Kind of

Banksy-13

Qualche volta ritorno sul mio blog… non so perché. Il primo post risale al 2004. Scrissi per tutto il 2005. Poi chiusi il blog in un attacco d’ira (per motivi miei) e ricominciai nel Gennaio 2006. I blog come venivano scritti allora non esistono più, tranne qualche eccezione. Adesso siamo social. FB, Instagram, twitter etc. Oggi voglio omaggiare l’artista dal quale ho preso il nick. Il suo ultimo disco è splendido. E mi ha fatto ritornare sul blog. Non metterò video, non caricherò file audio. Scrivo solo, come quando incominciai, e assieme all’immagine di Banksy che mi ritrovo in archivio, aggiungo l’immagine della copertina. Tutto qua. Solo per scrivere e per salutare, non so chi, non so perché.

Sun on you

paulweller-akindrevolution

Cowboy spaziali

Ho già scritto di “The return of the space cowboy” dei Jamiroquay, e l’ho usato come sottofondo ad alcuni miei post. La figura dello “space cowboy” compare in alcune canzoni, di cui una ebbe un grosso impatto sui miei gusti musicali, quando avevo circa quattordici anni. La canzone è “The joker”, della Steve Miller Band, e fu uno dei pezzi che mi avviò alla passione per la musica rock (e pop, confesso, anche quella). E’ l’unico 45 giri che abbia comperato  nella mia età “da grande”. Steve Millor canta

“some people call me the space cowboy, yeah

some call me the gangster of love…”.

 

Space cowboys è il titolo di un film con Clint Eastwood e Donald Sutherland, e Ian Solo, protagonista di Star Wars è uno space cowboy. In un romanzo di Stephen King (Il gioco di Gerald) viene citato, anche se non mi ricordo bene a che titolo. Alla mitologia dellla Nuova Frontiera andava aggiunto lo space cowboy? Chi lo sa. So solo che negli anni 90 i Jamiroquay fecero uscire questo pezzo, che è un po’ un inno al ritorno al peace and love (con annesso sballi varii) dei sixties, in ambiente acid jazz e dance. Loro vestiti da no global, Jay Kay che balla benissimo. Enjoy.

 

La realtà morde

La scorsa domenica ho passato un brutto momento. Mentre andavo in macchina, guidando rattristato sotto la pioggia, mi è venuta in mente questa canzone. Mi è sempre piaciuta, sia nella versione originale di Peter Frampton, che in quella, dolce e solare, dei Big Mountain. Un reggae leggero, che scalda e tira su di morale, anche solo a ricordarselo, e a canticchiarlo in macchina. La realtà morde è la traduzione letterale del titolo del film di cui è colonna sonora. Una piccola commedia con molti attori famosi, allora giovanissimi (Winona Ryder, Ben Stiller, Ethan Hawke). Il titolo in italiano era “Giovani, carini e disoccupati”. Non credo fosse un gran film, ma riandando con la mente a quegli anni (90) forse erano meglio di come li pensavamo. E ora la versione di Peter Frampton. Enjoy.

Feeling brand new

New York, come me l’aspettavo? Non ci pensavo particolarmente prima di partire, poi è stato un colpo di fulmine, da quando ho intravisto i grattacieli di Manhattan nella foschia di un mezzogiorno estivo, mentre l’aereo atterrava. L’amore che suscita è travolgente. Non è bella come una capitale europea, ma spacca. Spacca proprio. Esci dall’appartamento che hai affittato a Harlem, e ti risucchia subito, il centro del mondo. Il caldo della Subway ti fa impazzire, il traffico è soffocante, l’odore del cibo cinese a Canal Street è nauseabondo, la gente per strada ti sposta quasi a forza, è un delirio. Ma sei lì, sei dentro, dentro la tua vita, dentro la tua era. E si va avanti. NYC non si guarda troppo indietro. Potrei parlare del deli che sembra uscito da un film di Spike Lee, degli skate boarders che sfidano il traffico in VII avenue, degli afro americani per la 125 che rappano da soli mentre ascoltano la musica nelle cuffiette, e di altro ancora. Andare al centro del mondo, per provare. Per sentirsi, come canta Alicia Keys in questo pezzo di Jay Z, “brand new”.

Enjoy

Caschi e tute scintillanti

In macchina:

– Questo pezzo piace tanto alla mia amica, lo sente sempre sul telefonino. Si chiamano Daft Punk.

– Chi, quelli col casco e le tute scintillanti?

– Hanno fatto pure la colonna sonora di Tron.

– Non quello degli anni 80, immagino.

– Anni 80?

– Ehi, questa chitarrina sembra proprio quella degli Chic, come si chiamava il chitarrista, Nile Rodgers…

-?


Daft Punk – Get Lucky (Full Video) di agrigentooggi


Non sembra, è davvero la chitarra di Nile Rodgers. Lo scopro dopo, e lo dico tutto contento a mia figlia, che ovviamente non sa chi sia. E il pezzo dei Daft Punk è veramente notevole. Questa capacità della musica pop odierna di mescolare tutto, campionare il vecchio e riproporlo in modo originale, farlo diventare qualcosa che sa di nuovo e fresco mi sorprende sempre. Al rock non riesce così bene, non c’è mai modo per me di non sentire qualche pezzo di una band rock nuova e di non pensare “ma questo l’hanno già fatto, non è granché.”. E mentre sento Get Lucky dei Daft Punk, ripenso alla disco, e c’è il piccolo rimpianto di non avere ballato abbastanza quella musica di cui gli Chic sono gloriosi rappresentanti. Li propongo con Good Times, uno dei loro capolavori.

Bey in Glastonbury

Nella mia mente il festival di Glastonbury è associato a PJ Harvey, agli Oasis, a Bowie, agli Stones, insomma, al genere di  musica che più amo. Non ci sono mai andato, purtroppo, ma me lo immagino come il classico festival rock inglese:  il meglio della mia musica, tanta gente e pioggia. Due anni fa, lessi con  sorpresa che anche il pop più glamour faceva ormai parte della scena. In particolare Beyoncé. E le recensioni sulla stampa inglese erano anche buone. Questo video mi ha fatto pensare a quanto lavoro c’è dietro questo genere di spettacolo. Provate voi a ballare e cantare così. Bey e le sue compagne sono delle vere dee, e il pezzo è molto trascinante. Non sarai una rock star come dici (furbescamente) di volere essere, mia cara Bey, ma sei certamente un altro bell’animale da spettacolo. Enjoy.

Benedetto Mr. Fantasy

Quando ero studente universitario, esplose la febbre dei videoclip. Assieme  agli argomenti delle lezioni, alla Roma di Falcao ed altre amenità questi affascinanti filmati musicali erano oggetto di conversazione con i miei colleghi. MTV non era ancora sbarcata in Italia, e VideoMusic (altra emittente storica) stava appena incominciando. Un glorioso programma della Rai, Mr. Fantasy (di Carlo Massarini), trasmetteva i video più affascinanti. Uno dei più belli era certamente Billie Jean, cantata e ballata da Michael Jackson. L’idea delle mattonelle che si illuminano al suo passaggio è semplice e geniale. L’ho rivisto per curiosità su You Tube e l’ho trovato ancora godibilissimo. Anche alcuni clip dovrebbero essere tutelati come patrimonio artistico. Sono pezzi di storia dell’arte e dello stile, come la moda e il design.

P.S.: Mr. Fantasy è il titolo di una canzone dei Traffic, di cui Massarini era un fan sfegatato.

 

 

Scossa

A metà anni 80 la scossa per me arrivò. Andai via di casa. E incominciai uno strano giro d’Europa. Gli Style Council mi accompagnavano, uno dei risultati finali delle derive pop  di tanti artisti. In questo caso di Paul Weller, the Modfather, già leader di un gruppo rock tanto popolare in Inghilterra quanto (semi-) sconosciuto qui in Italia, dove vi era un’inerzia di un paio d’anni almeno, in termini di gusto e tendenze. Adoravo gli Style, anch’io avevo subito una deriva pop. E questi archi sintetici, che si sentono, beh, mettono il prurito ai piedi. D.C. Lee, ex wham-ette, è meravigliosa. Sullo sfondo, le battaglie sociali durrissime dell’Inghilterra in era Thatcher. Deriva pop sì, ma di sinistra.

No sabe

Non so. Non so molto dei Cypress Hill o di Pitbull, conosco Marc Anthony di fama, vagamente. Non stava con JLo? Quello che so è che in questo pezzo c’è il campionamento del coretto irresistibile di Suite: Judy Blue Eyes. Di Crosby, Stills, Nash e Young. E che ho riconosciuto subito, la prima volta che ho sentito questo brano alla radio. Ne ho già scritto qui. Il video è perfetto per questo caldo inizio estate. Misto hip hop, salsa, latin pop. Rinfrescante. Gradevole. Hermoso.

 

 

Simply perfect

Tutto cominciò qui, credo. Un certo tipo di pop, che si fondeva completamente, totalmente, con la moda e i modi di essere, soprattutto apparire. Madonna è quasi una mia coetanea e il suo primo modo di vestire, un po’ gotico, un po’ romantico, mi piaceva moltissimo. Era giusto, perfetto. La ragazza atterrò sul pianeta Terra nel momento esatto in cui doveva esserci. Poi si trasformò, moltissime volte. Ma il primo look è quello che deve essere celebrato e ricordato. Ed è imposibile separare il look dalla sua musica e dalla sua danza. Godetevelo.

Insonnia ’90

Un giorno imprecisato della scorsa estate, mentre sorseggio un “capo” al bar, sento una canzone familiare. E’ un remake acustico di questo pezzo; mi ricordo immediatamente il video del brano originale, visto la prima volta su MTV in una notte insonne e calda alla fine degli anni ’90. Allora mi colpì molto, per la glacialità della cantante, e per le sue, come dire, pulsazioni melodiche e decadenti. Di grande effetto, almeno su di me.

Home blvd

 

Qualche sabato notte fa mi è capitato di vedere il movimento in entrata e uscita dai locali all’aperto, vicino a casa mia. Le ragazze che in questo video girano per Hollywood blvd non sono poi tanto più belle. C’è questa sensazione di aspettativa, questa specie di alone di effimera felicità che le fa risplendere, e che le accomuna a quelle di home blvd. Effimera, gioiosa, e da godere, fino in fondo. Sabato è sabato, e basta. In Hollywood come in home blvd. Sta per succedere, stanotte, adesso. Lo sento. Let’s live it up.  E Fergie, come sempre, è splendida.

 

Inconfessabile

Una volta una blogger mi scrisse: penso a te come a un deejay, che mi teneva compagnia durante le grigie giornate di inverno in una città del nord, lontano da casa. Molto, molto gratificante. e decisamente eccessivo. Però, ricordando il commento di qualche anno fa, ho pensato di rivitalizzare il mio blog con qualche video di musica pop e dance. Non è la mia musica preferita, ma mi ha accompagnato da quando ero adolescente, come ha fatto con tutti. Incomincio con un pezzo decisamente improbabile, e molto distante da quello che sento abitualmente. Ma per cui provo una inconfessabile passione. Da quando lo sentivo alla radio in macchina, mentre andavo a trovare la mia famiglia nei weekend. Mi accompagnava, appunto, nei viaggi, e mi faceva provare una piccola, gentile emozione.


Paola & Chiara
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angeli dal cellophane

Ho tenuto il CD nel cellophane per tanti mesi. la plastica che seppellisce la curiosità e la realtà. la soffoca. poi, un giorno l’ho scartato. E, puff, è uscito un angelo, come il genio della lampada. ma è lui che  fa fare le cose a te. soprattutto sentirle.  ci sono canzoni che aprono il cuore in maniera irreversibile. sono poche, per fortuna. e questa, QUESTA è una. penso che  se l’avessi sentita a quindici, venti o anche trent’anni, mi avrebbe fatto di peggio. ma la matura età mi permette almeno di mantenere un certo aplomb. forse però non è un gran vantaggio. sentitela.

duemilamiglia

“Sento la gente cantare, deve essere Natale.”

E’ un periodo difficile per tanti, per me è un periodo di lontananza da una persona cara.  Ho risentito alla radio questa splendida canzone natalizia, e ho deciso di riscrivere qui. Spero che presto la neve si sciolga, per tutti. Auguri.

Fili

Mentre pago alla cassa, il piccolo Olin guarda un film su youtube. Non è il solito cartone animato, è una commedia, in parte in inglese, in parte nella sua lingua, bengalese. E sento la musica della colonna sonora. E’ solo un piccolo pezzo, ma lo riconosco. Harry’s game theme, dei Clannad. Sono sorpreso. Chissà per quale diavolo di motivo è stato scelto per questo film. È come una porta socchiusa, forse. Un breve messaggio lanciato in modo inconsapevole. Una piccola, splendida canzone in gaelico racchiusa in una bottiglia che naviga in un oceano alieno. La pioggia di Aprile scende, fuori dal negozietto etnico, mentre esco con la musica nelle orecchie. I fili delle culture, dai molti colori, si intersecano, spesso senza senso apparente. In questo risiede una parte della poesia del mondo.

auguri

 

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Gentilezza e sobrietà sono rare in questa società,
Di notte una candela è più lucente del sole
mentre Sting passeggia per NY, e canta queste rime da gentiluomo inglese, penso che non ci possa essere migliore augurio a tutti noi: essere noi stessi, e non dimenticare di tenere sempre accesa la candela. almeno provarci.
auguri.


life (dedicata a john)

 

qui vicino c’è un parco intitolato a lui. figlio di ragazza madre vissuto ad allerton. occhi miopi, dolcezza ironia rabbia racchiusa in un riff. appartiene a noi tutti. ancora non mi capacito del colpo di pistola a central park che l’ha stroncato. oggi mi sono chiesto come sia possibile che non sia più. dieci anni fa appesi una sua foto sotto una stampa del waterfront di liverpool, il luogo al quale ho intitolato il mio blog. qualche giorno fa la foto ingiallita è caduta. e come spesso accade, ho dubitato. non è più il caso di rimetterla al suo posto? quel luogo chiamato cuore si è addormentato, o forse è solo sopraffatto dalla rabbia convulsa rabbia elettronica dei nostri sciocchi tempi. penso che domani, appena sveglio nel dolore che mi assale ogni volta senza motivo apparente e tangibile, la rimetterò al suo posto. al mio posto. e canticchierò in my life. mi sentirò meglio, la pena sparirà. almeno una volta. nella mia vita, nella vita di noi tutti.

incanto

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nel crepuscolo di fine estate, in macchina, l’incanto si illumina. surfers che aspettano l’onda, aria limpida,  bikini dai biondi capelli a caschetto. sentendo questa. da dentro la scatola magica di marconi.

hermosa

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chi avrebbe pensato di leggere sul giornale di oggi un’intervista a un robot? o che lo spazio si sarebbe accorciato, da migliaia di km a 20 cm cliccando su aggeggini chiamati topi? atomi fotografati, medicine convogliate da magneti più piccoli della nave di viaggio allucinante, pianeti in sistemi extrasolari. il mio sogno di vivere in un libro della collana urania forse si è avverato. in un modo inatteso, esploso in colori vividi e luminescenti, visti con gli occhialini 3-D. ciò che mi stupisce è che il tempo accelerato non cancella, rimescola piuttosto. e puoi trovare gli occhi blu di judy del 1970 nel rap latino del 2010. la realtà è per me sempre più difficile da definire. col tempo che nella mia testa va e viene, come le onde del mare calmo di quand’ero bambino, mentre mia madre mi chiamava a riva per la merenda.

più il tempo passa, e più si rimescola. suite: judy blue eyes, campionata per armada latina. muy hermosa.


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vieni come sei

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Penso che dopo cinque anni di blog dovrei  smettere. Dovrei smettere di dissanguare i miei sentimenti e la mia memoria. L’ho presa troppo sul serio, ‘sta cosa. Oggi ho sentito questo pezzo dei nirvana, e ho realizzato, come solo quando ascolto ciò che mi urla il rock’n’roll. Vieni come sei, come una memoria. Come un amico, come un vecchio nemico. Ti aspetto. Lo giuro, non ho una pistola. Non ce l’ho, non l’ho mai avuta veramente. La scelta è tua, non ritardare. E se ritardi, tu,tu e tu, non ha importanza. Siete lo stesso per me, e dovrebbe essere così anche per voi. Non è mai troppo tardi. E’ peace and love, qui, e sempre lo sarà. Stesse idee, stesso feeling. Non può essere che ci abbaiamo come cani rabbiosi. Non può.
Perché io, la pistola non ce l’ho, e non la voglio avere.

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big boss

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sì, siamo nella terra di nessuno. e mentre un pallido freddo incomincia a circuirci, vestiamo di nero e usciamo. con il cappello di mick, la giacca a tre bottoni di paul. big boss, forse ci riprendiamo il nostro. che non è tuo.

skeletons

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c’è ancora tempo? ancora? uncle john suona ancora il suo violino? voglio sempre credere di sì. voglio sempre credere agli arcobaleni sui deserti. e al surf sulle onde blu dell’amore. gli scheletri nell’armadio diventeranno polvere. e noi sopravviveremo, respirando l’aria del golden gate.

 

It’s the same story the crow told me;
it’s the only one he know.
Like the morning sun you come
and like the wind you go.
Ain’t no time to hate,
barely time to wait,
Whoa-oh, what I want to know,
where does the time go?

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spirals

spirali di foglie colorate, verdi, rosse, gialle, avvolgono noi spazzini della memoria, in una limpida e fredda giornata autunnale. le canzoni ci girano intorno, mentre cerchiamo di mettere ordine nei nostri pensieri e nelle sensazioni, loro subdole amanti.  chet baker suonò davanti a me al quasimodo, west berlin, vent’anni fa. non lo conoscevo bene, il suo “magic touch” forse stava svanendo. chet, il tormento è il prezzo del dono, il contrappasso del volere essere, del volere sentire? lo chiedo a te, mentre riascolto il tuo assolo che piove dall’alto in una british song, che parla di prezzi e guadagni di una guerra, cantata da elvis costello e robert wyatt, tanto, tanto tempo fa. cos’è che ci fa tendere alla vera vita, e ce la nega negli accidenti quotidiani, ripetuti all’infinito, apparentemente diversi, menzogne autopropagantesi, gocce di pioggia che scavano nelle rocce friabili del nostro essere?  cos’è che ci fa sentire peccato in ciò che peccato non è? eppure, eppure le spirali girano senza sosta, i colori continuano a sorriderci, nella stessa canzone, suonata dagli afterhours, in un altro pianeta, davanti a un altro io. perché il fine è l’essere, e l’essere cessa solo in reazioni chimiche, troppo caotiche da comprendere. getto a terra la scopa, e mi faccio avvolgere dai colori.

di più

Potevo sentire allora
Che non vi era modo di sapere
Foglie cadute nella notte
Chi può dire dove volano
Libere come il vento
E imparando, si spera,
Perché la marea
Non ha nessun modo di tornare indietro
Più di questo – non vi è niente
Più di questo – dimmi una cosa
Più di questo – non vi è niente
E’ stato divertente, per un po’
Non vi era modo di sapere
Come il sogno nella notte
Chi può dire dove andiamo
Non importa al mondo
Forse sto imparando
Perché la marea
Non ha nessun modo di tornare indietro
Più di questo – non vi è niente
Più di questo – dimmi una cosa
Più di questo – non vi è niente

because, it’s you

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sì, il tempo si ferma, qualche volta. solo qualche volta. sdraiato sul divano, la nebbia del tabacco di ieri. domani mattina i cani freddi in cravatta regimental morderanno di nuovo. ma ORA, ORA, sembra che cadano narcisi, lentamente. come neve su colori di film dei 60, le attrici con quegli occhi blu che incendiano l’innocenza, senza snaturarla. scommettiamo che quest’anno la primavera arriva in anticipo?

seven colours: red

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e ora vorrei dire
che la gente può cambiare qualsiasi cosa se vuole, e intendo qualsiasi cosa al mondo. la gente corre, segue i suoi piccoli binari. io sono uno di loro.  ma dobbiamo smettere di seguire i nostri miseri binari. la gente può fare qualsiasi cosa. è una cosa che sto iniziando ad imparare.
la gente là fuori si fa del male a vicenda. è perché è stata disumanizzata.
è ora di riportare al centro l’umanità e di seguirla per un po’. l’avidità non porta da nessuna parte. dovrebbero scriverlo su un grande cartellone a times square. senza gli altri non siamo niente.

questo è quello che penso.
 
joe strummer 
 

 

voi non siete nulla

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siede coi piedi che penzolano sul cratere, la maschera dal naso adunco alzata sul cappello, il viso rosso e segnato dal dolore. il vestito bianco sporco di cenere, le spalle alla città dai colori avvelenati e ancora splendidi.
voi non valete niente.
voi non siete nulla.
il sangue  che versate vi inonderà come il sarno, quell’anno disgraziato. il vostro cemento si sbriciolerà. i camion tossici interrati risusciteranno,  gli schiavi del sesso sulla domiziana e dei pomodori nell’agro guarderanno in su. le tigri non possono essere addomesticate, sandokan, non ricordi? i kalashnikov si inceppano, i soldi bruciano. e voi della piana al nord non siete esenti.

è l’una e lucido la pistola,
tiro un’altra striscia al volo
butto dentro il caricatore
con la madonna sul cuore
so che lei poi mi perdona
quando finirà ’sta storia

 

4 elements: water

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L’acqua di uno stagno, di una palude o di una semplice bacinella è generalmente immobile. La sua superficie è completamente piatta. O meglio, noi la vediamo così. Nel 1827, un botanico di nome Robert Brown osservò al microscopio  delle particelle di polline sospese in acqua, e scoprì che si muovevano in modo assolutamente irregolare. La stessa cosa succedeva per granelli di polvere. Questo movimento incessante, casuale, imprevedibile è dovuto all’agitazione termica delle molecole d’acqua. L’agitazione termica è la causa della temperatura. I costituenti elementari della materia (siano essi atomi in un pezzo di ferro, o appunto le  molecole di un liquido) si muovono caoticamente. Nei liquidi, le molecole non sono legate fra di loro, e cambiano incessantemente posizione, urtandosi. Un delirio, insomma. I granelli vengono colpiti continuamente dalle  molecole, invisibili ad occhio nudo, e anche se sono molto più grandi, prendono questi “calcetti” e si spostano. Poiché l’agitazione termica è assolutamente casuale, le particelle di polvere si muovono a scatti, in modo imprevedibile. Moto stocastico, viene detto. Einstein lo studiò, ed in uno dei suoi primi lavori scrisse delle equazioni molto particolari per la sua descrizione probabilistica. Quindi, non è detto che ciò che appare immobile lo sia veramente. Dipende dalla scala e dallo strumento con cui si osserva. E come sempre, l’apparenza può ingannare.

Liquido inquieto: PJ nel suo vestito rosso. (E’ un omaggio? Sì, lo è).

 

 

Blond on Black

 

 

I Police girano su loro stessi e non si guardano, non interagiscono in questo video del 1986. La loro storia è già finita. Intorno, strumenti, scene di vecchi video di concerti, colori in una sarabanda di figurine che si rincorrono, a celebrare il loro successo. Niente di nuovo da dire, la canzone scorre in una nuova versione, è “don’t stand so close to me”, le memorie (o fantasie) di Sting, giovane insegnante di liceo. Sono freddi, distanti, biondi algidi vestiti di nero, ma la musica è un ciclone, la batteria di Stewart Copeland percuote l’anima, i riff di Summers scavano il cuore. Il nero delle storie che finiscono, il biondo delle nuove vite. Addii pieni di rancore, occhi rossi dalle lacrime trasparenti, guerre senza vincitori. Le rinascite hanno sempre bisogno degli addii. Il rancore è una legge di natura, o solo un contorno non necessario? Non lo so, camminare sul filo sopra le tempeste è difficile. Impossibile, non mi sentirei di dirlo. Il dopo può essere meno proibitivo.
 

 

Chrissie’s eyes

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Cuoio scuro sulla pelle, voce morbida, chitarra al braccio, cosa c’è di più sexy di una ragazza che suona rock’n’roll? Riff degli anni ’70-’80 nelle orecchie e nel (cuore, sì, mi tocca scriverlo), gli occhi da gatta di Chrissie che mi guardano dalla copertina, mentre sono impegnato a cercare di capire qualcosa da delle strane formule, oggi come allora, quando ero studente. Cercare di capire, è la mia attitudine professionale, no? E così mi affanno a cercare spiegazioni per ogni cosa. E credo che per ogni singolo evento, fatto, fenomeno, sensazione ci sia una causa, un meccanismo. Spesso complicato, difficile. Ma più passa il tempo e più mi convinco che niente è fuori dalla nostra portata. But, hey, is it worth? Vale la pena, vale la pena di comprendere tutto, anche ciò che fa più male, ciò che fa soffrire? O forse è meglio lasciare perdere? E’ un’attitudine e una condanna. Soffia, la voce di Chrissie, mostrami il significato della parola. E parla di qualcuno che viene dalla via lattea con occhi innocenti. Mentre io mi tuffo su fax che non arrivano, formule e fenomeni che non capisco, e che capirò. Un giorno, sia domani o fra dieci stagioni. Forse è questo il vero motivo per cui scrivo da tre anni, compiuti proprio oggi.
 
Time is up, listen and read:

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Pretenders-Show me 
 
Show me the meaning of the word
Show me the meaning of the word
‘cause I’ve heard so much about it
They say you can’t live without it

Welcome to the human race
With its wars, disease and brutality
You with your innocence and grace
Restore some pride and dignity
To a world in decline

Welcome to a special place
In a heart of stone that’s cold and grey
You with your angel face
Keep the despair at bay
Send it away, and

Show me the meaning of the word
Show me the meaning of the word
‘cause I’ve heard so much about it
I don’t want to live without it
I don’t want to live without it
Oh, I want love, I want love, I want love

Welcome here from outer space
The milky way still in your eyes
You found yourself a hopeless case
One seeking perfection on earth
That’s some kind of rebirth, so

Show me the meaning of the word
Show me the meaning of the word
‘cause I’ve heard so much about it
Don’t make me live without it
Don’t make me live without it
Oh, love, I want love, I want love, I want love

 
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Boeing 707

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In the early morning rain
With a dollar in my hand
With an achin in my heart
And my pockets full of sand
I’m a long way from home
And I miss my loved ones so
In the early morning rain
With no place to go
Out on runway number nine
Big seven-o-seven set to go
But I’m stuck here in the grass
Where the cold wind blows
Now the liquor tasted good
And the women all were fast
Well there she goes my friend
Well she’s rollin down at last

Hear the mighty engines roar
See the silver bird on high
She’s away and westward bound
Far above the clouds shell fly
Where the mornin rain don’t fall
And the sun always shines
She’ll be flyin o’er my home
In about three hours time

This old airports got me down
It’s no earthly good to me
cause I’m stuck here on the ground
As cold and drunk as I can be
You can’t jump a jet plane
Like you can a freight train
So I’d best be on my way
In the early morning rain

 
 
…missing flights
 

A blogger song

C’è una canzone legata indissolubilmente al mio blog. Oggi l’ho sentita alla radio, in Condor. Beh, eccola qui. Sun on you.

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Paul Weller-Thinking of you
 

P.S.: e nel mio autocommento (risposta a .) c’è scritto perché… 

And you?

 

 
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Yes- And you and I 
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Chissà se avrete il tempo e la pazienza di sentire questo splendido pezzo. Beh, trovatela, vi prego. Barocco, ridondante, fantasmagorico, perfetto, anche nel suo fruscio di vinile trentennale. Dura 10 minuti e passa. Mezza facciata. Come si diceva un tempo. Sogni, sogni verdi come la copertina del disco, opera di Roger Dean. Oggi mi è venuto in mente, anzi poco fa. Non ho resistito. Chitarre acustiche di Steve Howe, armoniche ed accordi. Un piccolo battito e poi, puff, incomincia. Il sintetizzatore di Richard Wakeman, il basso di Chris Squire, la voce di Jon Anderson. Gli Yes. A me piace un po’ tutta la musica, e questo disco, QUESTO disco l’ho comprato usato da un mio amico. E’ stato sciocco a vendermelo. E’ una reliquia, un tesoro. Sogni verdi, luci blu. E la voce di Jon (sì, senza h) è come un fiore che sboccia dalla terra arsa dei ricordi. La arerò di nuovo, e la innaffierò, perchè così deve essere. Per me. Così sarà. La vita piena di fiori è fantastica. Quella vita. Che ritornerà. And you?

Rock’n’sun

 
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 They might be giants- Why does the sun shine?

 

 

Vi propongo questa piccola lezione rock’n’roll su come funziona il sole. Geniale. Un mio collega me l’ha fatta sentire. Non potevo non metterla su. E il testo è assolutamente corretto, dal punto di vista  scientifico. Oddio, non so se gli atomi di Ferro sopravvivono a temperature così alte. Dopo le onde del post precedente, un po’ di sole. 

 

The sun is a mass of incandescent gas
A gigantic nuclear furnace
Where hydrogen is built into helium
At a temperature of millions of degrees

Yo ho, its hot, the sun is not
A place where we could live
But here on earth thered be no life
Without the light it gives

We need its light
We need its heat
We need its energy
Without the sun, without a doubt
Thered be no you and me

The sun is a mass of incandescent gas
A gigantic nuclear furnace
Where hydrogen is built into helium
At a temperature of millions of degrees

The sun is hot

It is so hot that everything on it is a gas: iron, copper, aluminum, and many others.

The sun is large

If the sun were hollow, a million earths could fit inside. and yet, the sun is only a middle-sized star.

The sun is far away

About 93 million miles away, and thats why it looks so small.

And even when its out of sight
The sun shines night and day

The sun gives heat
The sun gives light
The sunlight that we see
The sunlight comes from our own suns
Atomic energy

Scientists have found that the sun is a huge atom-smashing machine. the heat and light of the sun come from the nuclear reactions of hydrogen, carbon, nitrogen, and helium.*

The sun is a mass of incandescent gas
A gigantic nuclear furnace
Where hydrogen is built into helium
At a temperature of millions of degrees

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E’ proprio il caso di dirlo. Sun on you, miei cari. 

 

Solitude waves

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Ludovico Einaudi- Le Onde

 

Ho scritto spesso delle onde. Per certi versi, la natura si può considerare , nei suoi molteplici aspetti, un enorme, gigantesco, ammasso di onde che vanno, vengono, collassano, interferiscono. Onde di materia, in fisica quantistica. Collassate in oggetti macroscopici, come quelli sulla nostra scala. Onde di radiazione, che viaggiano nello spazio tempo, onde sonore, liquide e di gas, in mare, in cielo ed in terra. Energia che si propaga, viaggia, si insinua. Riceviamo e trasmettiamo. Interagiamo. Abbiamo bisogno di ricevere, abbiamo bisogno di trasmettere. E’ un bisogno disperato, proprio perché coscienti. Coscienti della nostra solitudine, che possiamo attenuare solo in trasmissione e ricezione. E Greg, oggi, sente questo brano musicale, che trasmette. Oh, se trasmette. Musica diversa da quella che è abituato a sentire. Niente chitarre elettriche, basso, batteria.  Solo questo piano acustico, che lo catapulta in un giorno freddo, luminoso sulla riva di chissà quale mare. Si stringe il cappotto e guarda, il su ed il giù, l’avanti e l’indietro, gli occhi semichiusi, dall’aria pungente, dalla luce perlacea. Senza parlare. E si chiede quando occhioni blu suonerà questo pezzo per lui. C’è da aspettare, ma lo farà, ne è sicuro, così come è certo che l’energia si conserva sempre.

 


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P.S. e se volete leggere qualcosa di veramente bello su Einaudi, andate da Ju. Qui.

 

Still there?

Greg, ci sei ancora? Io dico di sì.  La corda può sempre diventare seta iridescente. Il sole ancora scalda. Braccialetto di rame al polso, guardi il seminario del prof. venuto da Berkeley, che ti spiega cosa si può fare con degli oggettini mirabolanti che si chiamano nanotubi di Carbonio. E nella tua testa è tutto un “ohh, ahh…” di gioiosa meraviglia. Still there, Greg? Vedi il video di Joe Jackson, e bum, bum, la Dharma che in parte tu sei batte colpi proprio lì, sotto lo sterno, nell’organo che pompa sangue. Il caos è meraviglia, la curiosità è gioia. Le città invisibili più vicine.  E alla fine, indosserò il soprabito nero, mi metterò il cappello e raccoglierò la rosa, proprio come Joe, mentre esco nelle luci blu.

 

 

 

 Joe Jackson- Steppin’ out

 

Human

Oh sì, voglio annegare in questa acqua, la pioggia che si mescola col sangue etereo della memoria. Quegli orecchini così grandi, quelle labbra così rosse. Il mio braccio si abbandona sullo schienale del  divano blu. Human. Born to make mistakes. Gli occhi sul soffitto bianco, l’ennesima paglia sulle mie labbra sorridenti. Glam 80’s, vi amo, dio come vi amo. Vivere, solo vivere. Allora. Dormirò con questa sciocca musica nelle orecchie. E i miei occhi si apriranno su un sole dietro una nebbia purpurea. Voglio drogarmi dell’assenzio della falsa-vera giovinezza. Reality is true, damned, hard and silly. Cullami, cullami, acqua che cade dalle nubi di dolce, stramaledettamente dolce memoria. Goodnight, silly boy.

 

And you, just watch.

 

 

Watch the stars

 

Può succedere. Può succedere che oggi non mi senta tanto bene, e che torni a casa dal lavoro prima del tempo. Può succedere che piova, e che provi a passare con la mia bici tra una goccia e l’altra, con scarsi risultati. E che nel parco  vicino casa veda una ragazza bionda, giovane e carina, vomitare, forse perché è incinta, o forse perché è una tossica  che ha combinato qualche guaio su di sé (propendo, ahimé, per la seconda ipotesi). Può succedere che mi senta molto stanco, di questi tempi. E che la realtà faccia veramente schifo. Ma è veramente così? La mia risposta é NO. Forse i miei occhi hanno ripreso a funzionare,  come un po’ di tempo fa. Ieri ho scoperto che hanno commercializzato dei dispositivi con laser a luce blu. Una cosa impensabile pochi anni fa. Blu, il colore del paradiso. Ho anche scritto un post su questa faccenda. Adesso sto a casa e mi sento questa canzone. E’ una vecchia ninna nanna inglese, bellissima in questa versione dei Pentangle.  Questo è un nonsense post, ma il sole è tornato, ed i miei gattini stanno bene, dopo che uno dei due ha rischiato di morire per un virus.  Per oggi basta questo, domani si vedrà.

 

Watch the stars see how they roam
watch the stars see how they roam
you know the stars roam down
at the setting of the sun
watch the stars see how they roam

watch the wind see how it blows
watch the wind see how it blows
you know the wind shall blows
when the sun goes down
watch the wind see how it blows

watch the moon see how it glows
watch the moon see how it glows
you know the moon is gonna glow
when the sun goes down
watch the moon see how it glows


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Ziggy and earth

 

Suona Ziggy, per noi. Il fuoco indimenticabile non si spegne mai. Giù e su, su e giù. Succhiamo dalle tue labbra, accarezziamo i tuoi capelli. Ziggy il mancino. Con te siamo mancini. Blow-up! Minigonne vertiginose, capelli lunghi, nuove percezioni di realtà. Self-destruction, if necessary. Ma la terra gira sempre, ti tocchi i polpastrelli, e dici, cazzo, la realtà esiste. L’ego, forse, non più. Watch the stars, and see how they run. La gente si tocca sempre, Ziggy suona mancino, ed io torno giù, mentre mi ravvio i capelli, e stringo gli occhi sulla mia tazza da caffé. Life is what you touch.

 

David Bowie-Ziggy Stardust

 

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Beautiful day

Mi piace, questo video. Mi fa pensare ai vari aeroporti in cui ho stazionato. Bruxelles, in particolare, ed i suoi cioccolatini, che adoravo e compravo sempre per portarli nelle due case, qui e Liverpool. E dividerli, con gli altri. Dividiamo un po’ di Neuhaus, ne vuoi? Sorrido, mentre apro la scatola, e te ne porgo uno.  E poi, oggi è veramente bellissimo. Ho sentito gli U2 anche prima, quindi, perché no? Pure Joy. Under a cruel and gentle sun. Cammino.

 

 

 

 

 

Red wine

Birmingham, Manchester, Leeds, Sheffield, Newcastle, Liverpool. Sono lontani anni luce dalle West Indies. Dal sole della Jamaica, di cui posso solo immaginare i raggi che forse arrivano come delle frecce. Il primo CD che comperai, dopo una sterminata collezione di vinili,è una raccolta degli UB40, una band interrazziale di Birmingham, disoccupati organizzati che invece di mettersi a fare spogliarelli, come i protagonisti di Full Monty, suonavano un reggae dolce e orecchiabile. Penso ai bicchieri di Rioja di bassa qualità bevuti da Keith’s, il wine bar a due passi da casa mia, con i miei improbabili vicini, uno scozzese ed un marocchino (che certo non rispettava i dettami del Corano) mentre ammiravamo le bionde studentesse alticce che si sedevano in gruppi loquaci nei tavoli accanto al nostro. L’estate di Liverpool può essere dolce e risplendente, in alcuni periodi. Bevo il vino rosso  stasera, e brindo al mio passato, al mio presente ed al sole di domani. Con gli UB40 in sottofondo. Oggi ho preso due micetti in adozione, Red e Luna, e ne sono orgoglioso. Brindo anche a loro. Plat du Jour: Red red wine. 

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Forever

1) Oggi Greg ha rimesso il giubbotto jeans, da lui gelosamente conservato e riconquistato dopo una strenua battaglia con sua sorella, che indossava quando aveva 16 anni. Complice il suo dimagrimento. Greg è fatto così, conserva. Nel cuore e nella testa.
2) Oggi la giornata è splendida, la gente sembra avere un’aura intorno.
3) Occhioni blu era di buon umore.
4) Greg ama vedere commedie americane a lieto fine. Ad esempio, “Il matrimonio del mio migliore amico” con Rupert Everett, che in quel film è grandioso. Colonna sonora di Burt Bachrach.
6) Greg ballava le canzoni di Burt Bachrach, quand’era bambino. Gli piacevano, e gli piacciono anche adesso.
7) Greg canticchia: “Forever, forever, you’ll stay in my heart…”, e pensa che per lui  è così, ma non scrive altro.
8) Greg oscilla, su e giù, ma oggi è un su, decisamente su.
9) Greg finirà presto la storia di Sasha, l’italiano-sloveno che va in bici sul Carso , ma oggi ha voglia di scrivere cose allegre e sciocchine.
10) Il viaggio di Greg continua, e questo diventerà sempre più un audioblog. Plat du Jour: “Say a little prayer”, di Burt Bachrach (appunto) in versione reggae, cantata da Diana Krall. Deliziosa. Per i Pearljam, Patty Smith, i Cure, etc c’è sempre tempo, no?
Che il sole splenda su di voi.
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Ventiminuti 3 (revisited)

Mi è venuto in mente questo vecchio post. Per la musica e per domani. I know why.

La scorsa notte ho dormito tre ore. Capita. Il mio umore non era dei migliori stamattina. Poi il rush per accompagnare mia figlia a scuola. Sbrigati, sbrigati, sbrigati… la parola più usata da me negli ultimi tempi. In tempo, sì, in tempo, raramente facciamo tardi. Gli zainetti multicolore entrano, io mi volto e ritorno alla macchina. E i ventiminuti dalla scuola all’ufficio, sempre quelli. Ieri, oggi, domani. La radio locale che sento da quando vivo e lavoro qui mi regala questa perla. Why can’t we live together. I colori cambiano, i fiori risbocciano, il sole splende più vivo. L’organo a scatti, le percussioni, che meraviglia. Tutto assume un altro aspetto. Ed io che mi dico: adesso la metto su, non posso farne a meno. E’ quello che ho fatto. Buongiorno miei cari. Love, w

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Where

Cammino sotto il sole di Maggio che sembra Luglio. Ho ripreso la borsa di pelle, e lasciato lo zainetto a casa. Il braccialetto di rame no, quello sempre con me. La città lattiginosa, le macchine altere ed indifferenti. Non sono qui, no, sono nel deserto di Zabriskie point, forse, o sul pack artico.

Dolori vicini che sembrano lontani, la freccia del tempo che mi
spiegano non cambiare mai direzione, nè verso.
Forse solo colore.
Dov’è l’amore? Dov’è?
Il peso del mondo è sulle nostre spalle, ma non ce ne accorgiamo.
Solo quando vediamo con occhi chiari, con mente sgombra e vulnerabile.

Allora le mani si giungono, chiniamo la testa e la luce ci riscalda la nuca scoperta.
Dov’è l’amore? Ci sembra di saperlo. Solo in quel momento.

 

…Chiederò un altro drink?
Eviterò il light fandango?
Troppo bella da sentire, a prescindere.
La faccio vedere, perché oggi, con questa strana febbriciattola che ho, così mi va.
E ancora, e ancora.
Non c’è fine a certe cose. E’ in questo la loro bellezza.
Mi chiedo se arriveremo a quel pianeta, 20 anni luce di distanza, che hanno scoperto ieri.
Voglio credere di sì.
Click on image…

Farfisa hypnosis

Il tuono del re lucertola, il Farfisa Organ sotto. Ipnosi, ipnosi. Al Pere Lachaise volevo venire a trovarti, e come spesso mi succede, non ce l’ho fatta. Ma in questo pomeriggio sfatto, col sole che batte sulla mia scrivania, sono per te. L.A. è nel mio cuore anche per te. E come il maledetto fumo, anche se smetti, prima o poi ricominci, perché ti piace. Ricomincio a sentirti. Il Farfisa forma degli anelli dorati intorno alla mia testa, la tua voce mi trapassa, come i tuoi occhi. Right there. Nel punto esatto sulla fronte. Perché è lì che succede tutto. Scrivo “cuore”, ma quello pompa solo sangue. E tu lo sai. Colori l’asfalto, respiri il deserto. Il caldo, il caldo mi fa stare bene. Ipnotizzami, Jim, portami dove sappiamo io e te. E forse qualcun altro.

Dans la Seine

Quand on n’a plus rien en soi – Quand on n’a plus de refuge
Quand on ne peut plus fuir – Quand on ne sais ou courir
Noir comme la nuit – Oui noir comme mon ame
Noir comme les eaux – Dans lesquels je sombre

And in the waters I sink and in the waters I drink
Until I rise to the top which in truth is not
It’s the same as below with a put on as show
To make you feel your alright, to make you feel theres no fight

Johnny Johnny

Due anni fa scrissi un post su questo video, e sulla sua canzone. Gosh, il tempo passa. Era quasi un’altra vita. La mia parte Dharma non c’era quasi più, era rimasto solo Greg. Che faceva avanti ed indietro con la macchina tra due città distanti più di 300 Km ogni settimana, ed aveva un vecchio stereo col mangiacassette, che non sentiva quasi mai. Notizie alla radio, cellulare, sei arrivato? ancora no, ingorghi a Mestre e così via. Poi ricominciai a sentire le cassette. E spuntarono fuori i Prefab Sprout. Dharma ne fu felice, e battè i primi colpi. Il video, già. Molto romantico, un po’ retrò, con gli spezzoni di un film sentimentale degli anni ’60, in bianco e nero, che non riconosco. Non riconosco nemmeno gli attori. Buffo, no? Vi faccio vedere un video degli anni ’80, con dentro un film degli anni ’60. Tutto così dannatamente all’indietro. Ma il testo della canzone ha un messaggio molto chiaro.

La vita non è completa
fino a quando il tuo cuore non perde il battito
e non puoi fingere
non puoi far girare indietro l’orologio.

E’ un po’ come l’infinite loop, il simbolo matematico dell’infinito che metto a chiudere i post. Una curva chiusa, sembra che si ritorni indietro, ma non si può. Perchè l’infinito è avanti. E il tempo vola. Si può curvare, la gravitazione lo fa, lo distorce. La nostra mente vuole addirittura farlo tornare indietro. Ma la freccia punta solo in una direzione. Me lo devo ripetere più spesso. Qualcuno me lo ha ricordato, recentemente. Solo in questo modo Dharma e Greg possono fare la pace .

Move on up

Ok, il governo è caduto. Ok, è un periodo che ho degli alti e bassi veramente molto, molto intensi. Ok, sto diventando, diciamo di mezz’età? Ok, sono un po’ brillo. Mi vedo questo film sul calcio e sugli angloindiani, una commediola cosmopolita semplice e deliziosa (Sognando Beckham), e ho nostalgia dell’Inghilterra e della sua multirazzialità, dei ristoranti etnici indiani, cinesi, messicani, dei pubs e dei cabs. E del loro calcio, del loro tempo schifoso, dei mattoni rossi, dell’eterna luce estiva e dei loro parchi. Soho, a Londra, Toxteth, a Liverpool, Renshaw, a Manchester. E in Sognando Beckham, ad un certo punto, durante una scena dove le ragazze della squadra di calcio si allenano, si sente ‘sta gran musica, Move on up di Curtis Mayfield. Il sangue mi scorre nelle vene. E domani è Venerdì, e perchè lasciare il blog con una canzone triste durante il fine settimana? Quindi, beccatevi Move on up, e state bene. E basta con le (mie) cazzate. E cascasse il mondo , Mercoledì prossimo vado a giocare a calcetto con i miei amici. Baci da Greg.

How English…

Tell her I’ll be waiting
In the usual place
With the tired and weary
There’s no escape
To need a woman
You’ve got to know
How the strong get weak
And the rich get poor
Slave to love ooh
Slave to love
You’re running with me
Don’t touch the ground
We’re restless hearted
Not the chained and bound
The sky is burning
A sea of flame
Though your world is changing
I will be the same
Slave to love ooh
Slave to love
I can’t escape
Slave to love
Slave to love
Can you help me
Can you help me
The storm is breaking
Or so it seems
We’re too young to reason
Too grown up to dream
Now spring is turning
Your face to mine
I can hear your laughter
I can see your smile
No I can’t escape
I’m a slave to love

Magnolia

“Senti, ma le magnolie fioriscono a primavera?”
“Certo W, questa qui è un po’ strana, i suoi fiori sono enormi, si dischiudono molto tardi e marciscono subito, più in là ce n’è una piccola che sta fiorendo adesso.”
Vado e constato che la magnolia è proprio lì, dove ha detto mia moglie.
“Te lo ricordi Magnolia, il film? Io l’avevo visto al cinema senza di te, e poi ho comprato la cassetta.”
“Uh, oh, ah sì W, vagamente”.
“E questa canzone, Magnolia, l’hai sentita mai?”
“No, ma c’entra col film?”
“No, non c’entra niente.”
“E’ Neil Young che canta, vero W?”
“No, sono i Poco, West Coast anche loro, famosetti ai loro tempi. “
Più tardi, ad una delle tante sagre del I maggio (una per ogni paesino del Carso), i miei amici parlano delle multinazionali farmaceutiche. Odore di cevapcici alla griglia, la musica della banda, bandiere rosse. Ho visto anche quelle della Yugoslavia, appese alle finestre. I figli scorrazzano da qualche parte. Sono nell’Est, ma penso all’Ovest. Penso a Magnolia, una canzone di J.J. Cale, ma la versione nel mio cuore è quella dei Poco. Chitarre sospese, pedal steel guitar che volteggia nell’aria, arrangiamento un po’ barocco, terribilmente sentimentale. Violini e sax in finale. W si pensa su una decappottabile che va su una di quelle highways dritte come fusi verso l’infinito, non guida lui, no, lui guarda in alto il cielo e allarga le braccia per sentire il vento.
…mente a Est, cuore a Ovest…
Love, w

(Maggio 2005)

…e per chi volesse, si possono ancora sentire i Procol Harum. Basta mettere in pausa Magnolia, e accendere i Procol. Love w

Legacy

Nel 1985, durante il mega concerto planetario di beneficenza Live Aid, organizzato da Bob Geldof, Elvis Costello cantò “All you need is love” da solo, accompagnandosi con la chitarra elettrica. Nella presentazione, la definì “an old northern English folk song”, una vecchia canzone folk del nord dell’Inghilterra. Sto rivedendo il filmato, è splendido per la passione di Elvis e la partecipazione del pubblico di Wembley. 1967, 1985, 2006, che importanza hanno gli anni, il tempo. Nessuna, di fronte a questo filmato, di fronte a questa canzone, di fronte al mio essere allora ed adesso. Quando ci fu Live Aid, ero a Parigi, e non potei vedere che alcuni spezzoni del concerto, in un bar. Non avevo la televisione, fuori i Parigini celebravano la festa del 14 Luglio, l’anniversario della Rivoluzione che predicava Libertà, Uguaglianza, Fratellanza. E sono le note della Marsigliese che aprono la versione originale della canzone dei Beatles. I versi sono come una filastrocca,

Non c’è niente che tu posa fare che non possa essere fatto
Non c’è niente che tu possa cantare che non possa essere cantato
Niente che tu possa dire se non imparare a giocare il gioco
E’ facile
Tutto ciò di cui hai bisogno è amore

e così via, il messaggio è chiaro, semplicissimo, la vecchia canzone folk del nord dell’Inghilterra, composta ed eseguita da quattro ragazzi provenienti da una città dura e difficile come Liverpool, riassume in sé il desiderio e la speranza non di una generazione, quella del ’68, ma di tutte le generazioni di ragazzi, e perché no, di adulti che comunque sono stati ragazzi. Ce lo dimentichiamo, gli anni scorrono, 1967, 1985, 2006, ma è tutto lì, in queste parole. Mi sono chiesto spesso, l’amore basta? E’ sufficiente? L’amore è una cosa enorme e piccolissima, facile e complicata come la canzone. Ma il bisogno c’è, e talvolta è disperato, anche se spesso facciamo finta di non accorgercene. Le maschere che indossiamo, nella vita di tutti i giorni, talvolta saltano, e in alcuni momenti possiamo vedere il bisogno scolpito sulle nostre vere facce.
I Beatles andarono via presto da Liverpool, quando diventarono delle stelle planetarie, persero anche il loro accento originario, molto forte nei loro primi filmati, quasi inesistente ora nelle interviste a Paul Mc Cartney. Forse la legacy, l’eredità dei Beatles e di tutte le loro splendide canzoni, di tutto il loro mondo, è contenuta in All you need is love, e qualcosa delle loro radici in quella città è presente, lo sento quasi a pelle. Vi traduco la seconda strofa, che a me sta particolarmente a cuore in questo momento

Niente che tu possa fare che non possa essere fatto
Nessuno che tu possa salvare che non possa essere salvato
Niente che tu possa fare se non imparare ad essere tu nel tempo
E’ facile
Tutto ciò di cui hai bisogno è amore

L’ultima volta che ho visitato Liverpool è stato nel 2002 e la città è cambiata, ovviamente, da quando ci andai per la prima volta, nel 1989. Liverpool è più continentale, sta rinascendo, ma il vento sul Mersey ed i tramonti di una luce sfolgorante sono gli stessi, così come i mocciosi dai capelli cortissimi che giocano a calcio nei parchi. Come mi ero ripromesso, ho scritto un po’ di loro, un po’ di una città difficile da amare, ma da me amata come un paio di blue jeans vecchi e comodi, e un po’ di me. Sono un po’ emozionato in questo momento, perché è la mia vita, e ve ne faccio partecipi. Adesso mi accenderò una sigaretta e mi rivedrò il video. Che il sole splenda su di voi, come spesso scrivo, all you need is love w

Revolution

Liverpool è piegata da una crisi pluridecennale, il porto è andato in malora molto tempo fa, la città non ha più una sua identità. La popolazione si sta inesorabilmente riducendo, è povera, la microcriminalità dilaga da molti anni. Vi sono quartieri fatiscenti, abbandonati. C’è un segno di rinascita e di speranza, da qualche tempo, ma gli anni 70, 80 e 90 sono stati terribili. Il resto del Nord dell’Inghilterra versa più o meno nello stesso stato, Birmingham, Sheffield (ricordate Full Monty?), Newcastle ed in parte Manchester sono in condizioni non meno gravi. Ma i Liverpudlians (così si dice) hanno un gran senso dell’umorismo, sono molto di sinistra anche se disincantati. Un prof. col quale collaboravo era un membro del Labour Party, non certo il new labour di Tony Blair, ma quello dei dockers, che usava la parola socialismo senza vergonarsene. Mi invitò ad un party assieme ad altri miei colleghi, in una grande casa bellissima e disordinata, tipica di un accademico inglese. C’era un telescopio che troneggiava al centro di una stanza, mi ricordo. Ovviamente, usò le canzoni dei Beatles come colonna sonora. La canzone che ho scelto per oggi è Revolution, un rock’n’roll di John scatenato, dai versi molto dissacratori. Parla del ’68, e della rivoluzione. E dice di stare attenti, di non odiare, di non predicare violenza. Sono d’accordo con voi, fratelli, cambiamo il mondo, ma state attenti ai maestri cattivi. Parole controverse, recitate da un cantante già ricco e famoso, ma forse non meno vere. Godiamoci il rock’n’roll, facciamo festa e pensiamo con la nostra testa. Love w

Occhi di caleidoscopio

Ho una cartolina col ritratto di John Lennon, che spunta da una stampa appesa nel soggiorno della mia casa.La stampa ritrae il waterfront di Liverpool, una vista della città dal fiume Mersey (potete vedereuna visione notturna del waterfront nella foto emblema del mio blog). Un mio zio in visita la chiamò ironicamente “il santino”. John, l’anima più hippy e dissacratoria dei Beatles, tenero e ribelle, visionario ed ironico, innamorato. Innamorato e basta. Si sa, Paul e John firmavano quasi tutte le canzoni dei Beatles, ma c’erano le canzoni di Paul e le canzoni di John. Io credo che fra loro ci fosse una specie di competizione artistica, ed una sintesi. George Harrison (soprattutto) e Ringo Starr mantenevano l’equilibrio. Ripeto, queste sono solo mie idee personali, non ho letto biografie, non mi sono documentato. Sono solo mie impressioni. John ebbe un’infanzia difficile, a quanto so, e da studente d’arte si trasferì in un appartamento, o una camera, non so bene, in un grande, vecchio palazzo che dà sulla cattedrale anglicana, imponente e minacciosa nel centro città. La cattedrale ed il palazzo storico sono su una collina dal quale si vedono dei quartieri desolati, i vecchi docks e il mersey. L’asilo nido di mia figlia era situato in un palazzo simile, molto vicino alla cattedrale, e passavo in macchina accanto a questi luoghi, quando la portavo prima di andare a lavorare, o la riprendevo a fine giornata. Quel quartiere mi piaceva, le case in stile georgiano, silenzioso, poco traffico, anche per gli standard della città. Sto divagando un po’, i miei ricordi mi portano un po’ lontano dall’argomento, che sono le canzoni di John cioè quelle canzoni dei Beatles che considero di John. Ho scelto Lucy in the Sky with Diamonds, tra le molte, per la sua poesia e le sue visioni. Immaginati su una barca su di un fiume, con alberi di mandarino e cieli di marmellata d’arancia, così recitano i primi versi. L’andamento della musica mi evoca cerchi colorati, spirali che salgono nel cielo, e anch’io vorrei cercare la ragazza con gli occhi di caleidoscopio, brillanti come il sole. Sì, LSD, droga, viaggi indotti dall’allucinogeno, ma la forza dei versi è incredibile, il refrain rock quasi ballabile, alternato ad un andamento lento ed evocativo. Era solo il 1967, ragazzi, io avevo sette anni. Ed era un ‘esplosione, una rivoluzione. Altro non riesco a scrivere, se non che spero, stanotte, di sognare di prendere un taxi fatto col giornale, e di trovarci seduta la ragazza dagli occhi di caleidoscopio. Un pensiero per John, e per George, che non ci sono più. Love w

Penny Lane

Ho incominciato a scrivere sul blog quasi due anni fa, ed uno dei primi post che mi venne in mente fu su Penny Lane. Per imperscrutabili motivi non l’ho mai scritto, ma stasera ho deciso: lo faccio. Abitavo non lontano dalla strada celebrata da una delle più straordinarie canzoni concepite ed eseguite dai Fab Four. Ovviamente ci sono stato, più di una volta. John e Paul abitavano in zona, e descrissero in modo surreale e reale al tempo stesso questo non luogo del British suburbia. Il barber shop, la banca, il negozio di fish’n’chips, era più o meno tutto lì, forse per esigenze turistiche, chissà. Ciò che mi colpì di più è che la strada non è niente di speciale. Niente monumenti, niente viste particolari, niente suggestioni. Villette e terraced houses anonime. L’unica particolarità è una residenza per studenti universitari. Non doveva essere molto diverso 50 anni fa, quando i due geni della musica pop , giovanissimi, la frequentavano. Ma la forza della canzone per me sta proprio in questo. Il luogo è anonimo, e viene riempito di emozioni e suggestioni da una canzone straordinaria, godibilissima e raffinata al tempo stesso. Orecchiabile, ma non banale. Sorridente, nostalgica ed ironica, unica. E gli arrangiamenti sono forse il punto di forza della loro musica . Nessuno sapeva assemblare canzoni come loro. Il beat dei primi tempi è ancora lì, ma c’è molto, molto di più. I caratteri descritti (il barbiere, il pompiere, il bancario in moto e la vecchietta che vende papaveri) sono un po’ eccentrici, molto british, molto tipici. Il senso dell’umorismo è molto presente in tutte le canzoni dei Beatles, in questa particolarmente. Dopo il mio lungo soggiorno in Inghilterra, comprai il CD di Sgt. Peppers, (l’album è dello stesso periodo) e riscoprii i testi. Li leggevo con occhi un po’ più “inglesi”, e sono pieni di sottigliezze che a uno straniero che non ha mai vissuto lì sfuggono. Penny Lane è una celebrazione di un mondo, una atmosfera “suburbana” molto inglese, ma universalizzata. Colorare il grigio di suburbia, passare dei pennelli vivaci e trasformare il tutto in un sogno vivido, reale, pieno di speranza e di umorismo. Questo è il miracolo di Penny Lane. Forse sono stato banale in questa piccola celebrazione, molti hanno scritto meglio di me sull’argomento, posso solo aggiungere che Penny Lane, e Liverpool tutta, è nelle mie orecchie, nei miei occhi e anche nel cuore.

Penny Lane is in my ears and in my eyes.
There beneath the blue suburban skies
I sit, and meanwhile back

Love w

Blackbird

Quando vivevo a Liverpool, passavo dei periodi in cui lavoravo molto duramente. Spesso facevo turni di notte, nel grande laboratorio dove compivamo i nostri strampalati esperimenti. Così, mi capitava di passare le sere non nei locali pieni di girls con occhi azzurri e capelli biondi, bensì attaccato a schermi di computer, o cercando di fare funzionare strumenti molto capricciosi. Durante un’estate feci una sessione di turni particolarmente pesante, per molte settimane. Arrivavo a casa quando era ancora buio, se ero fortunato, o più spesso quando era già giorno da un pezzo. Il mio appartamento era ricavato nel sottotetto di una vecchia casa, con uno splendido giardino. Una rampa di scale chiusa da una vetrata dava sul prato sottostante, ed ogni mattina un merlo si affacciava dal vetro. Eravamo diventati amici. Il richiamo alla canzone Blackbird, dal doppio album bianco dei Beatles, mi viene naturale. Il piccolo uccello che deve imparare a volare nella notte:
“…take these broken wings and learn to fly…”
Uno dice: vai all’estero, impara a volare. Scopri il mondo. Città nuove, luoghi affascinanti. Ma c’è un rovescio della medaglia: la solitudine. Un paese sconosciuto, una lingua che non è la tua (e vi assicuro che capire l’inglese dei liverpuliani non è facile). La solitudine mi accompagnò a lungo, nei miei soggiorni all’estero. E se lavori tanto, è dura. Orari irregolari, stanchezza, e tutti i problemi quotidiani da risolvere, da solo. Poco tempo per hobby, sport, vita sociale. Così il piccolo merlo si è indurito, ha imparato a volare, ma la malinconia ha scavato una tana in lui, da dove esce ogni tanto e lo avvolge, come la nebbia inglese. Love w

Cuore d’acciaio

Questa è la prima canzone dei Beatles. E va bene, non sono un beatlesologo, uno di quelli che sa tutto, che ha tutti i dischi, ha i gadgets, va ai raduni etc. ma ho vissuto nella loro città di origine, a due passi da Penny Lane, e ho respirato la loro aria. Ovviamente li conoscevo già da prima, e mi avevano già dato tante, tantissime emozioni. A 13 anni mia madre mi comprò lo stereo, accompagnandolo con la raccolta Beatles 1967-70 ( il doppio disco blu, per intenderci). Credo di avere imparato l’inglese sui testi delle copertine. Lo stereo è stato rottamato, mia madre non c’è più, ma il disco ce l’ho ancora. E suona, perchè ho un “nuovo” impianto stereo che mi permette di leggere il vinile. Ok, detto questo, parliamo di I saw her standing there. L’ho sentita (già scritto, mi ripeto) cantata in coro da vecchietti al Flanagan’s Apple, in Matthew Street, la strada dove sorgeva il Cavern. Il vecchio Cavern è stato demolito, il nuovo sorge un po’ più in là, sulla stessa strada. Il beat di I saw her standing there (che suona ancora benissimo) mi fa pensare alle seguenti cose:
mattoni rossi;
vento sul Mersey;
Sabato sera in centro città, una città sporca e desolata dal cuore d’acciaio rugginoso, che pompa vita, energia e umorismo;
ragazze con capelli cotonati e cappottini corti, di foggia povera.
Le loro nipoti hanno un look diverso, ma lo stesso spirito. Battuta pronta, energiche, il sabato sera bevono un po’ di booze a casa per tirarsi su, si vestono con abiti succinti, senza calze con qualsiasi tempo ed in qualsiasi stagione, e sciamano in gruppi, pronte all’azione. Si lasciano andare, nei locali, i boys con camicia abbottonata fino al colletto le scrutano, con una Beck’s o una Corona in mano, e qualche volta la scintilla scocca. 40 anni dopo il beat di questa canzone, il cuore di acciaio di Liverpool batte ancora forte, il Sabato sera. Provare per credere. Love, w

Cousin Joe non abita più qui

La giornalaia filippina mi guarda con un sorriso molto appropriato per questa bella Domenica di Ottobre, mentre le chiedo i soliti quotidiani e, naturalmente, Topolino per mia figlia. E’ già ora di pranzo, ma noi mangiamo sempre un po’ tardi, vogliamo andare a prendere l’ aperitivo al bar, dove pasteggiamo prima del tempo con degli gnocchetti fritti. Ma prima di andare via dall’edicola, il mio sguardo si posa su un DVD, The essential Clash. Guardo mia moglie, che stringe le spalle, e cedo alla tentazione, per 12 euro e 90 lo prendo. Quando torno a casa per pranzo, lo metto su, ed accendo lo Stereo collegato al lettore. Clip: London Calling, così antico che l’ho visto per la prima volta al cinema e non in TV, in una rassegna dedicata al punk. Il filmato è girato sotto la pioggia, di sera, loro suonano tutti bagnati su un barcone che galleggia sul Tamigi. Si intravede qualche scorcio della città, Joe Strummer, il cantante, porta un cappello nero a falde larghe. Altri video (molti girati dal vivo) sono Career Opportunities, Should I stay or should I go, un’altra versione live di London Calling (qui Joe stecca clamorosamente l’attacco), Radio Clash, dai tempi del loro successo in America, e la grandissima Rock the Casbah. Sono magrissimi, vestiti di nero, suonano sotto un pozzo di petrolio. Joe ha una capigliatura alla mohicana e indossa una Kefiah sul giubbotto di pelle nero, Mick Jones ha un berretto da sandinista. Un armadillo atraversa la scena, un arabo beve alcolici (credo) ballando nel deserto, jet militari che sfrecciano nel cielo. Erano tempi di guerra, già, Libano, Libia, Afghanistan, Iraq-Iran, Nicaragua, Salvador etc. E poi dicono che gli anni 80 erano frivoli, gli happy eighties. Adesso è lo stesso, sotto i nostri sciocchi sguardi occidentali. I Clash, dei veri rockers. Dub ‘n’ punk, il reggae fa ballare, ma le chitarre sono rock, Joe ci da’ dentro con la sua voce sforzata, mia moglie dice sottovoce: “sembra impossibile che sia morto”. Quando lo dice, penso a lui come ad uno di famiglia, un cugino un po’ più grande col quale mi ero perso di vista, e la notizia della sua morte, che avevo letto su Internet nel Natale del 2002, è stata difficile da accettare. No, non è vero, que viva Sandino. This is Radio Clash.
(Ottobre 2005)

….non metto su Rock the Casbah, preferisco Should I stay or should I go, più appropriata…
(Ottobre 2006)

…how English…


As the rain comes down, upon this sad sweet earth
I lie awake at nights and – think about me
All those usual things like what a fool I’ve been
I curse the awful way – that I let you slip away
For what was forged in love, is now cooling down
With only myself to blame for playing that stupid game
I thought I need only call and you would run
But that day you never showed honey – well I sure learnt –

That it seems I need you more each day
Heaven knows why that it goes that way –
Now it’s far too late – an’ I’ve lost this time –
Like the Boy who cried Wolf

An’ yes – I know it’s far too late
To ever win you back –
No tale of nightmare’s at my gate –
Could make you turn –
My lost concern

And now the night falls down, upon my selfish soul
I sit alone and wonder – where did I go wrong?
It always worked before you kept the wolf from my door
But one day you never showed and honey – Now I’m not so sure –

That is seems I need you more each day
Heaven knows why that it goes that way –
Now it’s far too late – an’ I’ve lost this time
Like the Boy who cried Wolf

Light Fandango

Quando ero bambino, la musica suonata con i grandi organi a canne nelle chiese mi emozionava tantissimo. Mi ricordo almeno un caso in cui ho costretto mia madre ad accompagnarmi all’uscita, perche’ mi veniva da piangere. Non so il motivo, ma mi ricordo questa sensazione cosi’ intensa che mi faceva sentire in una specie di spirale che girava, difficile a descrivere. In quegli anni (il 67, per la precisione) usciva una delle piu’ belle canzoni rock melodico di tutti i tempi (a mio modesto parere), si chiamava “A whiter shade of pale”, dei Procol Harum. L’ho sentita da bambino, probabilmente nella versione originale, sicuramente nella versione cover con i testi tradotti in italiano e suonata da uno di quei complessi che meritoriamente traducevano il beat, doveva essere l’Equipe 84 o i Camaleonti, non mi ricordo, ma ho questa memoria di un varieta’ in bianco e nero dove la cantavano, mi ricordo anche i versi iniziali “Han spento gia’ le luci….” . Sicuramente l’hanno ascoltata tutti, almeno una volta. Apre la canzone un’introduzione con un organo Hammond, la musica e’ ispirata a quella di J.S. Bach, anche se non e’ un estratto particolare, sembra scendere dal paradiso, e mi fa sentire un po’ proprio la stessa sensazione di quando ascoltavo l’organo in chiesa. Poi la voce (molto soul) del cantante apre maestosamente con questi versi:

We skipped the light fandango
turned cartwheels ‘cross the floor
I was feeling kinda seasick
but the crowd called out for more
The room was humming harder
as the ceiling flew away
When we called out for another drink
the waiter brought a tray

ed e’ una tensione continua, quasi un duello tra la voce e l’organo, che fa continuamente capolino, poi domina, poi ritorna in sottofondo, poi fa un assolo e cosi’ via. Semplicemente meraviglioso. Di questa canzone si e’ parlato e scritto molto. Se mi ricordo bene, Paul McCartney la cita una sua autobiografia, dice di averla sentita per la prima volta in un locale con qualcun altro (non vorrei sbagliarmi, ma doveva essere qualcuno degli Stones) e di averla commentata come un colpo di genio. Nel film “The commitments” due protagonisti discutono sul significato del testo, mentre uno dei due la suona con l’organo di una chiesa. Gia’, le parole. Il significato non e’ ben chiaro nemmeno a chi l’ha scritto. Io penso che in questo caso siano come delle macchie di colore che impreziosiscono questo splendido dipinto sonoro. L’ho risentita recentemente, e mi sono detto che sicuramente deve essere meraviglioso innamorarsi con questa canzone. Spero riusciate a sentirla mentre leggete questo post. Love w
(giugno 2005)

ventiminuti 2

“Ciao stellina, vengo a prenderti alle quattro e mezza”, un bacio sulla fronte, lei non è troppo soddisfatta di questa nuova scuola, di questa nuova vita. La guardo mentre si allontana nell’androne, il senso di colpa si fa strada nel mio animo, scava un piccolo tunnel doloroso. Station wagon e fuori strada che vanno e vengono, bambini con zaini colorati e mamme in jeans e stivali neri che escono ed entrano di corsa, è tardi, il vigile urbano che aiuta i pedoni ad attraversare si allontana. Mi infilo nella macchina, non ho più tanto sonno, sono venti minuti dalla scuola al lavoro, accendo la radio e parto per il viaggio. Freccia a destra, tangenziale. L’uomo del giornale si sporge per esporre la mercanzia, non l’ho mai visto in faccia, porta una mascherina sporca di dubbia efficacia, la barba bianca è ingiallita solo dalla nicotina? Un tempo c’erano piccoli zingari che chiedevano l’elemosina a questo incrocio, una volta ho visto la polizia cacciarli via, le facce inespressive al semaforo sono rimaste, scivolano avanti e indietro mentre vado ed attraverso, il traffico si sgombra, il viale alberato con foglie rosse e gialle. Kay Rock radio station, siate benedetti, vi seguo da quando sono qui, grande musica con deejay che mi fanno ridere quando pronunciano i titoli delle canzoni, ma intanto a trovarle delle radio così In Inghilterra, non solo in Italia. Mi servono gli Eagles, non ricordo il titolo, coretti country “you can’t hide…….” ed arrivo al secondo grande incrocio. Una bella signora con un cappello nero attraversa la strada, una ballata avvolge la mia auto, non è presentata, ogni tanto i dj omettono di dichiarare il titolo, ma la riconosco subito, fa parte della colonna sonora di Big Fish. Titoli di coda, Pearl Jam, voce impastata di Eddie Vader, chitarra elettrica. Un padre che racconta storie incredibili, fantastiche, reinventa la sua vita, ed un figlio che non ci crede più. Splendide gemelle siamesi che cantano per i soldati vietnamiti, impresari di circo solitari che si trasformano in lupi rabbiosi, giganti che percorrono boschi con alberi animati, villaggi perfetti ed inesistenti da dove non si riesce più ad uscire, grandi pesci ed anelli di matrimonio. Storie ed alberi con foglie rosse e gialle, cammino con la mia auto, rivedo la bella signora col cappello che mi scivola dietro, telefonerò a mia moglie appena arrivo, da sempre insieme ma in due città diverse, ma finchè c’è vita c’è speranza. Le storie aiutano.
(ottobre 2005)

Sono in piscina, un bel po’ dopo. E’ estate, la scuola è finita, niente più ventiminuti. Ma l’ipod mi fa risentire la stessa canzone, mentre le stesse mammine sono in costume e prendono il sole, ed i bambini, compresa la mia, sguazzano nell’acqua. Guardo le piccole onde di questa pozza d’acqua, mentre fumo e ascolto Eddie che mi canta dell’uomo dell’ora, il protagonista del film, che se ne va per il suo ultimo viaggio a cavallo del grande pesce. Le onde mi distraggono. Le onde, già. Insegno che le onde vanno e vengono, che portano energia, la trasmettono, vengono emesse e vengono assorbite. E l’amore è una forma di energia, no? Le onde dell’amore e delle sensazioni viaggiano da una parte all’altra, e tra le persone, e le antenne ed i trasmettitori che siamo noi, emettono ed assorbono. Poi, puf, i trasmettitori non funzionano più, o si voltano da un’altra parte, e l’onda non arriva. E le antenne si sentono perse, disperate, emettono ma non ricevono. Bip bip, niente segnale, per un po’ niente energia. Ma noi insegnamo un’altra cosa. L’energia assume forme diverse, si conserva sempre. Sì, questo dovremmo tenerlo a mente. E poi, qualche altro emettitore funziona, funziona sempre. Circolo, energia che si conserva, che viene immagazzinata, onde che vanno e vengono. Questa non l’hai raccontata, uomo dell’ora. Sorrido, mentre mia figlia è impaziente, vuole che mi tuffo con lei. Aspetta, stellina, che l’uomo dell’ora non è ancora andato via, gli devo raccontare questa piccola, sciocca storia di un sentimental boy. Questa settimana ho raccontato molte storie a voi, già, molte più del solito. Adesso mi sento un po’ anch’io l’uomo dell’ora. Per ora basta, mi inchino, come canta Eddie, e vado a tuffarmi in piscina. La prossima settimana ritorno, perchè le onde vanno e vengono, e l’energia si conserva sempre.
(giugno 2006)

Joe ed io

Ho deciso di tradurre questa canzone di Joe, l’ ho risentita oggi dopo anni (10? 15?) che non la sentivo piu’. Non so come abbia fatto a scordarmela. In realta’ e’ proprio come dice lui: non ci lasciamo mai il passato dietro, accumuliamo tutto e poi, hop, lui salta fuori quando meno te l’aspetti. Incredibile come succedano ‘ste cose. L’ho sentita e ho ricordato quanto mi piaceva.

Home Town-Joe Jackson

Di tutte le cose stupide che avrei potuto pensare
Questa e’ stata la peggiore
Ho incominciato a credere
Che ero nato a 17 anni
E tutte le cose stupide
Le lettere e le poesie incomplete
Sono rimaste in fondo al cassetto
Erano sempre state la’
Ed ora scavo attraverso pile
di conti, ricevute e carte di credito
E biglietti e articoli di giornale
E qualche volta io….

Voglio tornare nella mia cittadina
Anche se so che non sara’ mai piu’ lo stesso
Nella mia cittadina
Perche e’ passato cosi’ tanto tempo
E mi chiedo se e’ ancora la’

Noi pensiamo di essere molto bravi
Noi “cittadini” andiamo in giro
E quando le cose si mettono male
Uccidiamo il dolore e ci rispostiamo
Non siamo mai sposati
Mai fedeli a qualche posto
Ma non ci lasciamo mai il passato dietro
Solo, accumuliamo
Cosi’ qualche volta quando la musica si ferma
Mi sembra di sentire un rumore lontano
Di onde e gabbiani
Tifosi di calcio e campane di chiesa
Ed io

Voglio tornare nella mia cittadina
Anche se so che non sara’ mai piu’ lo stesso
Nella mia cittadina
Perche e’ passato cosi’ tanto tempo
E mi chiedo se e’ ancora la’.

(Marzo 2005)

E non c’è niente da fare. Fumo seduto sul divano, e guardo la borsa splendida che mi sono fatto regalare, mentre ascolto di nuovo Joe. Niente da fare, preferisco lo zainetto. Un anno dopo, qualche capello bianco in più, mia figlia di qualche cm in più alta. Niente da fare, la malinconia mi assale a ondate, come quando avevo 15, 25, 35 anni. E’ come quella pioggia inglese sottilissima, non la senti e ti trovi tutto bagnato. Niente da fare, la penso ancora come un tempo: che troppi soldi non servono poi a molto, che per amare bisogna rispettare (cosa che dovrei ricordarmi più spesso), che Jerry MacGuire era un bel film. E vi dico che voi siete come fiammelle che io vedo nel buio, che mi aiutate più di quanto possiate pensare. Vi prego, non andate via, non spegnetevi. E tu, Joe, non smettere.

(Giugno 2006)

Progressive Robert

Rassicuratevi, non è la foto di un serial killer. Ieri ho avuto modo di risentire questo grande chitarrista, nonchè leader dei King Crimson. I King Crimson erano uno dei gruppi alfieri del progressive rock anni ’70, molto cerebrali. Alcuni loro dischi sono splendidi. Robert Fripp ha uno stile elegante, la sua chitarra ha un suono liquido, distante, molto personale. Discipline è il titolo di un loro album, e Robert è così: disciplinato, rigoroso. La cosa bella è che questi vecchi musicisti continuano a suonare, anche Fripp, lui ha un suo sito web ed un blog qui , che ho avuto il piacere di leggere ieri. La musica dei KC mi ricorda di quando andavo a suonare a casa di un mio amico bassista, con capelli lunghi, jeans stinti e chitarra elettrica a tracolla. Poi la madre ci preparava delle lasagne buonissime a pranzo, ma queste Fripp non può averle gustate.