Archivio mensile:luglio 2007
Vola vola, farfallina
La teoria matematica del caos affascina. La parola stessa evoca molte suggestioni. Una volta vidi casualmente un programma TV per bambini nel quale una presentatrice, una bella ragazza indiana, mostrava un esperimento semplicissimo per fare comprendere il concetto di moto caotico. Nel film “Jurassic Park” Jeff Goldblum, in occhiali da sole e giubbotto di pelle nera, interpreta il ruolo di un matematico molto estroverso. Nel corso di una scena spiega alla paleontologa Laura Dern cos’è il caos matematico, facendole scendere una goccia d’acqua dalla mano lungo il braccio e dicendo: “anche se la goccia parte dallo stesso punto, non percorrerà mai la stessa traiettoria”. Bravo Jeff, che cita anche l’effetto farfalla: il battito d’ali di una farfalla può scatenare una tempesta da un’altra parte del mondo. Ci prova un po’, Jeff, con Laura. Spiegare la teoria del caos è un metodo per rimorchiare le ragazze? Chissà. In realtà, un fenomeno caotico è abbastanza semplice da spiegare (spero):
è un fenomeno governato da delle equazioni che descrivono una evoluzione nel tempo imprevedibile, ed è molto sensibile a piccole variazioni dello stato iniziale da cui parte.
Esempio (di wiki, non mio):
“…il fumo di più fiammiferi accesi in condizioni macroscopicamente molto simili (pressione, temperatura, correnti d’aria) segue traiettorie di volta in volta molto differenti.”
Se la goccia d’acqua scende in modo differente sulla pelle, è perché le condizioni iniziali da cui parte non sono mai esattamente le stesse. Basta pochissimo per cambiare la traiettoria. E cambia sempre, comunque. Non sappiamo che strada farà, non possiamo prevederlo. Il butterfly effect, (termine introdotto da Ray Bradbury, scrittore di fantascienza, pensa te) spiega esattamente questo: basta cambiare poco all’inizio perché tutto cambi in seguito, molto drasticamente. E ciò che mi sorprende è che non si può sapere in anticipo cosa accadrà, anche se si conoscono (in linea di principio) le equazioni matematiche che governano il fenomeno. Questa è la cosa più strana. Non sono un esperto, so solo del caos un po’ per sentito dire, un po’ per letture superficiali, ma da fisico sono abituato al fatto che date delle equazioni che descrivono un fenomeno, se queste si risolvono si sa cosa succede in futuro. Nella teoria matematica del caos, questo non avviene. Imprevedibilità. Mi attira, ma mi inquieta un po’.
Spesso si dice “in principio era il caos”. Non è vero, almeno per me. Non è così. In principio erano delle belle equazioni, e poi è successo il caos. Nel quale sguazziamo, più o meno felicemente , più o meno consapevolmente.
Quindi, occhio alle farfalle. Un po’ di punk rock non guasta, visto l’argomento. Do you like Siouxie and the Banshees?
Senza tempo, senza spazio
The Clash- Brand new Cadillac
L’auto-similitudine è un concetto matematico. Un oggetto “auto-simile” assomiglia a se stesso su qualunque scala lo si osservi. Cioè, tu lo vedi prima ad occhio nudo, poi con una lente di ingrandimento, poi con un microscopio ottico, poi con un microscopio elettronico. Sempre uguale. Pensa ad un abete. Il tronco, i rami, le foglie. Sono autosimili. Anche le coste viste dal satellite, le guardi, poi fai uno zoom, ed i golfi, le calette e le piccole insenature, una dentro l’altra, si ripetono. Si possono fare un sacco di esempi di questo genere. Questo tipo di struttura si chiama frattale. Il concetto di frattale ha avuto un grande impatto nel mio campo, la fisica, e anche nelle altre scienze. Ma la cosa più sorprendente è l’estetica delle strutture a frattale. Di nuovo, la natura ci fornisce un senso del bello particolare, che ci spiazza, ci sorprende. La sensazione che si prova di fronte alle immagini frattali è di qualcosa di comprensibile e misterioso al tempo stesso. E ci si perde dentro, perchè la scala, le dimensioni fisiche non hanno più importanza. Cosa vuole dire essere grande o piccolo se sei in un frattale? Niente. Fantastico, vero? E in parte noi siamo fatti così, perché il mondo è anche così. E’ come un viaggio senza tempo e senza spazio. Buon viaggio, allora. Nel mondo che si ripete e si ripiega all’infinito.
Talking infinity
Santana-Corazon espinado
Here we are
talking infinity
with the blonde girl
sitting in the bar
close to me
and universe is a small olive
in my Martini.
Chit chat
neurons falling off my nose
when neutrinos crossing
my Armani suit
feeling them
hearing breath of
stars curving space time
while Niels Bohr
sings salsa
with Dick Feynman
playing congas
in a folding grace.
Heart just pumps
relentless life
brain does the job.
(w, 2007)
Play it for me
Sabato ho visto questo quadro. Non sono un grande appassionato d’arte, so che si tratta di un’opera di un pittore della scuola di Delft, Jacob Ochtervelt, contemporaneo del grande Vermeer. L’immagine non rende giustizia, è la sola che ho trovato. Sono stato a lungo in piedi, davanti a questa deliziosa opera. Il vestito rosso così luminoso, la grazia della figura che mi dà le spalle mi hanno affascinato. Ho pensato solo una cosa: suona per me. Per lenire la stanchezza di questo periodo. Per incantarmi. Per farmi sorridere. Per farmi continuare, a vivere e sognare. Per trovare il bello che c’è sempre. In ogni singolo attimo in cui gli atomi oscillano, le molecole reagiscono, i corpi si muovono ed interagiscono, le piccole scariche elettriche generate e ricevute dai nostri neuroni si trasmettono, e gestiscono le nostre sensazioni. I nostri pensieri. I nostri sentimenti. Play it for me.
And you?
Chissà se avrete il tempo e la pazienza di sentire questo splendido pezzo. Beh, trovatela, vi prego. Barocco, ridondante, fantasmagorico, perfetto, anche nel suo fruscio di vinile trentennale. Dura 10 minuti e passa. Mezza facciata. Come si diceva un tempo. Sogni, sogni verdi come la copertina del disco, opera di Roger Dean. Oggi mi è venuto in mente, anzi poco fa. Non ho resistito. Chitarre acustiche di Steve Howe, armoniche ed accordi. Un piccolo battito e poi, puff, incomincia. Il sintetizzatore di Richard Wakeman, il basso di Chris Squire, la voce di Jon Anderson. Gli Yes. A me piace un po’ tutta la musica, e questo disco, QUESTO disco l’ho comprato usato da un mio amico. E’ stato sciocco a vendermelo. E’ una reliquia, un tesoro. Sogni verdi, luci blu. E la voce di Jon (sì, senza h) è come un fiore che sboccia dalla terra arsa dei ricordi. La arerò di nuovo, e la innaffierò, perchè così deve essere. Per me. Così sarà. La vita piena di fiori è fantastica. Quella vita. Che ritornerà. And you?
Sull’acqua del Nord
The Cure – just like heaven
Ward sale sul piccolo palco delle presentazioni. Greg lo conosce, anche se lui non ricambia la conoscenza. Greg ha letto i suoi articoli, ed ha visto le sue presentazioni a diversi congressi. E’ un professore americano, importante nel suo campo. Rispetto all’ultima volta che l’ha visto, è invecchiato un po’.Occhiali e barbetta, ha un abito chiaro, elegante per lo standard degli scienziati americani , che sono soliti fare le presentazioni in blue jeans, magari con il codino, come capita all’autore di un esperimento bellissimo, di cui ho messo un’immagine in questo post. Il meccanismo del congresso, articolato si diverse sessioni parallele che si svolgono contemporaneamente, fa sì che non siano presenti moltissime persone, ma l’aula è abbastanza piena. Siamo in 1800, qui a Stoccolma, e veniamo da tutto il mondo. E? un appuntamento triennale. Ma quest’anno si vedono cose assolutamente innovative, e possibili dettagli del futuro. Ward introduce l’argomento della sua esposizione, che non spiegherò, perché è troppo difficile. Però, prima della parte tecnica, diciamo così, fa qualcosa di straordinario, che tipicamente in questo tipo di incontri non si fa, o si fa molto poco. Si pone delle domande di carattere filosofico. E le pone a noi. Grosso modo,il succo è questo: secondo Ward, la scienza e la tecnologia stanno attraversando una rivoluzione. I fenomeni fisici che studiamo, e che sfruttiamo per i futuri oggetti che costruiremo per vivere, lavorare, e divertirci, sono complessi. Il mondo è complesso. Il sistema dei neuroni nel nostro cervello è complesso. I futuri dispositivi elettronici basati su, che so, su molecole organiche (compreso il DNA), nanotubi di carbonio o nanofili di semiconduttore sono oggetti complessi. E l’approccio “riduzionista” della fisica del ventesimo secolo non serve. Cos’è il riduzionismo? E’ spiegare il funzionamento della natura attraverso il minimo numero di equazioni, ridurre il problema all’osso, scarnificarlo. Tutto viene dalle interazioni tra le particelle subatomiche, studiamo quello e abbiamo in mano tutto. Einstein aveva un approccio riduzionista, per esempio. E Greg l’ha sempre pensata più o meno in modo riduzionista. Ward dice che insegnamo in questo modo nele aule universitarie, ma poi quando facciamo ricerca, è tutta un’altra cosa. Perché il riduzionismo non basta più. E lo studio sistematico (quello che fa Greg nel suo laboratorio) è utile, ma non è sufficiente. Perché per trovare delle cose veramente nuove bisogna avere le idee, e bisogna ragionare con la parte destra del cervello, e non la sinistra, che è riduzionista: Ward usa proprio questo esempio. Greg sobbalza. E’ colpito nel vivo. Il discorso di Ward dura 10 minuti, gli altri 20 sono per l’esposizione delle sue ricerche.
Più tardi, Greg è su uno dei punti di approdo dei battelli di questa bella ed un po’ asettica città nordica, la città dove si assegnano i premi Nobel. E’ un pomeriggio luminosissimo, come solo al Nord possono essere. La gradevole cantilena scandinava si mischia alle altre lingue, di turisti ed immigrati. La città storica sull’acqua, i marciapiedi puliti, le biondine che vanno e vengono con le borse dello shopping, l’orecchio al telefonino, o all’auricolare. Greg riflette su quello che ha sentito. Ward ha parlato, in un certo senso, di libertà, e di fantasia. Embrace complexity, abbracciate la complessità, è uno dei suoi slogan. La piccola Dharma in me sorride.
Landing…
The Cure-Friday I’m in love
Eva ne aprì un altro, dove c’era scritto: “Non credere a nulla di quanto ti racconterà quest’uomo”
Ecco come ebbe inizio la storia del nostro mondo!