cincinnato

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Personaggio romano dei primordi della Repubblica, famoso per la semplicità e l’austerità dei costumi (V sec. a.C.). (Il nome deriva dal latino cincinnus e significa riccioluto.)

Le vicende della sua vita furono tramandate in una luce di leggenda: nel 460 a.C. egli avrebbe ricevuto la nomina a console portatagli dai littori mentre come modesto contadino arava il suo campicello; eletto dittatore nel 458 per soccorrere il console Minucio assediato dagli Equi, dopo avere sbaragliato i nemici e riportato il trionfo, a sedici giorni dalla nomina rinunciò alla carica per ritornare alla semplice vita di campagna.

ovviamente non fu così. ma a me piace pensare che la vita sia leggenda. a me piace credere che fu come la mia maestra rita, bellissima, me lo spiegò. non so se sono morale, come mi è stato scritto. di sicuro vorrei esserlo. e mostrare il mio tatuaggio alla brezza, spogliato della toga, nel tramonto di marzo della via appia. solo.

 

grande sole duro

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sembra un bar nuovo. san lorenzo piena di graffiti cani e loro merde macchine muri scrostati marciapiedi sconnessi. i vecchi giovani der mejo si incontrano alle otto di sera mentre siedo al tavolo, esausto dall’ultima sessione del congresso.  uno suona la fisarmonica. l’ultimo di loro arriva in scooterone da fregene o fiumicino, brillantino all’orecchio con i radi capelli grigi, corredo alla faccia gonfia. ce manca ‘na cantante, dice alla ragazza che passa di fretta. i tavolini si riempiono, una donna in canotta nera mi chiede una sigaretta. la fisarmonica è quella dei 50, il film è quello di fellini. mentre il grande sole duro ha smesso di battere, solo per stasera.

i due serpenti macchine scorrono uno accanto all’altro, stessa direzione verso opposto. gli occhi bianchi e la coda rossa. li vedi e ne sei parte. verso il mare sulla cristocolombo, le colline così los angeles sono nere. i pini della strada sembrano palme, quando è buio. ma i pozzi di petrolio sopra sepulveda blvd non sono questi vermi di cemento in posizione  eretta.

cornacchia a castro pretorio a mezzogiorno, la vedo solo un attimo. il grande sole duro batte, sulla grande gente nella grande dura roma.  vado verso nord, cercando di ricordare che questa è casa mia. così bianca d’estate da ferire gli occhi.

there’s a big
a big hard sun
beating on the big people
in the big hard world
 

homeward bound

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ad agosto ho un appuntamento con la mia storia personale. dovrò presentare i risultati del mio lavoro più recente ad un congresso internazionale. proprio qui. in un’aula dove ho imparato l’ABC della fisica quantistica. l’ho scoperto poco fa. sono anni che non vado più nella mia Alma Mater. e quindi, è un cerchio che si chiude. i clash non sono mai morti. qui mi dettero la cassetta di london calling. ho ancora i quaderni degli appunti di quei corsi. scritti con penne rosse, nere, blu, verdi. zeppi di formule, tutte conseguenti. da 1 a 2 a 3 etc. le logiche, i ragionamenti, i disegnini. e le battute pregne di quell’humour un po’ romano, un po’ anglosassone che permeava i discorsi degli studenti e dei (grandissimi) professori. trovo conforto in tutto ciò. nel momento forse più difficile della mia strana vita, piena di città e fatiche diverse, vado a casa. 
 
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perdere

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la pioggia della domenica pomeriggio, i portici umidi sopra le persone a spasso. ho da prendere le sigarette della domenica sera. sconfitte da collezionare come piccole perle acuminate. i reds perdono la champions, i lupi  disfano scudetti, noi  smarriamo patrimoni arraffati da un clown ridanciano che acquista modelle e ne fa tribune. si perde più che si vince, sempre. è la logica del gioco, ma le esistenze sono traiettorie, curve senza interruzioni nello spazio tempo. è l’energia e la sua legge di conservazione, forse che determina le sconfitte? vivere, tutto sommato, non è una scommessa, mai, se lo si pensa, si ha già perso. in  autostrada, col sole rosso alle spalle, il mare avanti.  avanti, perché come nello sport, non ha mai senso girarsi indietro.
 
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