente un personaggio. E’ massiccio, corpulento e con l’immancabile barba da musulmano praticante, sulla quarantina. Ho dei sospetti sulle sue origini, non parla con accento esotico, ma col “twang” tipico dei liverpuliani, e porta fieramente due occhi azzurri dolci e penetranti al tempo stesso. Forse e’ un inglese convertito? Ha una moglie pakistana o qualcosa del genere, velo nero che lascia il viso scoperto, un uccellino all’ingresso del negozio ed un tot di figli, bambini di eta’ varie che ogni tanto spuntano dalla porta sul retro del suo negozietto, che comunica con la sua abitazione. Chiacchieriamo sempre un po’, immagino che la gentilezza sia parte del suo modo di interpretare il suo lavoro. Qualche volta mi dice delle cose che mi lasciano stupefatto. Una sera mi guarda dopo avermi dato il resto delle sigarette che ho appena pagato, e mi fa “tu hai bisogno di una moglie”, e sorride. Io rispondo “si’, certo”, ma lui insiste “vedi conosco un’egiziana che farebbe al caso tuo, una nice egyptian girl”. Non so proprio cosa dire, sorrido, lo saluto e me ne vado. Ma questa volta mi dice qualcos’altro. “Sai, sono malato, qualche settimana fa mi sono svegliato e non ci vedevo piu’ da un occhio. I dottori non sanno ancora bene, forse ho la sclerosi.” . Sono come fulminato, ma riesco a mantenere la conversazione, anzi lui ci riesce, con una soavita’ e leggerezza incredibile, e mi parla di come la sua vita sta cambiando, delle sue nuove abitudini quotidiane. Si sveglia molto presto, ora, e prega. Lavora un po’ e poi dorme un po’ il pomeriggio, si sente molto stanco. Entrano altri clienti, il suo racconto si interrompe. Prendo il giornale con il resto e me ne vado. Lui mi sorride. Fuori c’e’ il sole, una splendida giornata, glorious sunny day of a british summer.

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