L’uomo delle cartoline


L’uomo si rassettò la cravatta davanti allo specchio, si pettinò velocemente, prese l’impermeabile ed uscì dalla stanza d’albergo. Il portiere sonnecchiava dietro il banco della reception, davanti al televisore che bisbigliava notizie in inglese. L’uomo fece un cenno di saluto senza risposta, e la porta girevole lo spinse nella serata nebbiosa della città. Camminava velocemente sull’asfalto umido, pochi passanti frettolosi, macchine che scivolavano accanto. Fece cenno ad un taxi, che procedeva dalla parte opposta. La vettura nera fece inversione ad U e gli si fermò accanto, con il motore diesel che vibrava sommessamente. Al buio, il conducente aspettava. L’uomo entrò e dette l’indirizzo del ristorante, che si trovava nel centro della citttadina. Il taxi partì, mentre l’uomo guardava fuori dal finestrino, le luci dei lampioni attenuate dalla nebbia scorrevano davanti al suo sguardo fisso. Il viaggio fu più breve del previsto, il tempo non invitava la gente ad uscire, in quella triste serata infrasettimanale. L’uomo pagò e scese, ma quando arrivò davanti al ristorante lo trovò chiuso. Rimase interdetto, fissando la vetrina buia. Frugò dentro le tasche, trovo il pacchetto di sigarette e se ne accese una, col suo accendino di acciaio lucido. Incominciò a camminare, cercando un altro locale, a caso. Il suo sguardo si posò su una insegna al neon blu elettrico. Incuriosito, si avvicinò. Era un bar, con “attrazioni locali”, come strillava un manifesto accanto alla porta di legno scuro. Niente cibo, ma dopotutto non aveva tanta fame. Avrebbe cercato un take away dopo, quelli chiudevano sempre per ultimi. Un drink in mezzo ad un po’ di gente non gli sarebbe dispiaciuto affatto. Suonò, uno spioncino della porta si aprì per un attimo, e la porta si spalancò. Scese una rampa di scale, e si trovò in una sala scarsamente illuminata, tranne che in un lato, dove sorgeva un palco. Si avvicinò al bancone del bar e chiese una lager. Si sedette sullo sgabello, dette uno sguardo ai tavoli, occupati da altri uomini soli e da qualche coppia. C’era gente, ma non troppa. All’improvviso, una musica gitana proveniente da un complessino ai lati del palco avvolse tutta la sala, un faro illuminò le quinte e lei uscì. Un’acrobata, con uno strano costume arabeggiante, si inchinò, fece qualche passo di danza, e salì su una fune in alto, stesa da un lato all’altro del palco. Incominciò a camminare sulla fune, sorridendo a tutti, e lanciando baci. Si fermava, ritornava indietro, si girava seguendo le note della canzone. A lui sembrò che lei lo guardasse, e che il sorriso si facesse più dolce. La osservò, con il bicchiere in mano, la musica che gli girava in testa. L’acrobata terminò il suo numero, scese dalla fune, e ringraziò con un inchino, i capelli biondi rovesciati in avanti. Lui si era spinto in avanti, quasi a ridosso del palco, per applaudirla. Lei si rialzò, i loro sguardi si incrociarono, e gli mandò un bacio. L’uomo non seppe dire quanto tempo passò, prima che lei si voltasse e scomparisse dietro le quinte. Tornò al bar, finì la sua birra e chiese il conto al cameriere. Chiese anche l’indirizzo dell’acrobata, che gli fu dato dietro una generosa mancia.
Più tardi, nella stanza d’albergo, con la cravatta allentata, prese la sua cartella in pelle e ne tirò fuori una scatola piatta. La aprì, prese una cartolina che mostrava una spiaggia ed un mare blu turchese. La rigirò incerto, scrollò le spalle e si sedette davanti ad un basso tavolino, incominciando a scrivere sul retro della cartolina. La mise dentro una busta, la sigillò e ci scrisse sopra l’indirizzo, sorridendo a se stesso.
Dopo qualche giorno, ricevette un messaggio dal portiere dell’albergo. Lo lesse, e se lo mise in tasca fischiettando. Doveva andarsene il giorno stesso, non aveva tempo di ritornare al locale. Per lavoro doveva spostarsi continuamente. Sarebbe ritornato nei prossimi mesi. Nella stanza d’albergo, tirò fuori un’altra cartolina dalla sua scatola magica: in questa era raffigurata una città da sogno ripresa di notte, con luci vivide e multicolori. Ci scrisse sopra qualcosa, la imbustò e la portò alla reception.
E tutto questo si ripetè sempre più spesso, in ogni albergo dove andava, riceveva messaggi, rispondeva con le cartoline, sempre più belle. Posti da sogno, da ogni parte della Terra. I messaggi erano sempre più lunghi, vere e proprie lettere. Ogni lettera, un bacio, un sorriso ed una cartolina. Deserti, montagne, città, isole contro parole sempre più dolci. Un giorno, lui scrisse su una cartolina “per sempre”. Il messaggio di risposta fu “ora”. Quando lo ricevette, lui lesse una piccola agendina scura, e scosse la testa. Non poteva, ora. Tirò fuori la cartolina più bella che aveva, un tramonto sfolgorante sul mare, scrisse “non ora, ma per sempre” e la spedì. Questa volta la risposta arrivò con qualche giorno di ritardo. La lettera era più corta. Meno baci, meno sorrisi. Lui fece una smorfia, lesse l’agendina, e scosse di nuovo la testa. Prese un’altra cartolina, e la spedì. Aspettò più a lungo, una settimana intera. Ancora qualche mese, e sarebbe potuto tornare. Ma non ora, non ora. Scrisse un’altra cartolina. La risposta non arrivò. L’uomo incominciò a preoccuparsi, aveva bisogno dei suoi messaggi, dei suoi baci, dei suoi sorrisi scritti. Ed incominciò a spedirle tutte le cartoline che poteva. Ogni tanto riceveva qualche risposta, ma ormai l'”ora” era passato. Tempo scaduto. Ancora scrive, l’uomo, una cartolina al giorno, spera in una risposta, e sogna che al ritorno in città, il locale sia ancora aperto, con l’acrobata lì ad aspettarlo. Ma il tempo fugge, e qualche volta “Ora” è più importante di “Per sempre”.

L’uomo delle cartolineultima modifica: 2007-02-03T17:10:00+01:00da weller60
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19 pensieri su “L’uomo delle cartoline

  1. acrobazie sulla corda, mi ricorda una funambola e un ombrellino…ad esso non è per sempre ma poi le parole poco importano…va bene così. grazie, nina

  2. Cheppalle ferme…però se la gente pensa che la statica sia la condizione della permanenza, si sbaglia. Le cose precipitano ed il brodo di cultura cova batteri, germi e bacilli, che si sviluppano. L’abbandono del Sud non può sicuramente portare a niente di buono.

  3. e di fatti io sono convinta che lo spazio giornalistico dedicato al calcio sia eccessivo. iniziamo a trattarlo come uno sport e non come un’esigenza fondamentale del popolo italico e forse, dico forse, le cose migliorerrebero

  4. bello! mi piace e soprattutto concordo sull’importanz a di quel “ora”. anche elettricità e magnetismo mi garba…mettiti al lavoro! 🙂

  5. Felice: Viene la Penguin Book e mi offre alcuni miliardi per pubblicare i miei scritti, passa Gisele Bundchen e si offre di sollazzarmi, passa Nicole Kidman e dice “ma c’ero prima io ” e così continua per ore, con loro (od altre) che cercano affannosamente di impossessarsi di parti del mio corpo.

  6. le immagini non sono piaciute a tutti… capisco anche i catanesi che non hanno molto apprezzato il post… grazie caro, come staresti?

  7. si mi ricordo, io sto schizzzata ma benino pure io solo che ho lavorato tutto il w-e indi per cui mi pare una settimana infinita ed è solo iniziata

  8. io con la musica ancora Caput…:-(( Ho trovato il sistema,con altervista…de vo solo capire il funzionamento.T i abbraccio E…sole su di te…;-) si dice cosi?? Ros

  9. E’ proprio vero. L’ora è più importante del per sempre. Perchè è nel per sempre che si perde l’ora. E le cose più straordinarie sono quelle che non avevi proprio previsto. Anonima

  10. Comunque sei sciocco, perchè dovrei offendermi od arrabbiarmi ! Sei uno degli incontri migliori del blog (oltre alla Zarina cui sono devotissimo).

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