Knights

 

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Dai miei schermi, in tutti questi anni che ho seguito le corse di F1, sono due le immagini mi hanno colpito di più. In un GP a Spa (quello dove Coulthard e Schumacher si tamponarono, con scazzottata susseguente ai box) la board camera inquadrò il campo visivo di un pilota sotto la pioggia. Era un’impresa impossibile guidare, l’acqua era spessa e scura, una luce rossa si intravvedeva appena, davanti, così lontana e terribilmente vicina, la vettura in testa. “Sono degli eroi”, gridò occhioni scuri. L’altra scena è lo svestimento ed il peso dei tre che vanno sul podio, alla fine del vortice immaginifico, ipertecnologico, globale. Si levano i caschi multicolori, si sfilano gli auricolari  e i passamontagna, rovesciando i capelli miliardari fradici di sudore, gli occhi spalancati dall’adrenalina. E ieri, al di là di tutto, crederci, fino in fondo, fino allo spasmo. Non c’è niente, nessun miliardo o mercato o trucco, o circo multimediale, i cavalieri sono lì. Nessuna folla li può raggiungere, il frastuono assordante è dietro, lontano. I gioielli che cavalcano, splendidi e gelidi, pezzi del nostro mondo asssemblati con dura precisione, cambiano e non contano poi tanto. Cavalieri ancora bambini.