gratis

 

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Gratis. Sembra impossibile, ma c’è gente che  compie certe scelte, e vive in certi modi. Senza vantaggi, senza guadagni personali. Per gli altri.  E spesso, purtroppo, il mondo li schiaccia. Queste persone non bastano mai. E sembrano diminuire. Ma resistono.

life (dedicata a john)

 

qui vicino c’è un parco intitolato a lui. figlio di ragazza madre vissuto ad allerton. occhi miopi, dolcezza ironia rabbia racchiusa in un riff. appartiene a noi tutti. ancora non mi capacito del colpo di pistola a central park che l’ha stroncato. oggi mi sono chiesto come sia possibile che non sia più. dieci anni fa appesi una sua foto sotto una stampa del waterfront di liverpool, il luogo al quale ho intitolato il mio blog. qualche giorno fa la foto ingiallita è caduta. e come spesso accade, ho dubitato. non è più il caso di rimetterla al suo posto? quel luogo chiamato cuore si è addormentato, o forse è solo sopraffatto dalla rabbia convulsa rabbia elettronica dei nostri sciocchi tempi. penso che domani, appena sveglio nel dolore che mi assale ogni volta senza motivo apparente e tangibile, la rimetterò al suo posto. al mio posto. e canticchierò in my life. mi sentirò meglio, la pena sparirà. almeno una volta. nella mia vita, nella vita di noi tutti.

vieni come sei

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Penso che dopo cinque anni di blog dovrei  smettere. Dovrei smettere di dissanguare i miei sentimenti e la mia memoria. L’ho presa troppo sul serio, ‘sta cosa. Oggi ho sentito questo pezzo dei nirvana, e ho realizzato, come solo quando ascolto ciò che mi urla il rock’n’roll. Vieni come sei, come una memoria. Come un amico, come un vecchio nemico. Ti aspetto. Lo giuro, non ho una pistola. Non ce l’ho, non l’ho mai avuta veramente. La scelta è tua, non ritardare. E se ritardi, tu,tu e tu, non ha importanza. Siete lo stesso per me, e dovrebbe essere così anche per voi. Non è mai troppo tardi. E’ peace and love, qui, e sempre lo sarà. Stesse idee, stesso feeling. Non può essere che ci abbaiamo come cani rabbiosi. Non può.
Perché io, la pistola non ce l’ho, e non la voglio avere.

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moris

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quando entro nel bar di moris, lui nemmeno si volta. sa chi sono e cosa voglio.e così con tutti i suoi clienti, che ti assicuro, sono un bel po’.  le donne (di cui ha una maledetta, pessima opinione) le chiama nani, se le conosce un po’. mi fa il caffè macchiato la mattina, prima che vada al lavoro, o il campari soda con ghiaccio e limone, la domenica prima di pranzo. gli stuzzichini sono pezzetti di gnocco fritto, che prendo direttamente da un vaso di rame, dietro il banco. rino, il siciliano che mi vende mozzarelle, mi ha offerto il caffè.  è passato vicino al bar, tra il dehors e il bar in bici, e mi ha salutato mentre bevevo l’ape. moris l’ha rimproverato, e lui gli ha risposto che doveva salutare un amico. il fornaio ieri mi ha salutato per strada, e mi ha chiesto”come va?”. una volta lo ascoltai mentre parlava di casualità e causalità, e gli menzionai la storia dell’orologiaio cieco. all’altro bar, dove vado quando moris è chiuso per turno, la madre e la figlia mi hanno fatto notare che sembro sempre arrabbiato la mattina. e mi servono il caffè macchiato con le decorazioni di cioccolato. nel negozio bangla, dal quale mi servo quando devo comprare le birre fuori orario, il proprietario mi chiama ingegnere, anche se sono un fisico, un mestiere incomprensibile ai più. sta facendo il ramadan, povero, o beato? lui e la moglie sono internet dipendenti, guardano bollywood su youtube. i filippini si siedono sulle panchine la sera e chiacchierano, a voce alta, ridono e sono comunità, come noi non ci sogneremmo mai di essere. la domenica mattina i vicini messicani, o venezuelani, o che so io, sentono questi loro ritmi a volume alto, mentre il profumo della loro cucina si sparge per i cortili. a due passi, altre cucine, dalle più alte con tre stelle michelin alle semplici trattorie lavorano, incessantemente. il sushi è a due passi, come il kebab, la pizza e i tortelli estensi. cucina, suoni, persone. che riconosco, saluto, e rispetto. non so, forse vivo in un’isola incantata. ma la gente è gente, e i loro colori, odori, sorrisi riempiono la mia vita, faticosa come quelle di tutti. in questo centro storico così caldo d’estate, così vivo tutto l’anno.

skeletons

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c’è ancora tempo? ancora? uncle john suona ancora il suo violino? voglio sempre credere di sì. voglio sempre credere agli arcobaleni sui deserti. e al surf sulle onde blu dell’amore. gli scheletri nell’armadio diventeranno polvere. e noi sopravviveremo, respirando l’aria del golden gate.

 

It’s the same story the crow told me;
it’s the only one he know.
Like the morning sun you come
and like the wind you go.
Ain’t no time to hate,
barely time to wait,
Whoa-oh, what I want to know,
where does the time go?

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because, it’s you

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sì, il tempo si ferma, qualche volta. solo qualche volta. sdraiato sul divano, la nebbia del tabacco di ieri. domani mattina i cani freddi in cravatta regimental morderanno di nuovo. ma ORA, ORA, sembra che cadano narcisi, lentamente. come neve su colori di film dei 60, le attrici con quegli occhi blu che incendiano l’innocenza, senza snaturarla. scommettiamo che quest’anno la primavera arriva in anticipo?

4 elements: earth

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Jefferson Airplane-We can  be together

Guardiamo la Luna, o il dito che la indica. Nel 1968, invece, qualcuno guardò la Terra dalla Luna e la fotografò. Tutta intera, così azzurra e bianca, gli astronauti dell’Apolllo 8 la videro sorgere sopra il grigio riarso. La Terra è a strati: crosta, mantello, nucleo esterno e nucleo interno. Il 30%  della sua composizione è Ferro, localizzato prevalentemente nel nucleo, il 30% è Ossigeno, poi Silicio, Magnesio, Zolfo, Nichel e via andare. Circondata dall’atmosfera. Tutto così miracolosamente insieme, sembra fragile, sembra paradiso, visto da là. Galleggiamo sulle nostre zolle, sopra oceani incandescenti, e giù, giù c’è ferro, prima liquido, poi solido.

Questo successe, proprio allora, ma non abbiamo ancora imparato la lezione. Continuiamo a guardare il dito, o tutt’al più la Luna. Allora provarono qualcosa di diverso, e noi l’abbiamo dimenticato.

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Maggio 1968, Parigi. La Gendamerie blocca l’accesso a Place de la Sorbonne. 
Photograph: Sipa Press/Rex Features 

 

And you?

 

 
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Yes- And you and I 
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Chissà se avrete il tempo e la pazienza di sentire questo splendido pezzo. Beh, trovatela, vi prego. Barocco, ridondante, fantasmagorico, perfetto, anche nel suo fruscio di vinile trentennale. Dura 10 minuti e passa. Mezza facciata. Come si diceva un tempo. Sogni, sogni verdi come la copertina del disco, opera di Roger Dean. Oggi mi è venuto in mente, anzi poco fa. Non ho resistito. Chitarre acustiche di Steve Howe, armoniche ed accordi. Un piccolo battito e poi, puff, incomincia. Il sintetizzatore di Richard Wakeman, il basso di Chris Squire, la voce di Jon Anderson. Gli Yes. A me piace un po’ tutta la musica, e questo disco, QUESTO disco l’ho comprato usato da un mio amico. E’ stato sciocco a vendermelo. E’ una reliquia, un tesoro. Sogni verdi, luci blu. E la voce di Jon (sì, senza h) è come un fiore che sboccia dalla terra arsa dei ricordi. La arerò di nuovo, e la innaffierò, perchè così deve essere. Per me. Così sarà. La vita piena di fiori è fantastica. Quella vita. Che ritornerà. And you?