Lungo Dicembre

E’ questo il titolo dell’ultima canzone dell’anno, dei Counting Crows. La metto su, la ascolto e penso all’anno prossimo. Alla voglia che ho di ricominciare a sentire linguaggi diversi, vedere facce diverse, e ritornare a viaggiare. Da questa piccola, bella e ricca città, penso ai luoghi che visto e vorrei rivedere, ed a quelli che spero di visitare per la prima volta. Forse quest’anno c’è il Brasile. Non vorrei mai fermarmi.

Berlino con i suoi palazzi alteri e gelidi
Parigi con i suoi abbracci luminosi
Liverpool con i suoi tramonti sfolgoranti
LA con le sue palme svettanti su un cielo rosso fuoco
E chissà quante altre.

Il lungo dicembre sta per finire,
un altro giorno sul Canyon,
un’altra notte a Hollywood
è tanto che non vedo l’Oceano
penso che dovrei.

Buone feste, miei cari, sole su di voi w

Pubblicato in Greg

Respiro

Slaccio la cintura ed esco dall’auto, l’aria fredda che respiro mi apre i bronchi intasati dalle tante sigarette che sto fumando in questo periodo. L’anno tramonta, i suoi tardi bagliori colpiscono i miei occhi. Mi porto la mano sopra la fronte e guardo in là, con un mezzo sorriso che piano piano spunta dal gelo. Imparo ed insegno come funzionano i laser, scrivo strane storie su due computer, sei mesi bene, sei mesi male. Ingrasso, dimagrisco come mai mi era successo. La schiena non mi fa più male. Sento, e respiro, come non mi accadeva da ere geologiche. E’ questo il lascito, l’eredità. Per sempre. Il mezzo sorriso diventa intero, incomincio a camminare come ogni mattino con il lettore acceso, questa musica nelle orecchie. Il traffico impazzisce a Natale, bip bip, me ne curo meno del solito. L’importante è respirare, e ancora ci riesco. E miglioro. Le storie si ripetono, il loop si chiude, indefinitamente. L’anno tramonta, l’anno sorge. Tutto può succedere, e succederà in meglio. Lo auguro a voi, e a me. Respiro.

Breathe some soul in me
Breathe your gift of love to me
Breathe life to lay ‘fore me
To see to make me breathe
(Midge Ure)

Pubblicato in Greg

How English…

Tell her I’ll be waiting
In the usual place
With the tired and weary
There’s no escape
To need a woman
You’ve got to know
How the strong get weak
And the rich get poor
Slave to love ooh
Slave to love
You’re running with me
Don’t touch the ground
We’re restless hearted
Not the chained and bound
The sky is burning
A sea of flame
Though your world is changing
I will be the same
Slave to love ooh
Slave to love
I can’t escape
Slave to love
Slave to love
Can you help me
Can you help me
The storm is breaking
Or so it seems
We’re too young to reason
Too grown up to dream
Now spring is turning
Your face to mine
I can hear your laughter
I can see your smile
No I can’t escape
I’m a slave to love

Cityhoppers: colonna sonora

Le storie dei cityhoppers (v. post precedente) hanno una colonna sonora: ecco la lista dei pezzi che ho messo su quando le ho pubblicate. Vado a braccio, non me li ricordo tutti. Alcune di queste canzoni hanno ispirato le mie storie, con risultati incerti. Ma la musica è bellissima comunque. E’ un mio parere, ovviamente.

Horst et Dom:
Carlos Santana & Mahavishnu John Mac Laughlin – Let us Go into the House of the Lord

Jamie à Paris:
Neil Young – Lotta Love
Norah Jones – More than This
Paul Weller – Wild Wood

Lettera d’Aprile:
Prefuse73 – Before the Storm

The Waterfront Stories (Edo):
Oasis – Champagne Supernova
Paul Weller – Thinking of You
Jimi Hendrix – All Along the Watchtower
Marvin Gaye – Ain’t no Mountain
Prefab Sprout – Cowboy dreams
Badly Drawn Boy – Something to Talk About

Infinite Loop:
The Gorillaz – El Manana
Counting Crows (feat. Vanessa Carlton) – Big Yellow Taxi

Cercherò di rimettere su tutti i pezzi in questo periodo, uno al giorno (più o meno). Oggi è il turno di Neil Young. Sun on you w

Gli occhi sul mondo

Così alla fine è morto in ospedale, nel proprio letto, senza passare nemmeno un giorno in galera. Barbaro sanguinario. 91 anni, più della vita media di un uomo. Ieri ho saputo la notizia della morte di Pinochet. E meno male che hanno deciso di non fargli i funerali di stato, anche se picchiano la gente che festeggia la sua morte. Gioia? Nemmeno un po’. Provo un sapore amaro, e pena per quello che successe in Cile negli anni ’70. E ricordo:
Quando ci fu il golpe in Cile, avevo tredici anni, mio padre mi spiegò. Incominciavo un po’ a leggere il giornale, ad informarmi. Altri tempi. Vidi le immagini dell’assalto alla Moneda alla TV in bianco e nero, con i caccia che sorvolavano il palazzo. Provai subito angoscia.
Dopo pochi anni vidi i film di Miguel Littin e ascoltai gli Inti Illimani, il Cile era in qualche maniera legato a noi, struggente paese all’altro capo del mondo, tanto dolore, tanta angoscia, paura. E sangue.
Nella nostra scuola proiettarono un documentario in bianco e nero sul golpe, sul ruolo degli americani in quel misfatto. Sparizioni e torture. Vidi ragazze della mia età piangere.
Nefandezze ne sono state compiute tante, nella storia, ma questa mi ha lasciato un ricordo più di altre. Mi ha fatto aprire gli occhi sul mondo. E il mio pensiero va là, in un paese dove non sono mai stato, ma che ho riscoperto ieri essermi vicino.

Pubblicato in Greg

Lonely lounge

Questa canzone ed il post anticipa la storia che ho pensato e che non riesco a scrivere, per molte mancanze: tempo, concentrazione, voglia.

Infinite loop: intro
Sale di attesa di aeroporti, in Sabati invernali. Attese interminabili, seduto davanti alla vetrata che dà sulla pista, scende il buio, luci ad albero di Natale che si accendono. Gente silenziosa stravaccata, manager con la cravatta allentata bevono boccali di birra al bar, commentando le notizie che vedono alla TV nell’angolo in fiammingo, inglese, tedesco. Camerieri annoiati al banco con occhi che sognano palme. Libri tascabili spiegazzati appoggiati su poltroncine, scie di profumo lasciate da assistenti di volo che ticchettano verso le uscite. Stranded. Chiamate che sembrano non arrivare mai, mentre la sera scende sul non luogo, privo di fauna d’estate in camicie a fiori e occhiali da sole. Cioccolatini belgi, essenze francesi, elettronica cinese accatastati nelle vuote botteghe delle meraviglie. Miglia accumulate e non spese, computer portatili collegati verso l’infinito che non ascolta, chitarre elettriche che fanno capolino da auricolari inascoltati. Soli, sole, solo. La chiamata arriverà. Verso casa. Casa.

Magnolia

“Senti, ma le magnolie fioriscono a primavera?”
“Certo W, questa qui è un po’ strana, i suoi fiori sono enormi, si dischiudono molto tardi e marciscono subito, più in là ce n’è una piccola che sta fiorendo adesso.”
Vado e constato che la magnolia è proprio lì, dove ha detto mia moglie.
“Te lo ricordi Magnolia, il film? Io l’avevo visto al cinema senza di te, e poi ho comprato la cassetta.”
“Uh, oh, ah sì W, vagamente”.
“E questa canzone, Magnolia, l’hai sentita mai?”
“No, ma c’entra col film?”
“No, non c’entra niente.”
“E’ Neil Young che canta, vero W?”
“No, sono i Poco, West Coast anche loro, famosetti ai loro tempi. “
Più tardi, ad una delle tante sagre del I maggio (una per ogni paesino del Carso), i miei amici parlano delle multinazionali farmaceutiche. Odore di cevapcici alla griglia, la musica della banda, bandiere rosse. Ho visto anche quelle della Yugoslavia, appese alle finestre. I figli scorrazzano da qualche parte. Sono nell’Est, ma penso all’Ovest. Penso a Magnolia, una canzone di J.J. Cale, ma la versione nel mio cuore è quella dei Poco. Chitarre sospese, pedal steel guitar che volteggia nell’aria, arrangiamento un po’ barocco, terribilmente sentimentale. Violini e sax in finale. W si pensa su una decappottabile che va su una di quelle highways dritte come fusi verso l’infinito, non guida lui, no, lui guarda in alto il cielo e allarga le braccia per sentire il vento.
…mente a Est, cuore a Ovest…
Love, w

(Maggio 2005)

…e per chi volesse, si possono ancora sentire i Procol Harum. Basta mettere in pausa Magnolia, e accendere i Procol. Love w