seven colours: violet

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neil young-my my hey hey

400 nanometri. questa è la lunghezza d’onda della luce corrispondente al viola, che noi vediamo quando i raggi luminosi penetrano nella pupilla e vengono focalizzati dal cristallino sulla retina, dentro il nostro occhio. è il minimo di lunghezza d’onda percepibile dalla visione umana, così come il massimo corrisponde al colore rosso. ma oltre, oltre c’è un mondo. un mondo invisibile, sfuggente, riusciamo a vederlo solo attraverso altri strumenti: rivelatori, principalmente, il cui principio di funzionamento  sfugge ai più. ho utilizzato un tipo di luce emessa da una particolare macchina, che si chiama sincrotrone, comprendente tutti i colori, visibili e non visibili, anche l’ultravioletto e i raggi X. quando esce dalla macchina, questa luce può avere un colore dominante che vira verso il viola, o blu. una volta la vidi direttamente, con alcune precauzioni, perché pericolosa. questo “oltre”, che ho visto o utilizzato, e che permette di ottenere risultati bellissimi nel mio campo, non è granché. c’è un “oltre”, negli atteggiamenti, nel comportamento e in quelle particolari reazioni chimiche, dette sentimenti, che non capirò mai. troppo complicato. e purtroppo, non mi rassegno ad accettare questo semplice dato di fatto. forse riusciremo, riusciremo ad aprire certe porte e a comprendere certi meccanismi. ma anche se sappiamo, grazie a Newton, perché cade una mela, questa continuerà a cadere, inevitabilmente. l’unica cosa da fare è evitarla mentre cade, raccoglierla e mangiarla.

There’s more to the picture
Than meets the eye.
 

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la luce bianca è scomponibile in sette colori: rosso arancio giallo verde blu indaco violetto. corrispondono a diverse lunghezze d’onda.

 

seven colours: orange

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quanto manca alla chiusura degli impianti. quanto. c’è ancora tempo per risalire sul boè,  su piz la jla, su porta vescovo, sulla marmolada e scendere, nel sole arancio, con la brezza della primavera che piano piano si trasforma in lupo che ti morde sulla faccia. addio nell’ultima pista. la neve un po’ sfatta, nessuno intorno e dentro. questi sci carving fanno miracoli, giri come niente e ti senti stenmark, anche se è solo un’illusione di consumo. basta un pezzo ghiacciato, una cunetta un po’ alta, un cumulo di neve stanca e lì ti disunisci, ti pianti, sbuffi, perdi il ritmo. sorridi stretto, devi tenerli uniti, ‘sti cazzo di sci, devi curvare bene, devi piegare le gambe. anche se alle montagne rosa non frega niente. perché l’ultima deve essere come la prima, come sempre. negli occhi, le lacrime di freddo. sulla testa arriveranno stelle.
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seven colours: yellow

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la sabbia scotta sotto i piedini, vero? dove sono i tuoi braccioli? aspetta sotto l’ombrellone, va a prenderli papà. adesso metti le ciabattine fino al bagnasciuga. bella sei, con quei capelli così lunghi, non te li hanno mai tagliati da quando sei nata, e come sei diventata bionda, con tutto il sole che hai preso. fai il bagno con il tuo amichetto, ti aspetta lì, tende le mani verso di te. non litigate più, non fate come ieri. e non allontanatevi troppo.

stai lì, in piedi, vicino alle biciclette. aspetti, aspetti che lui arrivi, come ogni mattina da quando sei venuta in vacanza. il bikini incomincia a starti un po’ stretto, è dell’anno scorso, la mamma te ne ha promesso uno nuovo, quello coi fiori gialli, l’hai visto nel negozio al viale. oggi forse viene, te l’ha promesso l’anno scorso, prima di salutarti con un bacio sulla guancia. le amiche di ogni estate sono al muretto, mangiano un gelato e ridono di niente. qualcosa ti allontana, qualcosa che non sai. oggi pomeriggio leggerai quel libro, te l’hanno consigliato a scuola. ti ha preso subito, è la strana storia di una donna russa e di un Maestro che viene dal nulla. lei si chiama margherita, come te.

oggi l’hai visto, al bar, ti ha fatto ciao con la mano, e poi si è girato a parlare con una tipa bruna che non avevi mai notato prima. domani riparti, vai in sardegna col tuo nuovo ragazzo, ti sei tatuata una stella, sulla schiena, per lui. o per te?
un piccolo crack, è quella fessura mai colmata, e dentro ci sono gli occhi bruni di chi  non è più venuto, mentre tu hai imparato a volare con la scopa, sulle città addormentate e sopra il mare nero.

seven colours: green

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ivan klasnic è entrato alla fine del secondo tempo supplementare. ivan deve avere pensato agli ultimi due anni ed ai trapianti di rene subiti nel gennaio duemilasette, che potevano mettere fine alla sua carriera di calciatore nella bundesliga e di nazionale croato. i due reni sono stati donati dalla madre e dal padre. quello della madre è stato rigettato. ivan è nato ad amburgo, da genitori bosniaci di etnia croata. poteva scegliere tra tre nazionali, ha optato per  quella con gli scacchi bianchi e rossi. era già entrato in questo campionato, contro la polonia, e aveva segnato un gol. quando la sostituzione è stata annunciata, lo stadio è esploso. e lui ha segnato di nuovo, al centodiciannovesimo minuto, uno alla fine. solo uno più il recupero, e la croazia era in semifinale. ma non finisce. non ancora. negli ultimi secondi, semih sentürk ha pareggiato per la turchia. è finita ai rigori, con i turchi galvanizzati ed i croati a pezzi. turchia dentro, croazia fuori. ivan ha vinto e perso in cinque minuti, o poco più. su un verde smeraldo illuminato da luci artificiali, nel clamore elettronico dei nostri sciocchi tempi.

seven colours: red

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e ora vorrei dire
che la gente può cambiare qualsiasi cosa se vuole, e intendo qualsiasi cosa al mondo. la gente corre, segue i suoi piccoli binari. io sono uno di loro.  ma dobbiamo smettere di seguire i nostri miseri binari. la gente può fare qualsiasi cosa. è una cosa che sto iniziando ad imparare.
la gente là fuori si fa del male a vicenda. è perché è stata disumanizzata.
è ora di riportare al centro l’umanità e di seguirla per un po’. l’avidità non porta da nessuna parte. dovrebbero scriverlo su un grande cartellone a times square. senza gli altri non siamo niente.

questo è quello che penso.
 
joe strummer 
 

 

seven colours: blue

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kata guruma in giapponese significa rotazione sulle spalle, ed è uno dei colpi più spettacolari del judo. presuppone che l’avversario si sbilanci in avanti, lo si carica sulle  spalle e lo si proietta facendogli compiere una rotazione su se stesso. la tecnica deve essere eseguita col minimo sforzo possibile, bisogna stendere le braccia, che prendono rispettivamente  un braccio e una gamba di uke (l’avversario). è molto difficile durante un combattimento, ma non impossibile da eseguire. come tutte le tecniche del judo, l’importante è cogliere l’attimo, il momento in cui uke  ha un punto debole nel suo equilibrio, ed eseguire alla perfezione i movimenti. le rotazioni, i movimenti circolari sono importantissimi in questa arte marziale. dal punto di vista fisico, fare compiere rotazioni ad un corpo intorno al suo baricentro costa molto meno sforzo  che spingere o tirare. è una conseguenza semplice delle leggi della meccanica, sulla quale si basa anche il funzionamento delle leve, delle pulegge, delle ruote e via andare. l’esecuzione di una tecnica in judo presuppone concentrazione, colpo d’occhio, e disciplina. sì, disciplina. interiore, soprattutto. nella pratica, nella pazienza delle ripetizioni durante l’allenamento, nel rispetto di sè e dell’avversario. do (seconda parola di judo) vuol dire via, ma anche arte. il mio vecchio maestro era proprietario di una palestra in una borgata, piena di problemi come potevano essere certe zone di roma negli anni ’70. microcriminalità, violenza e povertà (più morale che materiale) impregnavano un’aria plumbea, sotto un cielo mite. e lui, oltre ad insegnare judo, dipingeva. proprio come yves klein, artista totale degli anni ’50 e cintura nera quarto dan, ritratto in questa foto mentre esegue il kata guruma. il blu di yves klein è forse il colore migliore, misto di purezza e nostalgia per rappresentare le mie sensazioni di fronte allo sport di tanti anni, in cui non ho mai eccelso, ma che rimane come punto cardine nella mia educazione e nella mia attitudine alla vita.
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la luce di pablo

 
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la prima volta che vidi questa fotografia fu durante il liceo, sul mio libro di fisica. magnetica, come lui lo era. Gjon Mili, un fotografo di Life, esperto in questo genere di trucchi, la prese nello studio del GENIO in costa azzurra.  non me la sono mai scordata, e l’ho anche citata in una delle mie lezioni, a studenti che sognano motori rivestiti di rosso con cavalli rampanti.  con mia grande sorpresa, uno di loro ha annuito, ricordandola.  luce, arte, traiettorie nello spazio. la luce è strumento del mio lavoro. sfrutto luce visibile, ultravioletti, raggi x, che illuminano la materia in modo diverso e ne interpreto le risposte, attraverso numeri, grafici, immagini. vedere picasso a torso nudo ed in sandali che la utilizza in modo così stupefacente è per me uno sprone. l’arte e la scienza non sono così lontani. e l’estetica impregna la fisica e la matematica. l’eleganza delle descrizioni dei fenomeni naturali ridotti all’osso,  attraverso formule ed equazioni che danno numeri, è della stessa classe del minotauro che pablo disegna al buio, con una lampadina o una candela. la luce investe le nostre menti, le nostre vite.
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la luce bianca è scomponibile in sette colori: rosso arancio giallo verde blu indaco violetto. corrispondono a diverse lunghezze d’onda.