lovejoy

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lovejoy è una cometa sopravvissuta a un lungo viaggio. è arrivata qualche giorno fa, ed è stata osservata e filmata dagli astronauti della stazione spaziale internazionale. c’era una tempesta sulla terra. i fulmini formavano delle scintille sopra il nostro pianeta scuro. improvvisamente lovejoy è comparsa, un po’ a sorpresa. non si credeva che sarebbe ritornata, era passata molto vicino al sole. ma la sua massa era stata sottostimata. ne aveva abbastanza per non disintegrarsi e ritornare. ha formato una striscia chiara, poi è sopravvenuta un’alba luminosissima.  e questa per me questa è una piccola fiaba di natale.

auguri

NC (in memoria)

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oggi pomeriggio hanno assegnato ufficialmente i premi nobel per la fisica 2008, la nostra champions league. tre professori hanno alzato la coppa, nambu, kobayashi e maskawa, per il loro contributo alla fisica delle particelle elementari, in particolare alla costruzione di quella teoria detta modello standard, il pilastro dell’interpretazione di tre delle forze fondamentali: elettromagnetismo, interazioni nucleari deboli e interazioni nucleari forti. manca la gravità, ma questa, come si dice nei film, è un’altra storia. i loro studi (quelli per cui hanno alzato la coppa) risalgono agli anni 60 e 70, un altro pianeta, un altro universo. per qualche motivo inspiegabile, a me e ai miei colleghi,  è stato negato il premio ad un altro fisico, nicola cabibbo. che aveva contribuito in egual modo, forse anche di più. cabibbo è stato mio professore, ho avuto il piacere dunque di conoscerlo. fu l’unico docente a bocciarmi ad un esame (fisica teorica) perché non voleva promuovermi con un voto basso. fumava (fuma?) la pipa,e vestiva una giacca a scacchi, che ho riconosciuto in alcuni filmati d’epoca, rispolverati dai tg per l’occasione, lo “scippo”, come si strilla da più parti. understatement, questa è la parola che mi viene in mente quando penso a lui. e signorilità, cortesia, fair play. è vicino, come portamento e carattere, all’accademia come vorrei che fosse. britannica, con accento romanesco. nobile, distaccata, ma senza troppo snob, e l’umorismo che caratterizza l’intelligenza umana, superiore. persone così, sono sempre meno. e perdono. ma perdere cosa? niente è perso, perché vincere (e lo scrivo a capo chino) spesso è solo un’apparenza. l’apparenza che in questi sciocchi tempi domina, ma non mi rende schiavo. non ci rende schiavi, se guardiamo avanti, tenendo alta la nostra torcia, e tendiamo ai nostri sogni, al nostro essere, alla nostra nobiltà di donne e uomini, scesi dagli alberi per affrontare le savane.

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Portami la notte
Non sopporto un’altra ora di quella luce

(scritto il 7 Ottobre 2008)

wow

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nanoparticelle di nichel. aggregate in struttura frattale (forse? chi sa?). le loro dimensioni sono di una decina di miliardesimi di metro. le ho fatte io. wow. this is nerd art.

lonely albert

Albert Einstein pubblicò la teoria della Relatività Ristretta nel 1905, a 26 anni. A 36, nel 1915, pubblicò la teoria della Relatività Generale. Ricevette però il premio Nobel nel  1921 per un altro suo contributo alla scienza, e cioé per l’interpretazione dell’effetto fotoelettrico. Le cellule fotoelettriche sono presenti in molti dispositivi di uso corrente. La luce colpisce un certo materiale, e si genera una corrente elettrica. La spiegazione di questo effetto risiede nella fisica quantistica. La luce è composta da corpuscoli detti fotoni, che hanno una determinata energia, legata alla frequenza (cioè al colore) della luce stessa. La fisica quantistica dà una visione del mondo completamente diversa da quella deterministica, diciamo così, della fisica classica, ed è basata sull’indeterminazione, e sulla probabilità. Non si può mai prevedere in modo assolutamente esatto come evolverà un certo fenomeno. Se ne può solo calcolare la probabilità. Einstein contribuì a questa nuova visione del mondo, con il suo lavoro sull’effetto fotoelettrico, ma ne rifiutò le conseguenze filosofiche. Sua è la celebre frase “Dio non gioca a dadi”, e spese gli ultimi vent’anni della sua vita per trovare una teoria più completa di carattere deterministico. Una teoria del tutto, bella come potevano essere quelle relativistiche. Ma Einstein fallì in questo suo sforzo epico. La fisica quantistica funziona, eccome.  La scienza, la tecnologia e l’industria l’hanno accettata per quello che è, e la applicano felicemente. I nostri dispositivi elettronici (PC, televisioni, gameboy etc.) ne sono la testimonianza più concreta. Certe volte ci si convince che il mondo, che le persone non possano andare in una certa direzione. Ma loro ci vanno, e non c’è niente da fare, tutto funziona lo stesso. Si rimane seduti, a contemplare quella che dovrebbe essere una catastrofe, e non lo è. Non ci resta che sorridere, e magari suonare il violino, come faceva Albert, anche se una coda del grande dolore che abbiamo provato rimane sempre. Ma l’abbraccio, l’amore per noi stessi e per chi prende strade diverse non deve mai mancare. O forse basta il semplice fair play.

 

 

seven colours: violet

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neil young-my my hey hey

400 nanometri. questa è la lunghezza d’onda della luce corrispondente al viola, che noi vediamo quando i raggi luminosi penetrano nella pupilla e vengono focalizzati dal cristallino sulla retina, dentro il nostro occhio. è il minimo di lunghezza d’onda percepibile dalla visione umana, così come il massimo corrisponde al colore rosso. ma oltre, oltre c’è un mondo. un mondo invisibile, sfuggente, riusciamo a vederlo solo attraverso altri strumenti: rivelatori, principalmente, il cui principio di funzionamento  sfugge ai più. ho utilizzato un tipo di luce emessa da una particolare macchina, che si chiama sincrotrone, comprendente tutti i colori, visibili e non visibili, anche l’ultravioletto e i raggi X. quando esce dalla macchina, questa luce può avere un colore dominante che vira verso il viola, o blu. una volta la vidi direttamente, con alcune precauzioni, perché pericolosa. questo “oltre”, che ho visto o utilizzato, e che permette di ottenere risultati bellissimi nel mio campo, non è granché. c’è un “oltre”, negli atteggiamenti, nel comportamento e in quelle particolari reazioni chimiche, dette sentimenti, che non capirò mai. troppo complicato. e purtroppo, non mi rassegno ad accettare questo semplice dato di fatto. forse riusciremo, riusciremo ad aprire certe porte e a comprendere certi meccanismi. ma anche se sappiamo, grazie a Newton, perché cade una mela, questa continuerà a cadere, inevitabilmente. l’unica cosa da fare è evitarla mentre cade, raccoglierla e mangiarla.

There’s more to the picture
Than meets the eye.
 

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la luce bianca è scomponibile in sette colori: rosso arancio giallo verde blu indaco violetto. corrispondono a diverse lunghezze d’onda.

 

la luce di pablo

 
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la prima volta che vidi questa fotografia fu durante il liceo, sul mio libro di fisica. magnetica, come lui lo era. Gjon Mili, un fotografo di Life, esperto in questo genere di trucchi, la prese nello studio del GENIO in costa azzurra.  non me la sono mai scordata, e l’ho anche citata in una delle mie lezioni, a studenti che sognano motori rivestiti di rosso con cavalli rampanti.  con mia grande sorpresa, uno di loro ha annuito, ricordandola.  luce, arte, traiettorie nello spazio. la luce è strumento del mio lavoro. sfrutto luce visibile, ultravioletti, raggi x, che illuminano la materia in modo diverso e ne interpreto le risposte, attraverso numeri, grafici, immagini. vedere picasso a torso nudo ed in sandali che la utilizza in modo così stupefacente è per me uno sprone. l’arte e la scienza non sono così lontani. e l’estetica impregna la fisica e la matematica. l’eleganza delle descrizioni dei fenomeni naturali ridotti all’osso,  attraverso formule ed equazioni che danno numeri, è della stessa classe del minotauro che pablo disegna al buio, con una lampadina o una candela. la luce investe le nostre menti, le nostre vite.
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la luce bianca è scomponibile in sette colori: rosso arancio giallo verde blu indaco violetto. corrispondono a diverse lunghezze d’onda.

senza, dopo

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nel giro di un anno avevano ripreso ad avvicinarsi. gli uccelli di cernobil erano scomparsi nella tempesta di fuoco quando era esploso il reattore numero 4.

orsi tibetani e altre specie in via d’estinzione ripopolano  la zona smilitarizzata tra corea del nord e corea del sud. pesci nuotano nelle acque dell’atollo johnston, già poligono nucleare e  inceneritore di armi chimiche. piante ricoprono villaggi e città abbandonate per catastrofi, o per scelta.  senza di noi, l’acqua scorre e si insinua nelle case deserte, mentre la vita ramifica, trasmuta, perde e vince incessantemente nel gioco dell’evoluzione.
senza. nei nostri momenti peggiori, nelle perdite, noi pensiamo al senza, ma non al dopo.
il dopo arriva inaspettato e suona il campanello, come un postino che ci porta un pacco regalo.  magari ci canta anche una canzone.

fuori dalla porta, il sole aspetta ancora a diventare una gigante rossa.

 

4 elements: fire

Nel 2005, durante Chelsea-Barcellona, Ronaldinho segna un goal bellissimo: da fermo, finta tre volte e tira di punta per sorprendere il portiere. Elegante, lineare, sembra facile.

Nel 1925  Erwin Schrödinger scrive per la prima volta l’equazione che è alla base della meccanica quantistica: a Natale, in uno chalet svizzero, in compagnia di una delle sue tante amanti. Me lo immagino, Erwin, davanti al caminetto acceso, mentre gioca con i capelli della donna del momento, e le spiega cos’è il fuoco:
mia cara, è solo una reazione di ossidazione, nella quale gli atomi si ricombinano. E’ violenta, incontrollabile, libera energia, ed una parte di questa è sotto forma di luce. Rossa, gialla, o blu.

Illuminati. Ronaldinho e Schrödinger sono illuminati. Anche noi illuminiamo, ma la radiazione che emettiamo non è visibile. E’ nell’infrarosso. Perché siamo caldi, e viviamo. La possiamo vedere con occhiali e sensori speciali, come quelli in dotazione ai soldati americani, quando vanno a caccia di cattivi barbuti nella Città del Sangue.

Mi hanno detto: tu sei diverso, sei illuminato, talvolta. Non so se è vero. So solo che sembra facile, però costa fatica e allenamento, come per il Pallone d’Oro ed il Premio Nobel.

Ma le scintille volano sempre.

 
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ultima lezione

Perché dovremmo farlo? Beh, ho messo in evidenza un po’ di applicazioni economiche, ma so che la ragione per cui lo vorreste fare è solo per divertimento.

Richard Feynman

 

ultima lezione, dita sporche di gesso e lavagna piena di formule. mai perdere di vista il vero motivo, ritchie… o siamo morti.

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talking heads-once in a lifetime

 

 

Prestige and hell

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David Bowie-Starman 
 
Elettricità nell’aria, uh? Il dott. Nikola Tesla tra le scintille generate dalla sua macchina, avvolto dai fulmini artificiali, come un moderno Lucifero in una versione attualizzata dell’inferno. Sorrido mentre guardo questa scena di “The prestige”, scuotendo un po’ la testa, di fronte all’impossibilità della suggestione. Prestigio, appunto. Tesla è esistito veramente, ed ho visto una macchina simile in una stampa. Serviva a generare fulmini artificiali. Ovviamente, è impossibile che Tesla attraversi il laboratorio con la sua macchina in funzione, e rimanga illeso. Così come è quasi impossibile accendere una lampadina toccandola, come suggerito in un’altra scena. Scrivo “quasi” perché è possibile invece sfruttare i sali minerali di un frutto come batteria, fare dei contatti opportuni ed accendere una luce. L’ho visto in un programma per bambini.  Sì, per bambini. Tesla era un genio assoluto, inventò tantissime cose, in particolare i motori polifase, che sfruttano la corrente elettrica alternata. Grazie a lui, ora noi usiamo questo tipo di corrente elettrica. cinquanta o sessanta hertz, 125-220-380 Volt. Morì povero. Forse non era tipo da badare troppo ai soldi. Dalla Croazia agli Stati Uniti, spinto da quel vento tempestoso chiamato emigrazione. Bowie (sì proprio lui) nel film lo interpreta splendidamente. La scienza è più inverosimile della magia, l’inaspettato colpisce all’improvviso, come un fulmine. Appunto. E gli occhi di Bowie-Tesla sono ancora di due colori diversi.  

4 elements: water

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L’acqua di uno stagno, di una palude o di una semplice bacinella è generalmente immobile. La sua superficie è completamente piatta. O meglio, noi la vediamo così. Nel 1827, un botanico di nome Robert Brown osservò al microscopio  delle particelle di polline sospese in acqua, e scoprì che si muovevano in modo assolutamente irregolare. La stessa cosa succedeva per granelli di polvere. Questo movimento incessante, casuale, imprevedibile è dovuto all’agitazione termica delle molecole d’acqua. L’agitazione termica è la causa della temperatura. I costituenti elementari della materia (siano essi atomi in un pezzo di ferro, o appunto le  molecole di un liquido) si muovono caoticamente. Nei liquidi, le molecole non sono legate fra di loro, e cambiano incessantemente posizione, urtandosi. Un delirio, insomma. I granelli vengono colpiti continuamente dalle  molecole, invisibili ad occhio nudo, e anche se sono molto più grandi, prendono questi “calcetti” e si spostano. Poiché l’agitazione termica è assolutamente casuale, le particelle di polvere si muovono a scatti, in modo imprevedibile. Moto stocastico, viene detto. Einstein lo studiò, ed in uno dei suoi primi lavori scrisse delle equazioni molto particolari per la sua descrizione probabilistica. Quindi, non è detto che ciò che appare immobile lo sia veramente. Dipende dalla scala e dallo strumento con cui si osserva. E come sempre, l’apparenza può ingannare.

Liquido inquieto: PJ nel suo vestito rosso. (E’ un omaggio? Sì, lo è).

 

 

I miei colleghi-2

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Molti commenti sul mio post a proposito dei fatti della Sapienza rimproverano il metodo con cui i miei colleghi hanno impostato il problema. “Bisognava far parlare il Papa comunque”. Il punto non è questo. I miei colleghi, in una lettera al loro Rettore, espressero in sostanza la loro contrarietà all’invito, che ritenevano non opportuno. ERA UN’OPINIONE. Non era un invito alla sommossa! Il papa non è venuto perché NON accetta contraddittori o contestazioni. Non accetta il fatto che lui possa tenere il suo discorso, mentre contemporaneamente, non dico dentro l’Aula Magna, ma fuori, a qualche centinaia di metri, vi sia una manifestazione di protesta. E NESSUNO, dico NESSUNO avrebbe mai potuto contestarlo, o fargli domande scomode durante la cerimonia. Queste cerimonie sono ad invito. I miei colleghi non avrebbero potuto partecipare, o se avessero potuto, molto difficilmente sarebbero riusciti a prendere la parola. Le inaugurazioni dell’Anno Accademico sono solo show pubblicitari pomposi. Si invita qualche autorità che si vuole premiare a tenere la Lectio Magistralis, per avere titoli sui giornali, comunicati stampa, servizi TV etc. E spesso si regala una Laurea Honoris Causa. Nelle Università piccole, sono prebende date a qualcuno, in cambio di pubblicità gratuite e di qualche grosso favore.  Morale della favola: i miei colleghi sono crocifissi da tutti, il papa è un martire. Se c’è qualcosa che posso rimproverare loro è di non avere tenuto conto della comunicazione e dell’immagine. In altre parole, delle apparenze, delle false verità che ci propinano i media tutto il tempo. Questa è la lettera del Direttore del Dipartimento di Fisica dell’Università “La Sapienza” di Roma, pubblicata sul Manifesto del 16 Gennaio, nella quale spiega ciò che è successo, dal loro punto di vista. La pubblico sul mio post, così vi possiate fare un’idea. Potete anche leggere un articolo di Paolo Flores d’Arcais sulla Repubblica del 17 Gennaio (“le ragioni dei laici”), che spiega le loro e le mie ragioni. 
 
Dai professori di fisica nessun intento censorio
Giancarlo Ruocco


Il 14 novembre del 2007 il professor Marcello Cini, docente emerito dell’ateneo, inviò una lettera aperta al rettore, pubblicata dal manifesto. La lettera esprimeva il disappunto per la decisione del rettore di invitare Benedetto XVI a tenere la Lectio magistralis di apertura dell’anno accademico dell’Università La Sapienza.
Pochi giorni dopo, alcuni docenti hanno sentito il dovere di appoggiare l’iniziativa, inviando una seconda lettera al rettore Renato Guarini nella quale si chiedeva di rinunciare all’invito. In queste due lettere non c’era alcun intento censorio nei confronti del Papa, bensì il desiderio di una parte della comunità accademica di esprimere la propria opinione sulla decisione del rettore.
Queste lettere, infatti, erano rivolte al rettore che aveva fatto la scelta di inaugurare l’anno accademico, momento simbolico per l’inizio di un percorso formativo, proponendo come docente Benedetto XVI, ossia il maggior rappresentante culturale di una confessione specifica. L’inaugurazione dell’anno accademico, cui partecipa un pubblico di docenti e studenti di diversa formazione politica e religiosa, non sembra essere il giusto contesto per una visita del Papa, o di qualsiasi altra autorità religiosa o politica che non si rapporti direttamente all’accademia. Infatti, insegnare ai giovani è una grande responsabilità che richiede di prescindere in ogni momento dalle proprie convinzioni religiose e ideologiche. La presenza del Papa alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico propone invece una interpretazione e lettura del mondo ben precisa, che pone la fede innanzi a ogni percorso della conoscenza. Tale posizione può risultare, come troppo spesso è avvenuto in passato, fonte di censura della conoscenza e non di confronto libero del sapere. In un altro, diverso contesto la visita sarebbe benvenuta, come qualsiasi forma di dialogo e confronto fra culture diverse. Nessuno, tantomeno i docenti della Sapienza, vuole esercitare un arrogante diritto censorio sulla libertà di espressione del pensiero religioso, o politico che sia, in nome di un laicismo di stato, come afferma Galli della Loggia sul Corriere della Sera di ieri. I mezzi di comunicazione di massa, che raramente rivolgono la loro attenzione al mondo scientifico e universitario, dedicano l’apertura dei giornali e dei telegiornali a una lettera che si intendeva essere una lettera privata di un gruppo di docenti al loro rettore, ignorando invece la lettera aperta, pubblica, di Marcello Cini, inviata due mesi fa come quella qui in oggetto. Questa posizione da vigore e incoraggia schieramenti estremisti che nulla hanno a che vedere con la discussione avvenuta due mesi fa tra docenti e rettore. Speriamo che questo evento, che sulla stampa ha acquisito connotati che non favoriscono il dialogo, possa invece incoraggiare un confronto sulla libertà del pensiero laico, non confessionale né politico, nelle istituzioni di formazione dei giovani, per arrivare nel caso a un confronto sui luoghi della fede e i luoghi della conoscenza, e su come e quando e dove sia lecito intrecciare fede e ragione.

 
Non ho molto altro da aggiungere. Sono 40 anni dal 68, ma forse è avvenuto in un altro Universo parallelo, ed un cunicolo spaziotemporale mi ha portato in questo schifo.

I miei colleghi

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The Rolling Stones-Paint it black
 
I miei colleghi hanno la testa fra le nuvole.
I miei colleghi sono serissimi.
I miei colleghi spesso prendono meno di un operaio.
I miei colleghi lavorano per passione.
I miei colleghi  emigrano, perché non c’è lavoro, oppure perché  mancano i fondi perfino per acquistare le riviste specializzate in biblioteca. Indovinate da dove il governo ha preso i soldi per i trasportatori, dopo la loro serrata che ha messo in ginocchio l’Italia a Dicembre. Ma dalla ricerca scientifica, e dove se no?
Alcuni miei colleghi (che sono stati miei professori) hanno scritto una lettera al Rettore della Sapienza di Roma, dicendogli: “guarda che la persona che hai invitato ad inaugurare l’Anno Accademico (il Papa) è lo stesso tizio che una quindicina di anni fa ha giustificato la persecuzione di Galileo da parte della sua eminente istituzione. Secondo noi non era proprio il caso”. Galileo, capite? Il padre della scienza moderna. Senza Galileo:
Non ci sarebbe stata la Fisica.
Niente Fisica, niente meccanica
Niente meccanica, niente motori.
Niente motori, niente elettricità.
Niente automobili, treni, telefoni, radio, televisori, computer.
Niente agricoltura moderna, niente industrie.
Solo aratro, mulini ad acqua, luce di candela. Medioevo, insomma. Crederemmo che il Sole gira intorno alla Terra, che Dio ci ha messo sette giorni ad inventare l’Universo, che Eva (zitta e buona, Eva, stai al tuo posto!) è nata dalla costola di Adamo. Volete credere all’evoluzione, ma scherziamo?
E senza evoluzione, niente biologia moderna, niente biologia molecolare, niente cure avanzate. 
Ecco, i miei colleghi hanno ragione ad incazzarsi.  E voi, amici miei, state attenti. Perché se non ci sono i miei colleghi, il paese è destinato a sprofondare. Però che ci importa, l’importante è finanziare le scuole della Chiesa (andare a Messa è un optional, basta dare soldi, no?), fare la “moratoria” sulla legge sull’aborto, proibire di fatto la fecondazione in vitro, negare irragionevolmente ai malati terminali di morire con dignità. E sentire ogni Domenica dai nostri telegiornali genuflessi il tizio che pontifica da San Pietro su affari che non gli competono.
 

 


 
 

Stardust

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Television-Marquee Moon 

 

 

“Si ritiene che il Sole e i pianeti si siano formati da una nebulosa di gas interstellari in contrazione, in un periodo di tempo compreso tra 4.6 e 4,6 miliardi di anni fa.”

Il nostro sistema planetario deriva da una nebulosa che si è condensata in una stella (il sole) e nei pianeti,   a causa  dell’azione della forza gravitazionale.
Secondo le attuali teorie, la nebulosa primordiale  era costituita da idrogeno, da elio, da una grande varietà di elementi chimici più pesanti e da polveri.
A sua volta, la materia nella nebulosa è stata emessa dall’esplosione di un’altra stella. Il fatto che nella Terra siano presenti elementi chimici pesanti, come Argento, Oro, Piombo, via via fino all’Uranio fanno ipotizzare che la Stella “genitrice” sia una Supernova. Le Supernove, di diverso tipo, sono stelle molto grandi (molte volte più del Sole) in punto di morte. Nel loro ultimo “respiro”, generano elementi pesanti,  a seguito di processi di fusione nucleare. Attualmente, le Supernove sono le uniche sorgenti conosciute di questi nuclei. Quindi, gli atomi che costituiscono il sistema solare, la Terra, ed in ultima analisi, noi stessi, provengono dall’esplosione di una stella, probabilmente da una supernova.
Noi SIAMO polvere di stelle.  Come canta Joni Mitchell in “Woodstock”:

We are stardust.
Billion year old carbon.
We are golden
Caught in the devil’s bargain
And we’ve got to get ourselves back to the garden.
(To some semblance of a garden)

Presi nel baratto del diavolo, suoniamo rock’nroll… 

My X’mas lecture

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Sulle banconote da 20 Sterline inglesi è effigiato Michael Faraday, un eminente scienziato dell’800. Oltre al suo ritratto, vi è il particolare di una stampa dell’epoca, con la scena di una delle sue Christmas Lectures, organizzate dalla Royal Institution. Michael Faraday ha dato dei contributi fondamentali alla fisica e alla chimica. Basterebbe citare la legge con il suo nome che spiega il fenomeno dell’induzione elettromagnetica, dove elettricità e magnetismo vengono combinate insieme, alla  base del funzionamento dei motori elettrici, della dinamo, e di moltissimi altri congegni, tra i quali mi piace menzionare la chitarra elettrica. Faraday era anche un uomo di indubbia statura morale: rifiutò svariati premi ed onoreficenze, nelle quali non credeva, e non volle contribuire allo sviluppo di ordigni esplosivi da utilizzare nella guerra di Crimea. Non ebbe una educazione molto  buona perché di umili origini, e le sue cognizioni di matematica non erano particolarmente approfondite. Ciononostante, era un grandissimo sperimentatore, e anche un eccezionale divulgatore. Le Christmas Lectures, tenute ogni Natale da scienziati e studiosi britannici di fama mondiale, sono delle lezioni a scopo divulgativo, rivolte soprattutto ad un pubblico di bambini e giovanissimi. Fino a poco tempo fa, venivano trasmesse in televisione, dalla BBC prima, e successivamente da altri canali privati.
Faraday tenne delle lezioni memorabili, con dimostrazioni pratiche incantevoli sulla chimica. Ne tenne 7, un record assoluto, una ha un titolo particolarmente poetico, ” The chemical history of a candle”, e spiega i processi di combustione. Charles Dickens chiese ripetutamente a Faraday  di scrivere le sue Christmas Lectures, ma egli oppose resistenza, sulla base (giusta, a parere mio) che le lezioni difficilmente sono adattabili ad uno scritto. Alla fine acconsentì alla pubblicazione di resoconti stenografici,  disponibili oggi anche su internet. Tutto ciò fa molto Dickens, molto Natale, molto inglese. Non ho mai visto una Christmas Lecture, nonostante abbia vissuto in Inghilterra per molto tempo, perché ho scoperto questa nobile istituzione solo di recent. E mi piacerebbe fare qualcosa di simile nella mia Università. Per quest’anno, mi accontento di scrivere una breve poesiola, e di pubblicarla qui. Che Faraday mi perdoni.

Luce sulle rètine
incanti di cristalli
suono sui timpani
risonanze di fili bronzei
che scuotono magneti
e cavi inossidabili
e scatole tonanti
su vortici di folle,

fioriti desiderii. 

Fasce sui capelli, sudore mancino
di King Jimi,  sue scintille elettriche
da Sir Michael sognate.

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 Jimi Hendrix-Foxey Lady

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Buone feste.
 
P. S. Ho visto ieri i video delle sue lezioni. Si chiama Walter Lewin ed insegna al MIT di Boston. Grandissimo. Qui  dimostra che il tempo impiegato da un pendolo per compiere un’oscillazione completa non dipende dal peso applicato. E  per dimostrarlo  ci si mette sopra, facendo contare agli studenti  il numero di oscillazioni. La Fisica funziona.
 

 

 

Chirality-reality

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Blur-Out of time
 
 
Roberta non vuole vedere l’amico morto nella camera ardente. Entra in obitorio, ma si ferma prima, si appoggia al muro, e vede un’altra immagine: il suo amico che saluta tutti i convenuti, stringe le mani, abbraccia e le sorride da lontano. Lei ha Saturno contro, si droga, è vitale e svitata. Mancina, penso, mentre vedo il film di Ozpetek, che mi irrita un po’. Ma la figura di Roberta mi piace. Controcorrente per certi versi. E questo mi fa pensare al concetto di chiralità.
χειρ vuol dire mano, in greco. Abbiamo una mano destra ed una sinistra. E NON sono uguali. E’ raro trovare ambidestri. Esistono i destri (la maggioranza) ed i mancini. Un tempo, si dice, l’umanità era mancina, poi si è cambiato mano. Personalmente, sono destro, ma per certe azioni uso la sinistra. Perché siamo così asimmetrici? Il nostro organismo distingue tra destra e sinistra. In natura esistono delle sostanze chimiche che sono costituite da molecole uguali in tutto, tranne che nella loro simmetria. Destra o sinistra. Queste molecole vengono dette chirali, ecco un esempio.
 

 
 
Le due molecole che vedete girare sono uguali, ma diverse. Una è il riflesso speculare dell’altra, così come la mano sinistra dovrebbe essere il riflesso della destra. Dico dovrebbe, perché in realtà le due mani non sono esattamente uguali. E  non è nemmeno uguale l’effetto sul nostro organismo se assimiliamo una molecola “destra” o “sinistra” di alcune sostanze. Infatti, queste sostanze possono essere utili o inutili (se non dannose) a seconda dell’enanziomero (così è chiamato). Quindi, intrinsecamente, il nostro organismo è destro, o mancino, perché le molecole organiche che lo costituiscono distinguono tra enanziomeri. Ovviamente il fatto di essere destri o mancini non incide sul tipo di molecole accettate, che è lo stesso per tutti. Però, però…. Non ci dovrebbe essere questa differenza, a rigor di logica. E invece c’è. Perché la natura è intrinsecamente asimmetrica. Lo sono anche le leggi fisiche. Ne ho già scritto qui. Ad esempio, esiste la materia e l’antimateria. Per ogni particella (o quasi) esiste una antiparticella. Se le due si incontrano, annichiliscono. Niente più materia o antimateria. L’energia liberata dal processo si trasforma in radiazione. Se greg incontrasse un anti-greg, ed i due si toccassero, si distruggerebbero mutuamente. Questo succede, ma raramente, perché fortunatamente l’antimateria è presente in piccolissime quantità. Quindi, esiste uno sbilanciamento, un’asimmetria intrinseca nell’universo e nelle leggi che lo regolano. E questo è la nostra fortuna, per certi versi, altrimenti tutto sarebbe molto più instabile, no? Si pensa che l’asimmetria del nostro organismo (che distingue ed usa molecole destre invece che mancine) abbia a che fare con l’asimmetria delle leggi dell’universo, ma al momento è solo un’ipotesi. Quello che è certo, è che io amo i mancini. Ed il concetto di essere mancino. Abbiamo bisogno di mancini, noi destri. Io stesso sono un po’ mancino. E vorrei esserlo di più. 
 
Where’s the love song to set us free
too many people down, everything turning the wrong way round

and I don’t know what love will be
but if we stop dreaming now, lord knows we’ll never clear the clouds

and you’ve been so busy lately
that you haven’t found the time
to open up your mind

and watch the world spinning gently out of time

Feel the sunshine on your face
It’s in a computer now
gone to the future, way out in space

and you’ve been so busy lately
that you haven’t found the time
to open up your mind
and watch the world spinning gently out of time

and you’ve been so busy lately
that you haven’t found the time
to open up your mind
and watch the world spinning gently out of time
Tell me I’m not dreaming
but are we out of time
(we’re) out of time

 

 

Luce e purezza

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La luce visibile è quella parte di radiazione elettromagnetica che impressiona la retina dei nostri occhi. Non è così per i raggi X, la radiazione infrarossa, le onde radio etc. che possono avere altri effetti, più o meno dannosi, sul nostro corpo, ma che non vediamo. La luce può essere emessa da sorgenti naturali, come il sole, le stelle e i fuochi, oppure artificiali, come le lampade. Buona parte della luce “naturale” è generata da un processo detto emissione spontanea. Un elettrone in uno stato ad alta energia genera spontaneamente un quanto di radiazione, un corpuscolo detto fotone, cede parte della sua energia e va ad occupare uno stato con energia più bassa. I motivi per cui l’elettrone si trovava in uno stato eccitato possono essere vari: ha assorbito energia da un fotone (assorbimento), ha partecipato ad un legame chimico che si forma con una reazione violenta (fuoco), il metallo in cui si trova ha assorbito calore per passaggio di corrente elettrica (lampade ad incandescenza). Nelle stelle , il calore è prodotto dalle reazioni nucleari. Frequenza, energia e colore sono la stessa proprietà. Ad una certa frequenza corrisponde un colore, ed un valore di energia determinato.

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L’emissione spontanea è un processo a carattere probabilistico. L’elettrone emette quando gli pare a lui. Tutti questi elettroni nella materia quindi generano fotoni, cioè luce in maniera assolutamente casuale, spesso su frequenze diverse, perché sono tanti e si trovano ad energie differenti.
Però c’è un altro processo  di emissione, detto emissione stimolata. Se un fotone si trova a passare vicino ad un elettrone, in uno stato ad alta energia, può stimolarlo a decadere, e a emettere un fotone con la sua stessa frequenza. Quindi alla fine del processo ci troviamo due fotoni con la stessa energia, cioè la stessa frequenza. QUesto processo, anch’esso probabilistico, è però determinato dal primo fotone. E dà fotoni tutti uguali. Cioè luce dello stesso colore, e con fotoni che risultano da processi ben scanditi temporalmente. Viene detta radiazione coerente.

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I LASER sono basati sul processo di emissione stimolata:
– prima cosa, si eccitano gli elettroni della materia con cui è fatto il laser tutti ad uno stesso stato
– alcuni di questi elettroni decadono spontaneamente. I fotono prodotti stimolano altri decadimenti, in un processo a cascata, all’interno di un sistema dove si trova il materiale, detto cavità ottica,  che è un’intercapedine fra due specchi, che riflettono la luce.
– la luce va avanti ed indietro, e continua a stimolare. Una parte esce dalla cavità e diventa fascio laser.

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I LASER non sono  sorgenti di luce naturale, ma qualcosa di inventato dall’uomo. La luce è molto, molto intensa e purissima, nel senso che il colore è ben determinato. Inoltre viene emessa in una direzione ben precisa.
Adoro i LASER per questo. Sono un prodotto dell’intelletto umano, che fornisce una luce completamente diversa da quella generata dalle sorgenti naturali.  Purezza come prodotto dell’intelletto umano. La natura di per sè non è così pura, non lo è mai.  

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Another Albert

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REM-The great Beyond
 
Ieri hanno dato l’annuncio del premio Nobel per la fisica, assegnato ad Albert Fert e a Peter Gruenberg. Beh, per me è come se la mia squadra avesse vinto la Champions League, perché lavoro nello stesso campo, più o meno. La scoperta della “Magnetoresistenza gigante” (per la quale i due esimi hanno alzato la Coppa) ha avuto un impatto tecnologico notevole, nella capacità di memorizzare dati sugli hard disk dei computer. Uno degli scopi delle mie ricerche è di trovare materiali nuovi, assemblati un po’ come si preparano nuovi piatti di cucina, per aumentare sempre di più la capacità dei dischi. Ho visto Fert ad un congresso a Stoccolma, lo scorso luglio, parlare dei suoi nuovi esperimenti. Quel congresso, di cui ho scritto qui, mi ha dato una carica grandissima.
Non c’è niente nella mia manica, come cantano i REM, e quello che faccio forse ha un senso. Mi sono posto molte domande, l’estate scorsa, sotto il sole di Minosse. Su di me, sul senso della vita (ma va? non era un film dei Monty Python?) e non è che abbia trovato molte risposte. Ma  devo continuare a chiamare cose e persone col loro nome, senza nodi alla gola.    Non c’è niente che noi non possiamo fare, niente. E anche se i grovigli che abbiamo dentro rimangono, non è poi così essenziale dipanarli. Adesso prendo i miei libri, il mio computer e vado a spiegare a tre ragazzi cos’è un semiconduttore. Tenendo a mente che l’importante è trasmettere, non dire. Sono sicuro che sarà una bella lezione. E prima o poi vedrò le luci blu.

 I’m breaking through
 I’m bending spoons
 I’m keeping flowers in full bloom
 I’m looking for answers from the great beyond

 

Lonely Albert

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Albert Einstein pubblicò la teoria della Relatività Ristretta nel 1905, a 26 anni. A 36, nel 1915, pubblicò la teoria della Relatività Generale. Ricevette però il premio Nobel nel  1921 per un altro suo contributo alla scienza, e cioé per l’interpretazione dell’effetto fotoelettrico. Le cellule fotoelettriche sono presenti in molti dispositivi di uso corrente. La luce colpisce un certo materiale, e si genera una corrente elettrica. La spiegazione di questo effetto risiede nella fisica quantistica. La luce è composta da corpuscoli detti fotoni, che hanno una determinata energia, legata alla frequenza (cioè al colore) della luce stessa. La fisica quantistica dà una visione del mondo completamente diversa da quella deterministica, diciamo così, della fisica classica, ed è basata sull’indeterminazione, e sulla probabilità. Non si può mai prevedere in modo assolutamente esatto come evolverà un certo fenomeno. Se ne può solo calcolare la probabilità. Einstein contribuì a questa nuova visione del mondo, con il suo lavoro sull’effetto fotoelettrico, ma ne rifiutò le conseguenze filosofiche. Sua è la celebre frase “Dio non gioca a dadi”, e spese gli ultimi vent’anni della sua vita per trovare una teoria più completa di carattere deterministico. Una teoria del tutto, bella come potevano essere quelle relativistiche. Ma Einstein fallì in questo suo sforzo epico. La fisica quantistica funziona, eccome.  La scienza, la tecnologia e l’industria l’hanno accettata per quello che è, e la applicano felicemente. I nostri dispositivi elettronici (PC, televisioni, gameboy etc.) ne sono la testimonianza più concreta. Certe volte ci si convince che il mondo, che le persone non possano andare in una certa direzione. Ma loro ci vanno, e non c’è niente da fare, tutto funziona lo stesso. Si rimane seduti, a contemplare quella che dovrebbe essere una catastrofe, e non lo è. Non ci resta che sorridere, e magari suonare il violino, come faceva Albert, anche se una coda del grande dolore che abbiamo provato rimane sempre. Ma l’abbraccio, l’amore per noi stessi e per chi prende strade diverse non deve mai mancare. O forse basta il semplice fair play. 
 
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REM- Imitation of life
 
This lightning storm
This tidal wave
This avalanche, I’m not afraid
Come on, come on, no-one can see me cry
 

Michelangelo ed Erwin

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Ho rivisto Blow-up la scorsa notte. Non voglio fare una celebrazione di Antonioni e della sua opera. Però il suo film mi ha fatto molto pensare al concetto di realtà, e della sua percezione. Il protagonista scopre  un omicidio in un parco attraverso le sue foto, trova il cadavere dopo una successiva visita notturna al luogo del delitto, ma poi tutto scompare, si dissolve: le foto ed il morto. Il film si conclude magistralmente con una partita a tennis immaginaria tra due ragazzi vestiti da clown, senza racchetta e senza palla. Il protagonista assiste alla partita, e partecipa alla finzione, rilanciando la palla immaginaria che è uscita dal campo.
Penso alla realtà, ed alle leggi fisiche che esprimono il comportamento della materia, della natura. La realtà è percepita attraverso i nostri sensi, in primis la vista, ed elaborata dal cervello. Esiste una realtà oggettiva, “altro” dalla nostra elaborazione, cioè indipendente dalla nostra esistenza? Se io muoio, la Terra continua a girare intorno al Sole? Le informazioni che ci scambiamo attraverso il linguaggio, o le espressioni gestuali, portano ad una base comune, ad una oggettività, appunto. E qui c’è il primo passaggio spinoso. Soprattutto ora, che lo scambio di informazioni avviene sempre più in maniera indiretta, attraverso strumenti quali giornali,  telefono, radio, TV, internet e quant’altro. Non è detto che ciò che viene condiviso sia reale. Però in qualche modo lo diventa, nella nostra mente. Scopro l’acqua calda, ma è così. La Terra gira intorno al Sole, ma in antichità si pensava il contrario, perché noi vediamo il Sole muoversi. Il senso comune, in questo caso, fallisce. La “morte- non morte” in Blow up mi ha fatto pensare alla realtà della Fisica Quantistica, dove le particelle seguono leggi a carattere probabilistico, e non deterministico. Una particella può essere in uno stato dove una sua caratteristica particolare (ad esempio, il suo spin) ha il 50% di probabilità di essere in un modo ed il 50% di probabilità di essere in un altro. Se effettuiamo una misura per determinare questa caratteristica, potremo ottenere un risultato, o l’altro. Si può arrivare addirittura a dei paradossi, quali quello del gatto di Erwin Schrodinger (uno dei fisici che ha  gettato le basi della Fisica Quantistica). Mettiamo un gatto in una stanza. Prendiamo una particella soggetta ad un processo di decadimento, che emette radiazione. La radiazione attiva un congegno letale per il gatto. Ma il processo di decadimento segue leggi probabilistiche, proprie della fisica quantistica. Può decadere oppure no. Se chiudiamo la stanza, con dentro la particella, il congegno letale ed il gatto, non sappiamo che succede a quest’ultimo. Può essere vivo o morto. Il suo stato dal punto di vista fisico è “né vivo, né morto”. Oppure tutte e due le cose. E’ un po’ quello che succede in Blow-up, no? Forse non  è esattamente la stessa cosa. Però  la realtà cambia, perché non è detto che la nostra percezione sia corretta, non è detto che lo scambio di informazioni che porta alla fondazione della realtà oggettiva sia avvenuto bene, e  non è detto che i risultati delle osservazioni siano certi e ripetibili. Forse sono banalità quelle che scrivo. Però il film è splendido, e le scene, i dialoghi, le situazioni sono affascinanti. E l’aspetto “glam”, la bellezza delle modelle e delle attrici che vi compaiono lo fanno risplendere di una luce magica, contrappasso alla serietà delle questioni che affronta.
 
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P.S.: L’esperimento del gatto di Schrodinger è  puramente concettuale, un paradosso. Non è mai stato compiuto. Per motivi tecnici, non è possibile realizzarlo. Anche se lo fosse, nessuno lo farebbe con un animale per motivi etici, io per primo, in quanto ho due gattini adottati da poco.Dopo questa precisazione, vado in ferie più tranquillo.
 

 

 

A (super) brief history of time

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Stephen Hawking non me ne voglia, se parafraso il titolo di un suo celebre libro divulgativo, che per inciso non ho ancora avuto il piacere di leggere (il titolo in italiano è “dal Big Bang ai buchi neri”). Dunque, in principio è stato il Big Bang. E’ avvenuto, secondo alcune misure astrofisiche, circa 13,7 miliardi di anni fa. Dal “punto singolare dello spazio-tempo” l’universo ha incominciato ad espandersi. E’ nata la materia primordiale, calda e densa, che seguiva delle leggi fisiche molto diverse da quelle di adesso. Prima diramazione: gravitazione da una parte, forze unificate dall’altra. Le forze unificate obbediscono ad una teoria detta del modello standard. La materia era molto diversa da quella che conosciamo noi. Il modello standard unifica le forze nucleari e quelle elettromagnetiche. Qualcosa si è rotto (in particolare, una determinata simmetria), e la materia ha cominciato ad essere composta da particelle elementari. Queste hanno dato luogo agli elementi più semplici (idrogeno ed elio) che costituiscono il carburante delle stelle, fornaci nucleari. Le stelle formano le galassie, che via via sia allontanano fra di loro, sempre di più, mentre l’universo si espande. Nel nostro sistema solare si sono formati i pianeti, compresa la Terra, e gli elementi chimici sempre più complicati (che so, carbonio, ferro, silicio etc.), poi l’acqua, poi il brodo primordiale, e le molecole organiche composte prevalentemente da carbonio, idrogeno ed ossigeno. All’interno di questo brodo reazioni chimiche tra queste molecole  hanno generato la vita nella sua forma più semplice, in organismi monocellulari. Questa via via si è evoluta, dalle alghe fino alle moltissime specie viventi, fino a noi. Più o meno. Non è escluso che questo sia successo in altre parti dell’universo, anzi, sono  certo che questo sia il caso. Da una decina d’anni a questa parte gli astrofisici stanno scoprendo che esistono sistemi di pianeti in altre stelle. Perché la vita non dovrebbe svilupparsi in altri posti? L’universo è grande, immenso, anche se finito. Quindi, credo che esistano forme di vita extraterrestre, anche intelligenti. Da un punto singolo, la singolarità spazio temporale del Big Bang, si è arrivati a qualcosa di molto complicato. Più che l’universo, il quale segue leggi relativamente semplici (anche se difficili da studiare e spiegare) intendo che si è arrivati alla vita, ed all’essere umano, che ne è cosciente. Che cosa ci dà la coscienza di noi stessi? L’anima? Mi dispiace, ma non credo  nell’anima. Quand’ero piccolo, immaginavo che l’anima fosse un oggetto fisico risplendente, dentro di noi, a forma di lisca di pesce, o di penna d’uccello. Sorrido al pensarci. Lo stato di coscienza, ed il pensiero, devono obbedire a delle leggi fisiche. Ma sono complicate. E ancora non le conosciamo. Ciò che è buffo della coscienza, è il fatto che grazie a questa siamo consapevoli di quello che accade intorno a noi, ma non sappiamo ancora perché questo succeda. Comunque, in questo modo penso di avere spiegato perché penso che in origine erano le equazioni, e poi il caos. O meglio, la complessità. Che risplende nel nostro mondo, nei nostri pensieri, nelle emozioni. E che, mano mano, più studiamo, più approfondiamo, e più troviamo difficile da comprendere. Ma la comprensione di ciò che accade è la nostra sfida, e noi dobbiamo accettare il guanto, e giocarcela. Fino in fondo. Fino a quando esisteremo, come individui e come specie. E’ la nostra missione, quasi una condanna. Non possiamo sfuggire. Fino all’ultimo rantolo. E adesso, un bel drink. E fra un po’ un tuffo nel mare blu, da dove veniamo. Sun on you.

 

 

Vola vola, farfallina

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La teoria matematica del caos affascina. La parola stessa evoca molte suggestioni. Una volta vidi casualmente un programma  TV per bambini nel quale una  presentatrice, una bella ragazza indiana, mostrava un esperimento semplicissimo per fare comprendere il concetto di moto caotico. Nel film “Jurassic Park” Jeff Goldblum,  in occhiali da sole e giubbotto di pelle nera, interpreta il ruolo di un matematico molto estroverso. Nel corso di una scena spiega alla paleontologa Laura Dern cos’è il caos matematico, facendole scendere una goccia d’acqua dalla mano lungo il braccio e dicendo: “anche se la goccia parte dallo stesso punto, non percorrerà mai la stessa traiettoria”. Bravo Jeff, che cita anche l’effetto farfalla: il battito d’ali di una farfalla può scatenare una tempesta da un’altra parte del mondo. Ci prova un po’, Jeff, con Laura. Spiegare la teoria del caos è un metodo per rimorchiare le ragazze? Chissà. In realtà, un fenomeno caotico è abbastanza semplice da spiegare (spero):

 

è un fenomeno governato da delle equazioni che descrivono una evoluzione nel tempo imprevedibile,  ed  è molto sensibile a piccole variazioni dello stato iniziale da cui parte.

 

Esempio (di wiki, non mio):
“…il fumo di più fiammiferi accesi in condizioni macroscopicamente molto simili (pressione, temperatura, correnti d’aria) segue traiettorie di volta in volta molto differenti.”

Se la goccia d’acqua scende in modo differente sulla pelle, è perché le condizioni iniziali da cui parte non sono mai esattamente le stesse. Basta pochissimo per cambiare la traiettoria. E cambia sempre,  comunque. Non sappiamo che strada farà, non possiamo prevederlo. Il butterfly effect, (termine introdotto da Ray Bradbury, scrittore di fantascienza, pensa te) spiega esattamente questo: basta cambiare poco all’inizio perché tutto cambi in seguito, molto drasticamente. E ciò che mi sorprende è che non si può sapere in anticipo cosa accadrà, anche se si conoscono (in linea di principio) le equazioni matematiche che governano il fenomeno. Questa è la cosa più strana. Non sono un esperto, so solo del caos un po’ per sentito dire, un po’ per letture superficiali, ma da fisico sono abituato al fatto che date delle equazioni che descrivono un fenomeno, se queste si risolvono si sa cosa succede in futuro. Nella teoria matematica del caos, questo non avviene. Imprevedibilità. Mi attira, ma mi inquieta un po’.

Spesso si dice “in principio era il caos”. Non è vero, almeno per me. Non è così. In principio erano delle belle equazioni, e poi è successo il caos. Nel quale sguazziamo, più o meno felicemente , più o meno consapevolmente.
Quindi, occhio alle farfalle. Un po’ di punk rock non guasta, visto l’argomento. Do you like Siouxie and the Banshees?

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Senza tempo, senza spazio

 
 
 
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The Clash- Brand new Cadillac
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L’auto-similitudine è un concetto matematico. Un oggetto “auto-simile” assomiglia a se stesso su qualunque scala lo si osservi. Cioè, tu lo vedi prima ad occhio nudo, poi con una lente di ingrandimento, poi con un microscopio ottico, poi con un microscopio elettronico. Sempre uguale. Pensa ad un abete. Il tronco, i rami, le foglie. Sono autosimili. Anche le coste viste dal satellite, le guardi, poi fai uno zoom, ed i golfi, le calette e le piccole insenature, una dentro l’altra,  si ripetono. Si possono fare un sacco di esempi di questo genere. Questo tipo di struttura si chiama frattale. Il concetto di frattale ha avuto un grande impatto nel mio campo, la fisica, e anche nelle altre scienze. Ma la cosa più sorprendente è l’estetica delle strutture a frattale. Di nuovo, la natura ci fornisce un senso del bello particolare, che ci spiazza, ci sorprende. La sensazione che si prova di fronte alle immagini frattali è di qualcosa di comprensibile e misterioso al tempo stesso. E ci si perde dentro, perchè la scala, le dimensioni fisiche non hanno più importanza. Cosa vuole dire essere grande o piccolo se sei in un frattale? Niente. Fantastico, vero? E in parte noi siamo fatti così, perché il mondo è anche così. E’ come un viaggio senza tempo e senza spazio. Buon viaggio, allora. Nel mondo che si ripete e si ripiega all’infinito.

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Sull’acqua del Nord

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The Cure – just like heaven

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Ward sale sul piccolo palco delle presentazioni. Greg lo conosce, anche se lui non ricambia la conoscenza. Greg ha letto i suoi articoli, ed ha visto le sue presentazioni a diversi congressi. E’ un professore americano, importante nel suo campo. Rispetto all’ultima volta che l’ha visto, è invecchiato un po’.Occhiali e barbetta, ha un abito chiaro, elegante per lo standard degli scienziati americani , che sono soliti fare le presentazioni in blue jeans, magari con il codino, come capita all’autore di un esperimento bellissimo, di cui ho messo un’immagine in questo post. Il meccanismo del congresso, articolato si diverse sessioni parallele che si svolgono contemporaneamente, fa sì che non siano presenti moltissime persone,  ma l’aula è abbastanza piena. Siamo in 1800, qui a Stoccolma, e veniamo da tutto il mondo. E? un appuntamento triennale. Ma quest’anno si vedono cose assolutamente innovative, e possibili dettagli del futuro.  Ward introduce l’argomento della sua esposizione, che non spiegherò, perché è troppo difficile. Però, prima  della parte tecnica, diciamo così, fa qualcosa di straordinario, che tipicamente in questo tipo di incontri non si fa, o si fa molto poco. Si pone delle domande di carattere filosofico. E le pone a noi. Grosso modo,il succo è questo: secondo Ward, la scienza e la tecnologia stanno attraversando una rivoluzione. I fenomeni fisici che studiamo, e che sfruttiamo per i futuri oggetti che costruiremo per vivere, lavorare, e divertirci, sono complessi. Il mondo è complesso. Il sistema dei neuroni nel nostro cervello è complesso. I futuri dispositivi elettronici basati su, che so, su molecole organiche (compreso  il DNA), nanotubi di carbonio o nanofili di semiconduttore sono oggetti complessi. E l’approccio “riduzionista” della fisica del ventesimo secolo non serve. Cos’è il riduzionismo? E’ spiegare il funzionamento della natura attraverso il minimo numero di equazioni, ridurre il problema all’osso, scarnificarlo. Tutto viene dalle interazioni tra le particelle subatomiche, studiamo quello e abbiamo in mano tutto. Einstein aveva un approccio riduzionista, per esempio. E Greg l’ha sempre pensata più o meno in modo riduzionista. Ward dice che insegnamo in questo modo nele aule universitarie, ma poi quando facciamo ricerca, è tutta un’altra cosa. Perché il riduzionismo non basta più. E lo studio sistematico (quello che fa Greg nel suo laboratorio) è utile, ma non è sufficiente. Perché per trovare  delle cose veramente nuove bisogna avere le idee, e bisogna ragionare con la parte destra del cervello, e non la sinistra, che è riduzionista: Ward usa proprio questo esempio. Greg sobbalza. E’ colpito nel vivo. Il discorso di Ward dura 10 minuti, gli altri 20 sono per l’esposizione delle sue ricerche.

Più tardi, Greg è su uno dei punti di approdo dei battelli di questa bella ed un po’ asettica città nordica, la città dove si assegnano i premi Nobel. E’ un pomeriggio luminosissimo, come solo al Nord possono essere. La gradevole cantilena scandinava si mischia alle altre lingue, di turisti ed immigrati. La città storica sull’acqua, i marciapiedi puliti, le biondine che vanno e vengono con le borse dello shopping, l’orecchio al telefonino, o all’auricolare. Greg riflette su quello che ha sentito. Ward ha parlato, in un certo senso,  di libertà, e di fantasia. Embrace complexity, abbracciate la complessità, è uno dei suoi slogan. La piccola Dharma in me sorride.

Landing…

 
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The Cure-Friday I’m in love
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Adamo ed Eva mangiarono serpente in un ristorante cinese chiamato Conoscenza, e conclusero quella cena con litchi e biscottini della fortuna. Adamo ne aprì uno e lesse:”Eccoti le equazioni dell’universo. A te i calcoli, e buona fortuna!”.
Eva ne aprì un altro, dove c’era scritto: “Non credere a nulla di quanto ti racconterà quest’uomo”
Ecco come ebbe inizio la storia del nostro mondo! 
 
(Robert Laughlin, premio Nobel per la Fisica) 
 

Diffraction

 

 

La diffrazione è un fenomeno tipico delle onde. La luce, visibile e non, è costituita da onde di radiazione elettromagnetica. Un’onda diffrange quando incontra un ostacolo sul suo cammino. Prendete la luce che filtra attraverso una persiana. Osservate il gioco di ombre e luci, che so, su un pavimento. Parte illuminata, parte scura, dovuta  all’ombra della persiana. Guardate bene. Il confine non è così netto, vero? SI osserva sempre una zona di mezzo, un grigio diffuso. E’ dovuto alla diffrazione. Le onde si insinuano, diffrangono. Negli  ultimi tempi, sto (ri)studiando le applicazioni della diffrazione per onde dovute ai raggi X. La diffrazione dai raggi X permette lo studio e la determinazione di molecole ed atomi nei cristalli. Gran parte della struttura delle molecole, anche quelle complesse, come il DNA, ad esempio, è stata determinata attraverso il fenomeno della diffrazione dei raggi X. Con molta precisione. La struttura è fatta così, gli atomi disposti in questa maniera e così via. Personalmente, sto cercando di capire come si dispongono gli atomi di una particolare specie sulle superfici dei cristalli. E sto analizzando i dati che provengono da esperimenti di diffrazione dei raggi X. Dunque: Le onde eludono, aggirano gli ostacoli, creano zone “grigie”, indeterminate. Noi le guardiamo, le studiamo e determiniamo con grande accuratezza la posizione di oggetti piccolissimi. Dalle sfumature, chiamiamole così, alla misura  di precisione. Sembra un paradosso, ma avviene in questo modo. Nella vita è tutto il contrario. Le sfumature non portano a niente, o meglio, solo suggestioni ed emozioni. Parole sfumate, indeterminazione nelle posizioni. Niente è netto, se non si vuole che lo sia. Bellissimo, il discorso “sfumato”. Ma ti lascia sempre l’incertezza. E non sai mai, alla fine, che razza di interpretazione dare. A me affascina lo stesso. Però, vuoi mettere con un bel numero. Questa cosa è fatta così e non cosà. Il tale oggetto si trova lì, non da un’altra parte. C’è sempre un margine di errore, ma puoi ridurlo, o sperare di ridurlo.  Dove porta questo discorso? Forse da nessuna parte. Mi piace la suggestione, la sfumatura, l’evocatività. Ma è meraviglioso che un fenomeno così sottile, “sfumato”, come la diffrazione delle onde porti ad una certezza, fino a prova contraria. E che noi siamo in grado di interpretarlo. 

 

Aggiunta: l’italiano di questo post non è granché. L’ho sistemato un po’. E per essere evocativi, ci metto:

David Bowie, Life on  Mars

 

 

 

 

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Una vodka con Lev

OK, Aka mi sfida, e ci ricado. Scrivo sulla termodinamica. Ne ho già scritto, in realtà. Ma ci riprovo, perché ne ho dato una visione un po’ parziale. Quindi mi tolgo gli auricolari dell’i-pod, mi levo la giacca, mi rimbocco le maniche, spezzo il gessetto e scrivo alla lavagna, come mi piace tanto fare.
I principio: l’energia si conserva sempre. La materia scompare, succede, sapete? Le particelle si annichiliscono, ma la massa è energia, e quindi viene liberata sotto forma di energia. Ci sfreghiamo le mani, consumiamo un po’ di energia (meccanica, i nostri muscoli) che si trasforma in calore, e attraverso l’attrito, ci scaldiamo le mani, aumentando la temperatura sulla loro superficie. L’energia si conserva sempre. Lo ripeto, perché è importante. Il primo principio ci dà speranza, è ottimista. C’è qualcosa, qualcosa che non può essere distrutto. Assume forme diverse. Solo, bisogna capire dove va a finire. Non si può creare, ma il tutto è energia, perché lo è la materia.
II principio: L’energia nei sistemi complessi, chiamiamoli così, come noi siamo, non può essere sfruttata completamente. Non è possibile assorbire il calore del mare e convertirlo in energia per fare andare le navi. Cristo, qui cominciano i guai. I fenomeni non evolvono spontaneamente come vorremmo noi. Questo sancisce irreversibilità, impossibilità di utilizzare energia completamente per i nostri scopi. Ma è proprio così? Sì è no. Quando ero studente, mi fecero adottare i libri di testo di un grande fisico che si chiamava Lev Landau. Landau era incredibile. Si fece un po’ di anni di galera sotto Stalin, e morì in seguito ai postumi di un incidente di motocicletta. Come tutti gli scienziati russi, era tosto. E i suoi libri di conseguenza. In uno dei libri di Landau c’è un punto interrogativo, ed è l’unico. Proprio sull’irreversibilità e su una grandezza che è associata al II principio, e che si chiama entropia. L’entropia evolve spontaneamente verso valori sempre più grandi, e poichè è un indice del disordine, il disordine aumenta. Questo fissa una freccia nel tempo. Ma poiché le leggi della fisica della materia microscopica sono reversibili, ed è il numero delle particelle a determinare la statistica e l’evoluzione dei sistemi complessi, c’è una contraddizione. Landau si chiede se da qualche parte, in qualche tempo, l’entropia non diminuisca spontaneamente. Cosa che statisticamente può succedere. A trovarlo, quel punto nello spazio e nel tempo, sarebbe meraviglioso. Come fare un bingo colossale.
III principio. Il meno nobile dei tre, per certi versi, ci dice che ad una temperatura esatta (lo “zero assoluto” al di sotto del quale non si può andare) la grandezza entropia ha un valore fissato per qualsiasi sistema, sempre lo stesso. Tutto è congelato, niente disordine. DI fatto, lo zero assoluto è irraggiungibile. Non esistono frigoriferi che permettano di raggiungerlo. Il terzo principio è anche dimostrabile matematicamente, e quindi non è unvero principio, che invece è una legge fisica dimostrabile solo con osservazioni, ma un teorema (teorema di Nernst).
Questo è quanto. Adesso torno a sentire i Doors. E ad ammalarmi di malinconia, come i russi. Se ci fosse Lev, andrei a bere Vodka con lui. Sun on you

Joe & Moe

Joe e Moe si abbracciano sulla scaletta che porta alla nave. I razzi stanno per accendersi, Joe ha il suo casco sotto il braccio. E’ tutto pronto. Gemelli, insieme tutta la vita, ora le loro strade si biforcano. Joe parte, e andrà molto, molto veloce, su su su, anni luce lontano. Moe rimane a terra, nella sua villetta con giardino, moglie, bambini e cane compreso. Stessi occhi, stessi studi, stesse ragazze. Poi, un giorno, in Joe è scattato qualcosa, e ha deciso di diventare altro, mentre Moe diceva sì all’altare e metteva l’anello. Joe in occhiali scuri, testimone di Moe, guardava Barbara in abito bianco, sorridente, Dio come l’amava ancora. Joe entra nella nave, si mette il casco, pensa, ma come hanno fatto a realizzare questo gioiello che viaggia quasi alla velocità della luce. I razzi si accendono, le rampe cadono, fuoco tutt’intorno, Moe osserva la scia bianca contro il blu dalla terrazza sopra il cosmodromo, con Barbara stretta intorno a lui. Tutto sotto controllo, nella grande sala gli ingegneri applaudono, Joe perde i sensi, come previsto, mentre pensa alle lacrime di Barbara dopo avere fatto l’amore quell’ ultima, dannata volta che lo specchio si è infranto.

La vita di Moe è un fiume placido, con dei vortici sotto la superficie, piccoli gorghi che trascinano la sua anima. Moe nella sua villetta con giardino, i suoi barbecue con gli amici, gli alti e bassi con Barbara, i figli ormai grandi, il cane vecchio. Moe, la notte, guarda quei puntini luminosi in alto, una birra dopo l’altra, le rughe agli angoli degli occhi sempre più profonde, i grilli cantano le notti d’estate, ma le crepe si aprono, i gorghi lo risucchiano e lo risputano, mentre il fiume placido va.

Cinque minuti di Joe sono cinque mesi di Moe, il tempo è relativo, è il cosiddetto paradosso dei gemelli, il tempo rallenta per chi viaggia. Einstein l’ha scritto, la teoria è confermata. E così, il viaggio che per Joe dura poche ore, per Moe dura una vita. Chissà se i due gemelli si rivedranno, forse Moe non ce la farà, sotto sotto Moe spera di non farcela. Lo specchio si è infranto, tanti anni prima per Moe, pochi mesi prima per Joe. Il coyote ulula, canta per le stelle di Joe, mentre Moe tracanna l’ennesima lattina, in veranda, contemplando l’ultima crepa che si è aperta.

Light cone

Mi piacciono i film corali, quelli alla Altman, per intenderci, come Nashville, o America Oggi. Il film che mi piacque di più, l’anno scorso, fu Crash-contatto fisico. Sono difficili da realizzare, e qualche volta difficili da seguire. Anche Magnolia mi piacque moltissimo. Tutte quelle storie che si intrecciavano a Los Angeles. Storie che si intrecciano, è così che va, nella vita. Molto spesso non ci accorgiamo degli intrecci. Un punto, nello spazio-tempo, viene definito evento, secondo la relatività. Un punto preciso ad un tempo ben definito. Ad ogni evento è associato un cosiddetto cono di luce, che divide lo spazio tempo intorno all’evento in due regioni separate.

L’evento descrive una traiettoria, dentro il cono. Istante per istante, noi siamo eventi che formiamo una traiettoria. Le nostre traiettorie descrivono delle linee curve, e possono avvicinarsi ed allontanarsi. Ed ogni punto successivo, ogni evento successivo, ha il suo cono di luce. E’ una visione un po’ poetica della teoria della relatività ristretta. Siamo scie nello spazio-tempo, che forse possono interagire, e cambiare le loro traiettorie per le interazioni. Ma le cambiamo veramente? Io non credo. Le nostre scie procedono parallelamente, allontanandosi o avvicinandosi. E curviamo impercettibilmente lo spazio tempo intorno a noi, inclinando il nostro cono di luce, per la nostra materia, che genera gravità. Magnolia, e gli altri film bellissimi, mi fanno venire in mente queste strane idee. Infine, questa canzone, colonna sonora del film. Il testo.

It’s not
What you thought
When you first began it
You got
What you want
Now you can hardly stand it though,
By now you know
It’s not going to stop
It’s not going to stop
It’s not going to stop
‘Til you wise up

Gli attori, coralmente, la cantano nelle loro situazioni. No, non si ferma, non voglio mettere giudizio, lo penso stasera, mentre torno in bici a casa, al tramonto.

Entanglement

Entanglement in inglese vuol dire intreccio. Legacci, corde, nodi che ti legano a qualcosa, da cui è difficile divincolarsi. Nella fisica quantistica, esiste una situazione, un fenomeno che prende questo termine. E’ come una magia, un effetto paradossale che creò,e crea, grattacapi a scienziati molto illustri, a cominciare da Einstein, il quale ebbe grossi problemi nell’accettare la visione della realtà che la teoria quantistica ci offre. Esistono infatti degli stati, nella realtà quantistica, in cui le particelle sono intrecciate, legate. E continuano ad essere legate anche se si trovano molto, molto distanti, separate anni luce di distanza. Ma la cosa incredibile, è che se prendiamo due particelle in uno stato “entangled” (legato), le separiamo, e poi riveliamo attraverso delle misure lo stato di una delle due particelle, lo stato dell’altra sarà determinato automaticamente. Il punto è che, in linea di principio, non si sa come sta la particella 1, chiamiamola così, anzi, è possibile al 50% che stia in un modo o nell’altro. E in base alla misura dello stato della particella 1, lo stato della particella 2 è dato di conseguenza. Cioè a seconda di come Bob misura la sua particella 1, Alice trova una risposta diversa dalla misura della sua particella 2, che dipende da Bob e dalla particella 1. Un’azione a distanza, istantanea. Questa situazione disturba la nostra idea di realtà, e di come avvengono i fatti. Recita wikipedia:

L’entanglement quantistico costituisce una difficoltà… in quanto è incompatibile con il principio apparentemente ovvio e realistico della località, per il quale il passaggio di informazione tra diversi elementi di un sistema può avvenire soltanto tramite interazioni causali successive, che agiscano spazialmente dall’inizio alla fine. Ad esempio, secondo il principio di località, il mio pugno può arrivare al tuo naso solo se io sono abbastanza vicino a te, o se sono in grado di mettere in moto meccanismi che, passo dopo passo, giungano fino al tuo naso.

Molti anni fa, lessi un libro di un grande fisico inglese che si chiama Roger Penrose. Mi fu regalato da un mio collega italiano che lavorava in quel tempo a Liverpool, col quale dividevamo insieme gioie e dolori dell’emigrazione. Un libro affascinante e difficile, che si pone il problema della “fisica della coscienza”, cioè delle leggi fisiche che potrebbero portare ad una descrizione accettabile della nostra coscienza, di come funziona la nostra mente. Tra le moltissime informazioni, teorie ed idee esposte in questo libro, c’è questo passo, a proposito dell’entanglement:

Fin quando questo intreccio quantistico persiste, non è possibile considerare, a rigore, ogni oggetto dell’universo come qualcosa a sé stante. Ciò non è soddisfacente, dal mio punto di vista… Perchè non considerare l’universo come un casino di oggetti intrecciati quantisticamente, che non ha nessuna relazione col mondo “classico” che noi osserviamo?

Per mondo classico, Penrose intende una visione deterministica della realtà, causa ed effetto, dove due oggetti lontani non possono essere intrecciati, uno da una parte, uno dall’altra, a meno di una interazione che si propaga passo passo, veloce o lenta che sia. Però la fisica quantistica funziona, siamo noi ed il nostro senso comune che non la accettiamo, o non ne siamo nemmeno consci. E questo “little piece of magic” che è l’entanglement fa parte della realtà. Ma cosa è la realtà? O meglio, perchè noi percepiamo una realtà così diversa da quella della fisica quantistica? Non c’è risposta. Ma il senso di mistero e di fantastico che permea il mondo in cui vivono e muoiono le particelle è incredibilmente affascinante. E nella situazione di entanglement trovo un pizzico di romanticismo, che non mi dispiace affatto.

Something about Richard

Il disegnino che vedete sopra si chiama “diagramma di Feynman”. Sembra uno scarabocchio carino, ma ha un preciso significato. In parole povere, descrive l’interazione fra due particelle, due elettroni in questo caso, attraverso scambio di radiazione elettromagnetica. Le linee diritte stanno ad indicare, più o meno, gli elettroni che viaggiano, ad un certo punto da uno dei due parte una linea ondulata (radiazione) che arriva all’altro, e poi i due se ne vanno per fatti loro. Come due giocatori di calcio che si muovono sul campo, si avvicinano, si scambiano la palla e poi si allontanano. Dov’è la bellezza di questo grafico? Sembra banale, ma non lo è. Ogni linea, ed ogni punto dove le linee si incontrano corrispondono ad un termine di una formula matematica, che ci dà la probabilità che questo fenomeno (lo scambio della palla) avvenga. E la formula è molto lunga, e difficile. Chi inventò questo modo semplice e diretto di rappresentare delle formule complicate era un genio. Infatti prese il premio Nobel. Si chiamava Richard Feynman, uno dei più grandi fisici di tutti i tempi. Personalmente non utilizzo i diagrammi di Feynman, perché lavoro in un campo diverso della Fisica. Ma li ho studiati, e li ho sempre trovati affascinanti. Sono di fatto degli ideogrammi, come quelli della lingua cinese, ad esempio:

sta a significare amore, “ai” (da buon romanticone, ho scelto proprio questo). Questo carattere è complesso, ed è composto da tre ideogrammi. Dice la spiegazione che ho trovato sulla rete:

“Al centro del carattere troviamo infatti il simbolo per il cuore “xin” racchiusa dall’ideogramma “respiro” (nella parte superiore) e dal concetto di “movimento aggraziato” nella parte inferiore. L’amore quindi nella cultura cinese e’ una fonte inesauribile d’ispirazione che soffia la vita nel cuore e dona grazia e armonia all’intero corpo umano.”

Mentre i diagrammi di Feynman sono disegni semplici, che però indicano formule e concetti complicati, gli ideogrammi cinesi sono complessi da disegnare, ed esprimono soprattutto parole e concetti comprensibili a tutti. Ma per me c’è un senso dell’estetica in tutte e due le rappresentazioni grafiche, che le accomuna: la bellezza della descrizione della natura e del pensiero, la bellezza della mente umana.
Richard Feynman era un grande uomo. Un grande professore, adorato dai suoi studenti, al Caltech di Los Angeles, e spiegava la fisica, anche quella più semplice, in modo eccezionale. Suonava le congas, partecipò più volte alla sfilata del carnevale di Rio, era affascinante (donnaiolo) e simpatico. Insomma, un mito. Questo è un estratto dal suo libro di testo, ovviamente straordinario, e ben diverso dai noiosi manuali universitari:

“….perchè la Natura è così vicina alla simmetria? Nessuno ha idea del perchè. L’unica cosa che potremmo suggerire è un qualcosa di simile: Vi è una porta in Giappone, a Neiko, che talvolta è chiamata dai giapponesi la porta più bella di tutto il Giappone: fu costruita in un’epoca in cui c’era molta influenza da parte dell’arte cinese. Tale porta è assai elaborata con gran quantità di timpani e belle sculture…… Ma quando si guarda attentamente si vede che nel disegno elaborato e complesso di uno dei pilastri uno dei piccoli elementi del disegno è scolpito a rovescio; altrimenti la cosa è completamente simmetrica. Se si chiede perchè è così, raccontano che fu scolpito a rovescio affinchè gli dei non fossero gelosi della perfezione dell’uomo. Sicchè a proposito s’introdusse lì un errrore, in modo che gli dei non fossero gelosi e non si adirassero con gli esseri umani. Anche le leggi della Natura non sono simmetriche. Ci potrebbe piacere di capovolgere l’idea e pensare che la vera spiegazione della quasi simmetria della natura sia questa: che Dio fece le leggi soltanto quasi simmetriche in modo che non fossimo gelosi della Sua perfezione.”

Chalk’n’talk

Queste sono le equazioni di Maxwell. Sono quattro equazioni nelle quali sono condensati elettricità e magnetismo. Uno studente di Fisica, Ingegneria o Chimica le dovrebbe conoscere alla fine del secondo anno dei suoi studi. Riassumono molti fenomeni, quali il passaggio di corrente elettrica, la propagazione della luce, o l’attrazione/repulsione delle calamite. Motori elettrici, lampadine, bussole, dighe, stazioni radio FM. Alla base di tutto ci sono loro. Un capitolo di un libro di testo americano mostra la foto di Jimi Hendrix che suona a Woodstock, e spiega come funziona la sua chitarra elettrica, una Fender Stratocaster candida, in base ad una delle quattro equazioni. E sono il primo esempio di unificazione di forze e fenomeni che sembravano essere molto diversi tra di loro. Ovviamente non sono solo nate dalla mente di James Clerk Maxwell, il matematico scozzese che dette loro il nome, alla fine dell’ottocento. Sono il risultato di un secolo di esperimenti e fatica di signori che, per interesse (anche economico) e per passione, trovarono legami e relazioni precise tra elettricità e magnetismo. A me piace scriverle alla lavagna, come sono qui raffigurate. Gessetto e parlare, chalk’n’talk, il bel modo antico di fare lezione che piano piano si sta estinguendo. Dopo questa unificazione e semplificazione (anche se queste formule non sembrano affatto semplici) ne sono venute delle altre, che hanno portato ad una visione unitaria di quattro delle cinque forze fondamentali che regolano la natura. La quinta (la gravitazione) ancora sfugge. Perché scrivo questo? Perché la vita, gli accadimenti, non sembrano affatto “unitari”. E’ tutto così frammentato, caotico, spezzettato. E ciò che succede intorno a noi sembra diverso e multiforme. Noi stessi siamo divisi e dispersi in mille rivoli di atti e sentimenti spesso contraddittori. E’ questo il grande paradosso. Che non ha spiegazione, almeno apparente. Tutto ciò che si fa, si dice, succede mi appare sempre frantumato. Poi, rileggo i libri di Fisica e mi accorgo che sì, il caos esiste, ma è governato da qualcosa di elegante e semplice. Semplice, ovviamente, dopo anni di studi. Che logica c’è in tutto questo? Non so dare una risposta. So solo che al fondo, al fondo dei tormenti, delle esplosioni, delle divisioni e dei conflitti, del caos che scandisce l’esistenza e la complessità dei fenomeni che avvengono intorno a noi alcune persone hanno trovato la semplicità della sintesi. Un dono divino, ma umano al tempo stesso. Un dono di amore verso noi stessi.

A case of you

Cammino sui coriandoli, di sera, alla fine di una giornata molto faticosa, con la cravatta slacciata. Occhioni blu e il cous cous della signora che mi aiuta in casa mi aspettano. E penso alla storia di oggi. Negli ultimi due giorni, ho fatto esami per conferire il titolo di dottore di ricerca a undici giovani scienziati. Eravamo in tre, ad esaminarli, due mega prof. ed il sottoscritto, che faceva da segretario, cioè, in pratica scriveva i verbali. Siamo stati lì, ad ascoltarli, dopo avere letto le loro dissertazioni su argomenti vari. Seduto sulla mia sedia, guardavo questi ragazzi vestiti più o meno bene esporre i loro risultati mirabolanti. E sono mirabolanti per davvero. Poi l’occhio mi è caduta su una dissertazione. Ci capivo poco dell’argomento, la tesi descrive come funzionano certe membrane cellulari, e cerca di ricostruire il meccanismo di passaggio di ioni attraverso queste membrane, mediante delle simulazioni (cioè calcoli) al computer. Una roba complicata di cui so pochissimo. Ma ecco, ecco ciò che mi ha colpito: all’inizio di ogni capitolo, erano scritti i versi di alcune canzoni, e tra gli altri ho riconosciuto subito questi:

Oh tu sei nel mio sangue come vino santo
Sai di amaro e di dolce
Oh potrei bere una cassa di te mio caro
E starei ancora in piedi
E starei ancora in piedi

Oh you’re in my blood like holy wine
You taste so bitter and so sweet
Oh I could drink a case of you darling
And I would still be on my feet
Oh I would still be on my feet

Altra canzone bastarda, di Joni Mitchell. Il dottorando parlava delle sue membrane cellulari, e io, dietro la mia cravatta, sotto la mia faccia seria, seduto accanto ai miei sapientissimi colleghi, sono volato su, su per l’aula, e sono andato via con quell’oggetto che mi sta sulle spalle, e che tendo ad usare troppo, o troppo poco. Comprai “Blue” di Joni Mitchell, il disco dal quale è tratta questa canzone, quando avevo 16 anni. Mi sa che ci ho anche baciato la mia prima ragazza con quella musica in testa.

Maledizione, ma perché sono fatto così. Perché ho questa memoria, perché non butto via tutta questa roba che ho ancora dentro, mi sono chiesto. E poi ho capito che quel ragazzo, con le sue membrane cellulari, sente come me. E alla cerimonia finale, rivestito con la toga ed il tocco, gli ho stretto la mano un po’ più forte per le congratulazioni di rito, e l’ho guardato nei suoi occhi timidi, incorniciati da occhiali spessi. Mi hai ripetuto la solita lezione, amico, che tendiamo a dimenticare troppo spesso. Al di là dei nanotransistor, al di là delle membrane cellulari e delle altre meraviglie, al di là delle nostre intenzioni e delle nostre azioni, mi hai detto chiaro e forte che bisogna bere il vino degli altri, dolce o amaro che sia, per usare la testa, e per potere andare avanti, e capire come funziona il mondo e la natura . Quel vino ha una denominazione. Ve la scrivo in inglese, perchè così mi piace di più: LOVE.

Happy Birthday, mr. Aka

“Caro il mio Piero Gennadji Ulianov Angela, non essere preda dei tuoi stessi pensieri, ma fai che ti tengano compagnia.”

Questa è quella che gli accademici chiamano una “prolusione”. Rompo il mio silenzio (neanche tanto silenzioso) per celebrare in anticipo il compleanno dell’uomo più saggio del blog: Akamotasan , il più grande generatore di haiku di Virgilio. Nelle “prolusioni”, un qualche professorone un po’ rincoglionito viene chiamato durante una cerimonia accademica dal rettore o qualche altro pezzo grosso, si alza dal tavolo dove è placidamente appisolato, si aggiusta la mantella, si rimette dritto il tocco e tiene una lezione per la disperazione dei presenti, pronti ad avventarsi al rinfresco successivo. Beh, mi sono autoarrogato il diritto di farla io, la lezione. Oddio, il post di Marihellen per celebrare il compleanno di Aka dell’anno scorso, con immagine qui presente

forse è più gradito all’uditorio, ma, ahimè, a chi passa di qui tocca sorbirsi una piccola lezione sull’effetto tunnel. Aka gradirà, lui ha di queste perversioni mentali (parole sue). Dunque, immaginate di trovarvi davanti un muro, e volete andare dall’altra parte. Non c’è storia, o vi arrrampicate, oppure lo saltate. Se il muro è perfettamente liscio, e non ce la fate ad arrampicarvi, dovete saltarlo. E se non avete l’energia necessaria, nè strumenti adatti, non c’è speranza. Potete sbatterci solo la testa contro. E’ proprio così? No, non è così. Se voi foste una particella piccolissima, diciamo, un elettrone, e le pareti del muro non fossero troppo spesse, POTRESTE passare. C’è una possibilità, certe volte neanche troppo piccola, che si possa passare. Questo è l’effetto tunnel. Il tutto perchè quando si va su scale molto piccole, le leggi fisiche cambiano. Non c’è più causa ed effetto, c’è solo la probabilità. E noi, che siamo molto più grossi di elettroni, siamo letteralmente dei grovigli molto concentrati di onde di probabilità. Onde. Bello essere onde, eh?! Quando si è onde si è un po’ dappertutto, si è “estesi”, “delocalizzati”. E si possono “tunnellare” i muri. proprio così:

E se questo vi sembra un concetto un po’ astruso (lo è, lo è…) sappiate che molte memorie mobili dei dispositivi elettronici che utilizziamo tutti i giorni sfruttano l’effetto tunnel: le penne USB, e le memorie delle fotocamere digitali, ad esempio. Aka, amico mio, non pensare che i muri del tuo ufficio intorno a te siano invalicalibili. Puoi sempre sperare di “tunnellarli”, anche se è più facile vincere al superenalotto. Ma tu già lo pratichi l’effetto tunnel, con la tua mente, la tua fantasia che genera storie deliziose che molti di noi leggono con piacere, ed alleviano la vitaccia cagna di tutti i giorni. Sun on you, ed eoni di questi giorni w

Blue light

Colori. I colori sono l’impressione sulla nostra retina di emissione luminosa. Cioè emissione di radiazione elettromagnetica, o meglio, di una parte di essa. Ai colori noi umani associamo sensazioni, emozioni, ricordi. Rosso, passione. Giallo, invidia. Verde, speranza. Blu: il colore del cielo, lo associo al paradiso, all’estasi. Estasi fredda, ghiaccio. LED e LASER sono due tipi di strumenti, che possono essere basati sullo stesso tipo di dispositivo elettronico, e che emettono luce di un certo colore. Vengono realizzati con materiali particolari, chiamati semiconduttori. In realtà, di LASER ce ne sono di molti altri tipi (gas, liquidi, etc.), ma io recentemente ho approfondito lo studio di LASER che sono costruiti con lo stesso materiale dei LED. C’è una grossa differenza, però, tra LED e LASER. I LED emettono luce di un certo colore, determinato, ma questa luce, per così dire, non ha la stessa qualità di quella dei loro “cugini”. I LED emettono un po’ dappertutto, e la loro luce serve solo per segnalare se uno strumento è spento, o acceso, o per segnalarci qualche piccola informazione. E’ giusto che sia così. Ho un curioso ricordo associato ai LED. Il detective privato Harrison Ford, a caccia di replicanti in Blade Runner, aveva una enorme pistola con un piccolo LED rosso acceso, quando la brandiva, puntandola contro la preda che aveva appena fatto fuori, la bellissima Joanna Cassidy. Le pistole non avevano, e non hanno ancora, LED che ne segnalino il funzionamento. Fantascienza anni 80, superata. Era una bella idea, però, e mi piacque, dal punto di vista estetico. I LASER, però, hanno un altro tipo di qualità. Sono basati su un principio, detto emissione stimolata. E’ come se la luce all’interno del LASER si autosostenesse, prima di essere emessa. Difficile da spiegare, in parole povere. Ma la luce, prima di uscire, si “autoorganizza” e ne esce purissima, pressocchè perfetta. Colore perfetto, direzione perfetta, intensissima. Sono quasi cinquant’anni che esistono i LASER, e ce ne sono di tanti tipi. Alcuni sono comunemente usati in medicina, o nelle telecomunicazioni, ed in altri aspetti della vita quotidiana. Quelli a semiconduttori sono i più compatti ed economici. E quelli che emettono luce blu con questo tipo di materiale, si stanno incominciando a costruire solo ora. La luce blu perfetta è difficile da realizzare. Solo con altri tipi di LASER, molto più costosi. Ma piano piano, con molti sforzi e molto ingegno, i LASER blu stanno per arrivare, più economici. Luce blu per tutti. E io mi auguro: paradiso per tutti, estasi per tutti. Su questa terra. Love, w

Blow up

Domani il mio centro di ricerca inaugura una mostra. Immagini bellissime di cose molto, molto piccole. Qui trovate un po’ di esempi.Oggi ho partecipato alla presentazione, e mi sono emozionato. L’immagine che ho messo sul post, che fa parte della storia, ormai, non è nel catalogo, ma rende bene l’idea. Sono cose che fabbrichiamo, studiamo, ci giochiamo anche un po’. Per un paio di giorni, a Febbraio, farò lo scienziato pazzo che le spiega. La scienza ha una sua estetica, un po’ particolare. Ma straordinaria. Ne ho scritto, una volta, a Giugno. Il mondo è splendido, basta guardarlo, anche se costa un po’ di fatica. Se vi capita, passate da noi. E’ anche gratis. Merita. Qui le informazioni.

Gunn

In questo un periodo ho scritto più del solito. Perché? Per esorcizzare qualcosa. Mi fa piacere scrivere, ma non sto esagerando? Sto pensando alle oscillazioni. A lezione ho spiegato una cosa complicata, che si chiama effetto Gunn. Non posso spiegarlo qui, a malapena lo capisco io, figurati. E’ un effetto strano, che accade in un materiale denominato GaAs, un materiale molto importante, ci fanno laser ed elettronica avanzata. Uno applica una tensione elettrica, passa corrente elettrica, placidamente, come un fiume. Ma oltre un certo livello di tensione, la corrente elettrica incomincia ad oscillare. E il materiale emette radiazione, microonde, in questo caso, sì, proprio quelle dei radar e dei fornetti con i quali ci scaldiamo i cibi. Oltre un certo livello, si oscilla. Su e giù, su e giù. E’ un periodo che oscillo anch’io, su e giù, ed emetto parole. Ma le oscillazioni non durano in eterno, si smorzano, se non c’è qualcosa che le costringe a durare. Il materiale si spegne, diventa inerte se abbandonato a sé stesso. Quindi l’inquietudine, le cause esterne ed interne, non sono di per sé un male. Le oscillazioni servono, basta non esagerare. Possono essere dolorose, questo sì. Ma il dolore, come l’allegria, sono parte di noi stessi. Ineliminabili. Questo è tutto, alla prossima oscillazione. Presto. Love, w

Annihilation

Questo è l’ultimo post, prima di chiudere per un po’. Sono in ufficio, annoiato, accaldato. Esami: finiti. Esperimenti: sospesi. Lezioni: ‘a voglia, fino a gennaio non se ne parla. I miei colleghi scarseggiano, dispersi in conferenze in Giappone, Francia, Stati Uniti e chi più ne ha più ne metta. Una parte è in ferie. Studenti: beh, studiano, ma incominciano a scarseggiare, anche loro. Nel mio ufficio sono solo, devo riordinare la scrivania, ma non è il genere di lavoro in cui eccello. Andare a casa? L’idea di prendere la bici e farmi un viaggio, sia pur minimo, a 38 gradi non mi alletta. La valigia la faccio stasera, quella può sempre aspettare. E allora, così, scrivo una storiella di Fisica.

Negli anni ’20 PAM Dirac, il fisico inglese taciturno, scoprì un’equazione, di cui ho già scritto in un precedente post (26 Giugno 2006), che regola il moto delle particelle elementari. Era contento, perché era esatta ed elegante, bellissima. Poi però la guardò bene, e vide che c’era qualcosa in più, qualcosa di nuovo. Nell’equazione era previsto che esistesse la cosiddetta antimateria. Cioè, se esiste una particella come ad esempio l’elettrone (il moto degli elettroni nei corpi è all’origine dell’elettricità) ce ne deve essere un’altra, un’antiparticella, uguale ma opposta in tutto. L’esistenza dell’antimateria, cioè delle antiparticelle, è stata provata sperimentalmente. Esistono addirittura degli strumenti medici, come il PET (Tomografia ad Emissione di Positrone) che utilizzano l’antiparticella dell’elettrone, il positrone, appunto. Spero di essere stato chiaro, ma non è poi così importante. Le antiparticelle sono rare, in natura, chissà perché, ma esistono. Veniamo adesso al punto. Cosa succede se una particella ed un’antiparticella vengono a contatto? Cioè può capitare, no, nel traffico dell’Universo, o in quello artificiale dei nostri strampalati laboratori, che una particella e la sua anti si sfiorino, si incontrino. Il risultato è un fenomeno chiamato annichilazione. I due corpuscoli si attraggono irresistibilmente, fatalmente, diventano una cosa sola, e scompaiono, dando come risultato due raggi luminosi, due fiotti di luce che viaggiano in direzioni opposte. Perché materia è energia, e l’energia si conserva sempre.
E qui compio il solito salto logico, e passo a noi umani. E penso alla passione, come ad una forma complicata dello stesso fenomeno. I corpi si attraggono, irresistibilmente, si fondono, le chitarre elettriche suonano, il mondo intorno si scioglie, fiamme e ghiaccio insieme, l’estasi ed il Nirvana. Insomma, quelle cose lì. Troverete sicuramente delle descrizioni più efficaci delle mie
Ma dopo? Il dopo è il problema. Fortunatamente non c’è un’annichilazione in senso stretto (oddio, magari qualche volta sì, purtroppo) ma dopo un up c’è sempre un down. Mi piace pensare però che l’energia liberata, i fiotti di luce di cui parlavo prima, vengano emessi, continuino a viaggiare, e illuminino e scaldino la grigia vita di noi tutti, non solo dei due (?) fortunati. Senza la passione, senza l’idea stessa di passione, vivremmo in un mondo di orologi meccanici di precisione, tic tic, qualche drin, senza passato e senza futuro.In definitiva, non vivremmo affatto. Buone vacanze a tutti, che il sole splenda su di voi, miei cari. Love, w

Ah sì, il prof. si è montato la testa. Partecipa ad un concorso , pensa te, come se non ne avesse già fatti abbastanza. Click on image e, se vi va , potreste magari fare un click nel punto giusto 😉

Uova fritte (e surfing)

Sulla porta di un bagno del mio Istituto, uno studente ha scritto la seguente massima:

Secondo Principio della Termodinamica:
Le uova fritte non tornano intere.

Lo studente ha ovviamente ragione, ed ha colto esattamente il punto. La termodinamica è un campo della fisica che regola il comportamento di sistemi complicati, costituiti da un grande numero di parti, senza curarsi troppo del dettaglio di ciò che avviene ad ogni singola parte. Cose complesse come noi, insomma. Il Secondo Principio sancisce l’irreversibilità di ciò che avviene in questi sistemi. Irreversibilità vuole proprio dire che niente, a meno di compiere grandi ed inutili fatiche, anch’esse irreversibili, può ritornare com’era prima. Semplicemente, l’idea che si possa tornare indietro rimane tale, un’astrazione. Quindi le uova fritte non tornano intere. Niente, nessuna azione, una volta presa, è reversibile. Mai tornare indietro. Si può stare fermi, immobili (anche se è praticamente impossibile) ma la corrente degli eventi circostanti ci trascina, inesorabilmente. La freccia del tempo punta in una specifica direzione, e noi non possiamo che seguirla. L’unica possibilità per noi, uomini e donne è scegliere fra più azioni: destra o sinistra? Odiare o amare? Mangiare o non mangiare? Se non veniamo trascinati prima, abbiamo l’arbitrio (forse), ma una volta scelto, indietro non si torna. Mai. In un post precedente, ho scritto che non c’è niente di rotto che non si possa aggiustare. E’ vero, ma quello che otteniamo è un altro oggetto, non quello originale. L’amore, come altri sentimenti, determina azioni irreversibili. L’amore è irreversibile. L’unica cosa che possiamo fare, una volta in azione, è fare del surf sulle onde degli eventi, con la bocca aperta, pieni di euforia, e godercela. E quando l’onda finisce ne dobbiamo trovare un’altra, e surfare la vita, fino alla fine. Ma non dobbiamo dimenticare mai le onde precedenti, e quello che ci hanno dato. I nostri neuroni ci portano indietro, ci fanno rivedere ciò che è stato e che non ritornerà più. Love, w

In laboratorio

Questa foto che vedete non è presa da google, ma è il mio laboratorio. Strane macchine che, vi assicuro, messe insieme costano più di una Porsche. Una buona parte di questi strumenti sono stati acquistati con i sempre troppo scarsi fondi che ci passa lo Stato. Una piccola parte sono stati progettati da me, almeno concettualmente, diciamo così. Ed io, e pochi studenti, l’abbiamo montata pezzo per pezzo. Viti, bulloni, acciaio, pompe da vuoto, tubi dell’acqua, cavi, elettronica, tutto montato da noi. Adesso funziona, più o meno, ma c’è sempre bisogno di manutenzione, perchè questa roba è delicata, e capita che spesso sia necessario intervenire. Non vi spiego a cosa serve, non è il punto. Vi dico solo che questa è un po’ la mia seconda casa. Qui non ci sono formule, equazioni da risolvere, articoli da scrivere, conferenze, lezioni e tutto quello che uno può immaginare che un fisico universitario faccia. Noi non facciamo solo questo. C’è anche fatica fisica, e sudore. E frustrazione, quando le cose non vanno come dovrebbero, e lo strumento magari non funziona. Ci ho messo tre anni, per arrivare a questo risultato che vedete. Ma la cosa più divertente e bella di quello che faccio, è che spesso per fare funzionare questa roba c’è bisogno di costruire oggettini con lamierini metallici, piccole viti, materiale che costa pochissimo. E spesso me li costruisco io, con le mie mani e con la mia scarsa perizia, per necessità e anche per mio diletto. Ieri ho costruito una piccola cosa con del rame, mi sono messo lì sul tavolo e l’ho fatta. Gli studenti stavano nella stanza accanto a studiare, ed io ero solo, immerso nel rumore di fondo della strumentazione, nel fresco dell’aria condizionata. Ed ero contento, mi ricordavo del mio professore che mi diceva: “Adesso se mettemo qui, come du’ bei ciabbattini”, si inforcava gli occhiali e produceva delle piccole cose straordinarie. Dovrei pensare più spesso a quanto sono fortunato, a fare un lavoro creativo e che mi dà soddisfazione. Il pezzo che ho fabbricato sembra funzionare, oggi c’è da smontare un’altra cosa, da insegnare ad un ragazzo un po’ di trucchi, e da discutere con i miei colleghi su come procedere con l’esperimento, usando l’ironia ed il buon senso. Qui, la mia vita spesso è meravigliosa. Love w

Amore e simmetrie

Guardate. Una sfera, una palla da biliardo. Perfetta, no? Simmetrica. Da ogni parte la si giri, è sempre uguale. Così la vediamo, e così ce l’abbiamo in testa, cioè ce l’immaginiamo. Eppure, non è così, no no. La osserviamo al microscopio, ed è piena di graffi, scalfitture invisibili ad occhio nudo. Le cose simmetriche sono bellissime, ma esistono solo nella nostra testa. Niente è simmetrico. L’universo nasce da “una rottura spontanea di simmetria”, così la chiamiamo pomposamente noi fisici. E l’universo, e le forze che lo regolano, violano le simmetrie. Questo si è scoperto un po’ di anni fa, diciamo negli anni 50. Dunque, seguitemi. Niente in realtà è veramente simmetrico. E quindi noi non siamo simmetrici. Siamo destri, siamo mancini, abbiamo il naso storto (almeno un po’) gli occhi non perfettamente uguali, i denti, chi più chi meno, un po’ storti. Che strano. Immaginiamo qualcosa di bellissimo, che in realtà non esiste. E non c’è niente di più asimmetrico che le nostre sensazioni, le nostre passioni, i nostri sentimenti. L’amore è asimmetrico? Sì certo, Gesù diceva amate tutti, ma poi pure lui amava qualcuno un po’ più degli altri. Dunque. L’amore è fortemente, violentemente asimmetrico. E così la vita, che fluisce nei nostri corpi, e noi non possiamo farci niente. L’universo è fatto in questo modo, e noi non possiamo essere da meno. Perciò, le cose belle che nascono in testa, perfette, restano lì. Ma secondo me la vera bellezza è nell’imperfezione, perchè è da lì che traiamo vita. Soprattutto dall’amore. Quindi, viviamo e amiamo, dimentichiamoci le simmetrie e la perfezione. Lasciamole nella nostra mente, e respiriamo l’universo. Love w

Ho sempre sognato….

…di scrivere questa nel mio blog. Oggi, ho trovato il coraggio. Per inciso, è l’equazione di Dirac, una delle piu’ belle equazioni mai scritte, per me. Descrive il moto di particelle infinitamente piccole (tipicamente elettroni) a velocità elevatissime, vicine a quelle della luce. E’ elegante, completa. Splendida. Eppure, dietro c’è un mondo complicatissimo, e si è fatta tanta, tanta fatica per arrivare a questa gemma di conoscenza. E’ come un gol di Ronaldinho. Ne fa alcuni bellissimi, che sembrano semplici, ma non lo sono. Ed io sono convinto che lui abbia faticato moltissimo per potere riuscire a fare quelle cose straordinarie. L’equazione di Dirac è stata formulata da PAM Dirac, un fisico inglese che si dice non parlasse mai, molti anni fa. E adesso? Adesso si cerca la teoria del tutto, e la particella di Dio, come viene chiamato il bosone di Higgs. La teoria nella quale si ipotizza l’esistenza di Higgs viene chiamata modello standard. E’ una teoria elegante e completa, come l’equazione di Dirac, molto più complicata, ma altrettanto bella. C’è un senso estetico nella scienza, ed in particolare nella fisica? Ovviamente sì, ma è molto difficile da spiegare a chi non è un fisico. Sappiate che io mi emoziono, talvolta, quando vedo una bella lezione, od un bel seminario. Passiamo ad un’altra meraviglia, questa:

non sono scogliere, no, quelli che sembrano scogli appuntiti sono atomi. E sono stati messi in circolo, così, uno per uno, usando una punta di Tungsteno, su una superficie metallica. Sembra semplice, ma è difficilissimo. Sono oggetti grandi circa un decimo di miliardesimo di metro, mica palle. Ma c’è qualcuno che l’ha fatto. E le onde sono elettroni del metallo, che si frangono sulla scogliera. Si chiama quantum corral, ed è assolutamente straordinario. Possiamo fare tante cose, noi. E ci mettiamo il cuore, e l’anima, credeteci. Come canta Don Fagen:

Che mondo splendido sarà
Che tempi gloriosi per essere liberi

Noi sognamo ad occhi aperti cose incredibili, ma vere. Ed è bellissimo. Love w