Wise up

Ho nostalgia del blog. Di tutti le frasi senza volto. Del gioco e del tormento, così etereo e concreto. Spesso mi collego, penso che dovrei ricominciare un po’ a scrivere, ma poi lascio perdere. Molti blog dei miei contatti sono spenti, abbandonati, e questo non mi incoraggia. E’ stata una cosa molto intensa (troppo). Però “fuori” cambia molto, molto in fretta. E tutti i commenti, i post, sono lì, giacciono senza che nessuno li legga più. Non credo che smetterò completamente di scrivere, e saluterò qualcuno che ancora c’è. Ma il tempo è scaduto. Pensavo di potere scrivere, e ho scritto. Adesso non ne ho più molto. Comunque, come nel salvaschermo di un mio vecchio computer, le luci dei grattacieli continueranno ad accendersi e spegnersi, per molto tempo. Silenziosamente, nell’ufficio buio.

Se passate, lasciate un saluto. Ho sempre risposto. Sun on you.

quattro

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quattro anni fa incominciai a scrivere sul blog. l’immagine non è certo per celebrare questo anniversario, che non interessa a nessuno, nemmeno a me. eppure mi sento di scrivere qualcosa, mi sforzo, e mi interrogo, come quando la spinta della noia  mi fece digitare due righe, allora, in un laboratorio pieno di rumori elettronici e meccanici.
 
di tutto il disastro di mumbai, di questo episodio fuori dal mondo cerebrale che mi costruisco continuamente, mi hanno colpito gli uccelli (corvi?) che volano intorno alle fiamme dell’hotel. come se fosse una natura,  un universo ferino, predatore senza colpa, senza rispetto e al tempo stesso sanguinosamente innocente. indifferente alle storie singole di morti e violenze irragionevoli che passano come treni orrorifici nella notte buia e silenziosa. c’è la luce, la fiamma della ragione in tutto ciò? è la torcia portata dal padre dello sceriffo, nel sogno finale di non è un paese per vecchi. credo sia così. i fiori durano poco. il loro profumo rimane nelle  nostre narici, e per un bizzarro processo chimico si trasforma in memoria. che ci fa sopravvivere nel treno, se possiamo, o mentre lo guardiamo sferragliare dalla banchina della stazione solitaria di frontiera, durante l’attesa che è la nostra vita.   

tattoo

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il ragazzo si avvicina con la macchina degli aghi. non voglio vedere, dico, un po’ per scherzo, un po’ sul serio. lui si mette a ridere, incomincia. non posso vedere, in realtà: è sulla spalla destra. sento il calore, quel piccolo dolore così insistente, il rumore elettrico che copre la musica. sudo dalle ascelle, chiacchieriamo del più e del meno. il rumore insiste, il cerchio prima, poi i raggi, sono dodici. li conto. dovrebbero essere simmetrici, ma uno è stato invertito. colpa dei miei innumerevoli nei, da evitare nel disegno. le simmetrie rotte, in realtà, sono importanti, nella fisica. grazie a loro, alle simmetrie che non ci sono più, esistiamo e respiriamo. è una cerimonia, difficile descriverla. forse è proprio l’atto che ha importanza, più del risultato, che si può vedere solo in alcune particolari circostanze. nascosto dai vestiti, è lì. è mio. l’ho scelto io. e nessun altro. è stato bello farlo, bello soffrire. bello vederlo subito dopo. chi non lo fa, non lo capisce. e così è per gli scritti che leggo ogni giorno. parole senza volto, vite non vissute da me, ma così pulsanti, presenti, nel mio caffè davanti ai pixel luminosi. nina, aka, noti, honey, judith, les, sette, lara, ana, daniel, egidio, angel, sismor, cleopa, jed, mari, bill, limi, zoe, fenila, tigra, divago… quanto ho imparato, da voi? chi non lo fa, non lo capisce. 

 

…and this?

 

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….Dunque, immaginate di trovarvi davanti un muro, e volete andare dall’altra parte. Non c’è storia, o vi arrrampicate, oppure lo saltate. Se il muro è perfettamente liscio, e non ce la fate ad arrampicarvi, dovete saltarlo. E se non avete l’energia necessaria, nè strumenti adatti, non c’è speranza. Potete sbatterci solo la testa contro. E’ proprio così? No, non è così. Se voi foste una particella piccolissima, diciamo, un elettrone, e le pareti del muro non fossero troppo spesse, POTRESTE passare. C’è una possibilità, certe volte neanche troppo piccola, che si possa passare. Questo è l’effetto tunnel….

(happy Birthday, Mr. Aka, qui

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Resonance 5

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Supponiamo che un bambino vada in altalena. L’altalena oscilla, su e giù, mentre il genitore la spinge. Per fare aumentare l’altezza massima a cui arriva il bambino, non è necessario spingere con molta forza. Basta dare delle spintarelle piccole, sempre alla stessa frequenza, che è quella con cui l’altalena sale e scende. Ogni struttura meccanica ha una propria frequenza di risonanza. Cioè oscilla ad una determinata frequenza caratteristica. Se la si sollecita dall’esterno con la stessa frequenza, facendola vibrare, le vibrazioni saranno sempre più intense, e la struttura rischia di rompersi.
I ponti possono crollare (è successo) se le onde del mare, o dei fiumi che si frangono su di loro hanno la frequenza giusta. La risonanza è un fenomeno che avviene in altri casi, ad esempio i circuiti e le reti elettriche. Recentemente ho letto di una teoria, secondo la quale le reti neurali (cioè le reti formate dalle cellule nervose nel cervello) possono andare in risonanza, ovvero rispondere a sollecitazioni “giuste”, dando sentimenti di piacere intenso, o di benessere. Il libro che ho letto dava questa teoria  solo come una ipotesi, ma ognuno conosce questo tipo di sensazione. Leggere alcuni post nell’ultimo anno mi ha dato delle risonanze, mettiamola così. Ovviamente esistono risonanze più intense, non lo nego. Ho comunque deciso di scegliere e di segnalare 5 post (come fa il protagonista del romanzo “Alta fedeltà”, di Nick Hornby) che mi hanno fatto risuonare le reti  neurali. L’elenco è in ordine alfabetico.

1) Aka racconta una storia (vera) di separazione in una guerra vicina nel tempo e nello spazio, rimossa e dimenticata. Qui

2) Cleo traffica in saponette nell’isola della rivoluzione. Qui.

3) Egidio (bambino?) lancia sassi e guarda gatti. Qui.

4) Un lungo addio raccontato da Ju. Mi ha toccato moltissimo, per esperienze simili. Qui.

5) Nina, Miss Dior ed il pesce dei poveri. Struggente e lucido. Qui.

Sotto il sole di Minosse, vi ho pensato. E vi ringrazio.

 
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Paul Weller- Wishing on a star