Legacy

Nel 1985, durante il mega concerto planetario di beneficenza Live Aid, organizzato da Bob Geldof, Elvis Costello cantò “All you need is love” da solo, accompagnandosi con la chitarra elettrica. Nella presentazione, la definì “an old northern English folk song”, una vecchia canzone folk del nord dell’Inghilterra. Sto rivedendo il filmato, è splendido per la passione di Elvis e la partecipazione del pubblico di Wembley. 1967, 1985, 2006, che importanza hanno gli anni, il tempo. Nessuna, di fronte a questo filmato, di fronte a questa canzone, di fronte al mio essere allora ed adesso. Quando ci fu Live Aid, ero a Parigi, e non potei vedere che alcuni spezzoni del concerto, in un bar. Non avevo la televisione, fuori i Parigini celebravano la festa del 14 Luglio, l’anniversario della Rivoluzione che predicava Libertà, Uguaglianza, Fratellanza. E sono le note della Marsigliese che aprono la versione originale della canzone dei Beatles. I versi sono come una filastrocca,

Non c’è niente che tu posa fare che non possa essere fatto
Non c’è niente che tu possa cantare che non possa essere cantato
Niente che tu possa dire se non imparare a giocare il gioco
E’ facile
Tutto ciò di cui hai bisogno è amore

e così via, il messaggio è chiaro, semplicissimo, la vecchia canzone folk del nord dell’Inghilterra, composta ed eseguita da quattro ragazzi provenienti da una città dura e difficile come Liverpool, riassume in sé il desiderio e la speranza non di una generazione, quella del ’68, ma di tutte le generazioni di ragazzi, e perché no, di adulti che comunque sono stati ragazzi. Ce lo dimentichiamo, gli anni scorrono, 1967, 1985, 2006, ma è tutto lì, in queste parole. Mi sono chiesto spesso, l’amore basta? E’ sufficiente? L’amore è una cosa enorme e piccolissima, facile e complicata come la canzone. Ma il bisogno c’è, e talvolta è disperato, anche se spesso facciamo finta di non accorgercene. Le maschere che indossiamo, nella vita di tutti i giorni, talvolta saltano, e in alcuni momenti possiamo vedere il bisogno scolpito sulle nostre vere facce.
I Beatles andarono via presto da Liverpool, quando diventarono delle stelle planetarie, persero anche il loro accento originario, molto forte nei loro primi filmati, quasi inesistente ora nelle interviste a Paul Mc Cartney. Forse la legacy, l’eredità dei Beatles e di tutte le loro splendide canzoni, di tutto il loro mondo, è contenuta in All you need is love, e qualcosa delle loro radici in quella città è presente, lo sento quasi a pelle. Vi traduco la seconda strofa, che a me sta particolarmente a cuore in questo momento

Niente che tu possa fare che non possa essere fatto
Nessuno che tu possa salvare che non possa essere salvato
Niente che tu possa fare se non imparare ad essere tu nel tempo
E’ facile
Tutto ciò di cui hai bisogno è amore

L’ultima volta che ho visitato Liverpool è stato nel 2002 e la città è cambiata, ovviamente, da quando ci andai per la prima volta, nel 1989. Liverpool è più continentale, sta rinascendo, ma il vento sul Mersey ed i tramonti di una luce sfolgorante sono gli stessi, così come i mocciosi dai capelli cortissimi che giocano a calcio nei parchi. Come mi ero ripromesso, ho scritto un po’ di loro, un po’ di una città difficile da amare, ma da me amata come un paio di blue jeans vecchi e comodi, e un po’ di me. Sono un po’ emozionato in questo momento, perché è la mia vita, e ve ne faccio partecipi. Adesso mi accenderò una sigaretta e mi rivedrò il video. Che il sole splenda su di voi, come spesso scrivo, all you need is love w

Revolution

Liverpool è piegata da una crisi pluridecennale, il porto è andato in malora molto tempo fa, la città non ha più una sua identità. La popolazione si sta inesorabilmente riducendo, è povera, la microcriminalità dilaga da molti anni. Vi sono quartieri fatiscenti, abbandonati. C’è un segno di rinascita e di speranza, da qualche tempo, ma gli anni 70, 80 e 90 sono stati terribili. Il resto del Nord dell’Inghilterra versa più o meno nello stesso stato, Birmingham, Sheffield (ricordate Full Monty?), Newcastle ed in parte Manchester sono in condizioni non meno gravi. Ma i Liverpudlians (così si dice) hanno un gran senso dell’umorismo, sono molto di sinistra anche se disincantati. Un prof. col quale collaboravo era un membro del Labour Party, non certo il new labour di Tony Blair, ma quello dei dockers, che usava la parola socialismo senza vergonarsene. Mi invitò ad un party assieme ad altri miei colleghi, in una grande casa bellissima e disordinata, tipica di un accademico inglese. C’era un telescopio che troneggiava al centro di una stanza, mi ricordo. Ovviamente, usò le canzoni dei Beatles come colonna sonora. La canzone che ho scelto per oggi è Revolution, un rock’n’roll di John scatenato, dai versi molto dissacratori. Parla del ’68, e della rivoluzione. E dice di stare attenti, di non odiare, di non predicare violenza. Sono d’accordo con voi, fratelli, cambiamo il mondo, ma state attenti ai maestri cattivi. Parole controverse, recitate da un cantante già ricco e famoso, ma forse non meno vere. Godiamoci il rock’n’roll, facciamo festa e pensiamo con la nostra testa. Love w

Occhi di caleidoscopio

Ho una cartolina col ritratto di John Lennon, che spunta da una stampa appesa nel soggiorno della mia casa.La stampa ritrae il waterfront di Liverpool, una vista della città dal fiume Mersey (potete vedereuna visione notturna del waterfront nella foto emblema del mio blog). Un mio zio in visita la chiamò ironicamente “il santino”. John, l’anima più hippy e dissacratoria dei Beatles, tenero e ribelle, visionario ed ironico, innamorato. Innamorato e basta. Si sa, Paul e John firmavano quasi tutte le canzoni dei Beatles, ma c’erano le canzoni di Paul e le canzoni di John. Io credo che fra loro ci fosse una specie di competizione artistica, ed una sintesi. George Harrison (soprattutto) e Ringo Starr mantenevano l’equilibrio. Ripeto, queste sono solo mie idee personali, non ho letto biografie, non mi sono documentato. Sono solo mie impressioni. John ebbe un’infanzia difficile, a quanto so, e da studente d’arte si trasferì in un appartamento, o una camera, non so bene, in un grande, vecchio palazzo che dà sulla cattedrale anglicana, imponente e minacciosa nel centro città. La cattedrale ed il palazzo storico sono su una collina dal quale si vedono dei quartieri desolati, i vecchi docks e il mersey. L’asilo nido di mia figlia era situato in un palazzo simile, molto vicino alla cattedrale, e passavo in macchina accanto a questi luoghi, quando la portavo prima di andare a lavorare, o la riprendevo a fine giornata. Quel quartiere mi piaceva, le case in stile georgiano, silenzioso, poco traffico, anche per gli standard della città. Sto divagando un po’, i miei ricordi mi portano un po’ lontano dall’argomento, che sono le canzoni di John cioè quelle canzoni dei Beatles che considero di John. Ho scelto Lucy in the Sky with Diamonds, tra le molte, per la sua poesia e le sue visioni. Immaginati su una barca su di un fiume, con alberi di mandarino e cieli di marmellata d’arancia, così recitano i primi versi. L’andamento della musica mi evoca cerchi colorati, spirali che salgono nel cielo, e anch’io vorrei cercare la ragazza con gli occhi di caleidoscopio, brillanti come il sole. Sì, LSD, droga, viaggi indotti dall’allucinogeno, ma la forza dei versi è incredibile, il refrain rock quasi ballabile, alternato ad un andamento lento ed evocativo. Era solo il 1967, ragazzi, io avevo sette anni. Ed era un ‘esplosione, una rivoluzione. Altro non riesco a scrivere, se non che spero, stanotte, di sognare di prendere un taxi fatto col giornale, e di trovarci seduta la ragazza dagli occhi di caleidoscopio. Un pensiero per John, e per George, che non ci sono più. Love w

Penny Lane

Ho incominciato a scrivere sul blog quasi due anni fa, ed uno dei primi post che mi venne in mente fu su Penny Lane. Per imperscrutabili motivi non l’ho mai scritto, ma stasera ho deciso: lo faccio. Abitavo non lontano dalla strada celebrata da una delle più straordinarie canzoni concepite ed eseguite dai Fab Four. Ovviamente ci sono stato, più di una volta. John e Paul abitavano in zona, e descrissero in modo surreale e reale al tempo stesso questo non luogo del British suburbia. Il barber shop, la banca, il negozio di fish’n’chips, era più o meno tutto lì, forse per esigenze turistiche, chissà. Ciò che mi colpì di più è che la strada non è niente di speciale. Niente monumenti, niente viste particolari, niente suggestioni. Villette e terraced houses anonime. L’unica particolarità è una residenza per studenti universitari. Non doveva essere molto diverso 50 anni fa, quando i due geni della musica pop , giovanissimi, la frequentavano. Ma la forza della canzone per me sta proprio in questo. Il luogo è anonimo, e viene riempito di emozioni e suggestioni da una canzone straordinaria, godibilissima e raffinata al tempo stesso. Orecchiabile, ma non banale. Sorridente, nostalgica ed ironica, unica. E gli arrangiamenti sono forse il punto di forza della loro musica . Nessuno sapeva assemblare canzoni come loro. Il beat dei primi tempi è ancora lì, ma c’è molto, molto di più. I caratteri descritti (il barbiere, il pompiere, il bancario in moto e la vecchietta che vende papaveri) sono un po’ eccentrici, molto british, molto tipici. Il senso dell’umorismo è molto presente in tutte le canzoni dei Beatles, in questa particolarmente. Dopo il mio lungo soggiorno in Inghilterra, comprai il CD di Sgt. Peppers, (l’album è dello stesso periodo) e riscoprii i testi. Li leggevo con occhi un po’ più “inglesi”, e sono pieni di sottigliezze che a uno straniero che non ha mai vissuto lì sfuggono. Penny Lane è una celebrazione di un mondo, una atmosfera “suburbana” molto inglese, ma universalizzata. Colorare il grigio di suburbia, passare dei pennelli vivaci e trasformare il tutto in un sogno vivido, reale, pieno di speranza e di umorismo. Questo è il miracolo di Penny Lane. Forse sono stato banale in questa piccola celebrazione, molti hanno scritto meglio di me sull’argomento, posso solo aggiungere che Penny Lane, e Liverpool tutta, è nelle mie orecchie, nei miei occhi e anche nel cuore.

Penny Lane is in my ears and in my eyes.
There beneath the blue suburban skies
I sit, and meanwhile back

Love w

Blackbird

Quando vivevo a Liverpool, passavo dei periodi in cui lavoravo molto duramente. Spesso facevo turni di notte, nel grande laboratorio dove compivamo i nostri strampalati esperimenti. Così, mi capitava di passare le sere non nei locali pieni di girls con occhi azzurri e capelli biondi, bensì attaccato a schermi di computer, o cercando di fare funzionare strumenti molto capricciosi. Durante un’estate feci una sessione di turni particolarmente pesante, per molte settimane. Arrivavo a casa quando era ancora buio, se ero fortunato, o più spesso quando era già giorno da un pezzo. Il mio appartamento era ricavato nel sottotetto di una vecchia casa, con uno splendido giardino. Una rampa di scale chiusa da una vetrata dava sul prato sottostante, ed ogni mattina un merlo si affacciava dal vetro. Eravamo diventati amici. Il richiamo alla canzone Blackbird, dal doppio album bianco dei Beatles, mi viene naturale. Il piccolo uccello che deve imparare a volare nella notte:
“…take these broken wings and learn to fly…”
Uno dice: vai all’estero, impara a volare. Scopri il mondo. Città nuove, luoghi affascinanti. Ma c’è un rovescio della medaglia: la solitudine. Un paese sconosciuto, una lingua che non è la tua (e vi assicuro che capire l’inglese dei liverpuliani non è facile). La solitudine mi accompagnò a lungo, nei miei soggiorni all’estero. E se lavori tanto, è dura. Orari irregolari, stanchezza, e tutti i problemi quotidiani da risolvere, da solo. Poco tempo per hobby, sport, vita sociale. Così il piccolo merlo si è indurito, ha imparato a volare, ma la malinconia ha scavato una tana in lui, da dove esce ogni tanto e lo avvolge, come la nebbia inglese. Love w

Cuore d’acciaio

Questa è la prima canzone dei Beatles. E va bene, non sono un beatlesologo, uno di quelli che sa tutto, che ha tutti i dischi, ha i gadgets, va ai raduni etc. ma ho vissuto nella loro città di origine, a due passi da Penny Lane, e ho respirato la loro aria. Ovviamente li conoscevo già da prima, e mi avevano già dato tante, tantissime emozioni. A 13 anni mia madre mi comprò lo stereo, accompagnandolo con la raccolta Beatles 1967-70 ( il doppio disco blu, per intenderci). Credo di avere imparato l’inglese sui testi delle copertine. Lo stereo è stato rottamato, mia madre non c’è più, ma il disco ce l’ho ancora. E suona, perchè ho un “nuovo” impianto stereo che mi permette di leggere il vinile. Ok, detto questo, parliamo di I saw her standing there. L’ho sentita (già scritto, mi ripeto) cantata in coro da vecchietti al Flanagan’s Apple, in Matthew Street, la strada dove sorgeva il Cavern. Il vecchio Cavern è stato demolito, il nuovo sorge un po’ più in là, sulla stessa strada. Il beat di I saw her standing there (che suona ancora benissimo) mi fa pensare alle seguenti cose:
mattoni rossi;
vento sul Mersey;
Sabato sera in centro città, una città sporca e desolata dal cuore d’acciaio rugginoso, che pompa vita, energia e umorismo;
ragazze con capelli cotonati e cappottini corti, di foggia povera.
Le loro nipoti hanno un look diverso, ma lo stesso spirito. Battuta pronta, energiche, il sabato sera bevono un po’ di booze a casa per tirarsi su, si vestono con abiti succinti, senza calze con qualsiasi tempo ed in qualsiasi stagione, e sciamano in gruppi, pronte all’azione. Si lasciano andare, nei locali, i boys con camicia abbottonata fino al colletto le scrutano, con una Beck’s o una Corona in mano, e qualche volta la scintilla scocca. 40 anni dopo il beat di questa canzone, il cuore di acciaio di Liverpool batte ancora forte, il Sabato sera. Provare per credere. Love, w

Postcards from nowhere 3

Ho combinato una cappella in laboratorio. Niente di grave. Smontare e rimontare, al solito.

La mia macchina è ufficialmente morta. Solo bici.

La nebbia sta arrivando. Per ora è pioggerellina.

Liverpool, Parigi, Berlino, Trieste, Roma, San Francisco. Vorrei avere un mazzo con queste carte, sceglierne una a caso, e andare (tornare) lì.

Prendo il caffè come la signora col cappello che vedete. Immagino che lo stato d’animo sia lo stesso. Mi piace Hopper. Mi sa che userò un po’ dei suoi quadri. Gli chiedo scusa.

Edo, Claire, Elaine, Jamie, Tim, Horst, Dom, Manolo. Se ci siete, battete un colpo. Ritornate.

Dove sono? Il tomtom non funziona più.

Grazie fiammelle. Love, w

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Verrà

Verrà il giorno in cui mi alzerò dal letto sorridendo. Preparerò la colazione per me e mia figlia, senza troppi patemi. Mi raderò prendendomi tutto il tempo che voglio, canticchiando questa canzone. Mi farò la doccia e mi verrà un ‘idea per una bella storia, una bella vacanza, un buon progetto di lavoro. Verrà il giorno nel quale mi fumerò una sigaretta seduto sugli scalini del mio istituto senza i soliti pensieri scuri, guardando gli studenti che sciamano da un edificio all’altro, senza invidiarli troppo. Che ricomincerò a leggere il giornale senza interrompermi perché penso ad altro, che riuscirò a vedere il Film Bianco di Kieslowsky senza dovere smettere perché fa troppo male. Verrà il giorno che ricomincerò a lavorare senza interrompermi continuamente perché non riesco a concentrarmi, senza questo dolore che mi batte nel petto e nella testa. Che non sarò costretto a prendere l’EN per dormire. Qualunque sia il tempo, pioggia, neve, nebbia o sole, starò di nuovo bene. Mi metterò le cuffie dell’ipod e mi sentirò i Led Zeppelin, mentre torno a casa in bici dal lavoro, cantando a squarciagola come un matto. Verrà il giorno che andrò a sciare sulla Gran Risa, o che mi tufferò nel mare della Croazia, solo per il piacere di farlo, e non per scacciare le nuvole dentro. Senza che l’assenza di qualcuno mi pesi come un macigno. Senza i rimorsi e la sensazione di condanna che provo continuamente, Verrà il giorno che scriverò sul blog come facevo agli inizi, e sarà una festa. La nebbia sta per arrivare, lo stato di grazia non c’è più, ma il sorriso è dietro l’angolo. E’ solo colpa mia, è una cosa insensata, e sta a me uscirne. Love, w

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Acquario

Se avessi una casa un po’ più grande mi piacerebbe avere un acquario. Mi piacerebbe passare un po’ di tempo a guardare pesciolini multicolori che nuotano in un blu luminescente, nella stanza illuminata solo dalle lampadine nella vasca. Un pesce pagliaccio che si nasconde dentro una piccola caverna artificiale, un cavalluccio marino che mi guarda attraverso il vetro. Mi sentirei come l’uomo dalle ossa fragili che guarda quelle strane e deliziose immagini nella videocassetta che gli ha regalato Amelie. Luci e colori silenziose nella penombra, il piccolo Nemo che mi sorride, mentre mi allontano dal vacuo fragore del mondo che si avvita in spirali senza senso. Love, w
(Settembre 2005)

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Postcards from nowhere 2

Ieri sul Carso soffiava la bora. Le foglie stanno diventando gialle e rosse. Mi manca la bora, mi mancano i Krantz di Magda la mattina. Mi manca il freddo secco.

Ho portato mia figlia a visitare la sua ex-scuola. Un edificio incantevole, in mezzo al verde. I bambini le sono corsi incontro, la maestra ha interrotto la lezione. Sono stato là, mezz’ora, seduto su una piccola sedia, a vedere i bambini giocare a tombola in classe. La squadra di mia figlia ha vinto. La maestra mi ha chiesto: “ce la riporterà per l’anno prossimo?” Mi sono messo gli occhiali scuri appena comprati al Kompas Shop di Fernetti. Non sono riuscito a rispondere per la commozione. E’ stata una delle mezz’ore più belle della mia vita

Mia figlia mi ha portato a vedere lo stagno nel parco dietro la scuola. Niente girini, niente rane, con suo disappunto. In tutti gli anni che sono stato là non avevo mai trovato il tempo di andarci.

Il motore della mia macchina si è rotto in autostrada, mentre stavamo tornando a casa. E’ arrivato il carroattrezzi e ce l’ha portata in una autofficina sperduta in Veneto. Siamo stati là un po’, io e mia figlia, ad aspettare che mia moglie ci recuperasse. Da una villetta accanto all’autofficina una bambinetta è spuntata con un cane pastore. Voleva giocare con mia figlia. Povera, sperduta nel nulla della bassa.

Sono qui, nel mio ufficio, a preparare la lezione. Fra un po’ vado a pranzo. Non so se domani andrò in palestra, non ho la macchina. Forse sì, in bici.

Vorrei che Mary Poppins venisse da me con una scatola, io la aprirei e ne uscirebbero tutti i colori del mondo.

We never leave the past behind
We just accumulate

Love, w

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Mercoledì…

….un sogno che ho nel cassetto da qualche mese forse si avvererà…

…ricominciare dopo venti anni. Me ne fotto della schiena, me ne fotto dell’età. Ce l’ho ancora il mio judoji, i miei zoori, la mia cintura. Mi ricordo ancora un sacco di cose. E quando ho visto mia figlia salire sul tatami, e fare il rei, il fuoco è divampato. Fatemi gli auguri. Love, w

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Cousin Joe non abita più qui

La giornalaia filippina mi guarda con un sorriso molto appropriato per questa bella Domenica di Ottobre, mentre le chiedo i soliti quotidiani e, naturalmente, Topolino per mia figlia. E’ già ora di pranzo, ma noi mangiamo sempre un po’ tardi, vogliamo andare a prendere l’ aperitivo al bar, dove pasteggiamo prima del tempo con degli gnocchetti fritti. Ma prima di andare via dall’edicola, il mio sguardo si posa su un DVD, The essential Clash. Guardo mia moglie, che stringe le spalle, e cedo alla tentazione, per 12 euro e 90 lo prendo. Quando torno a casa per pranzo, lo metto su, ed accendo lo Stereo collegato al lettore. Clip: London Calling, così antico che l’ho visto per la prima volta al cinema e non in TV, in una rassegna dedicata al punk. Il filmato è girato sotto la pioggia, di sera, loro suonano tutti bagnati su un barcone che galleggia sul Tamigi. Si intravede qualche scorcio della città, Joe Strummer, il cantante, porta un cappello nero a falde larghe. Altri video (molti girati dal vivo) sono Career Opportunities, Should I stay or should I go, un’altra versione live di London Calling (qui Joe stecca clamorosamente l’attacco), Radio Clash, dai tempi del loro successo in America, e la grandissima Rock the Casbah. Sono magrissimi, vestiti di nero, suonano sotto un pozzo di petrolio. Joe ha una capigliatura alla mohicana e indossa una Kefiah sul giubbotto di pelle nero, Mick Jones ha un berretto da sandinista. Un armadillo atraversa la scena, un arabo beve alcolici (credo) ballando nel deserto, jet militari che sfrecciano nel cielo. Erano tempi di guerra, già, Libano, Libia, Afghanistan, Iraq-Iran, Nicaragua, Salvador etc. E poi dicono che gli anni 80 erano frivoli, gli happy eighties. Adesso è lo stesso, sotto i nostri sciocchi sguardi occidentali. I Clash, dei veri rockers. Dub ‘n’ punk, il reggae fa ballare, ma le chitarre sono rock, Joe ci da’ dentro con la sua voce sforzata, mia moglie dice sottovoce: “sembra impossibile che sia morto”. Quando lo dice, penso a lui come ad uno di famiglia, un cugino un po’ più grande col quale mi ero perso di vista, e la notizia della sua morte, che avevo letto su Internet nel Natale del 2002, è stata difficile da accettare. No, non è vero, que viva Sandino. This is Radio Clash.
(Ottobre 2005)

….non metto su Rock the Casbah, preferisco Should I stay or should I go, più appropriata…
(Ottobre 2006)

Postcards from nowhere

Il sole è ancora caldo, la nebbia tarda ad arrivare. Meglio così.
Oggi ho sentito la prima canzone dei Beatles. Al Flanagan’s, il pub irlandese vicino al Cavern, in Matthew Street, i vecchietti con la birra in mano la cantavano a squarciagola. La memoria, che brutto affare.
La bilancia mi dice che sono dimagrito di 11 Kg. Sarà vero?
Sono arrivato ad un pacchetto al giorno.
I capelli bianchi sulle tempie mi spuntano come funghi.
Sabato vado in Slovenia.
A lezione mi sono sfiancato in una dimostrazione matematica estenuante. Corso nuovo, difficile. Studenti: sei. Ma sono delle perle.
Ricomincerò a praticare lo Judo?
Lo stato di grazia non c’è più.
Il cuore batte ancora, forte.
Giovedì era il compleanno di Something, dei Beatles (George Harrison). Oggi però è un altro giorno. E io aspetto ancora lo space cowboy…

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ventiminuti 3

La scorsa notte ho dormito tre ore. Capita. Il mio umore non era dei migliori stamattina. Poi il rush per accompagnare mia figlia a scuola. Sbrigati, sbrigati, sbrigati… la parola più usata da me negli ultimi tempi. In tempo, sì, in tempo, raramente facciamo tardi. Gli zainetti multicolore entrano, io mi volto e ritorno alla macchina. E i ventiminuti dalla scuola all’ufficio, sempre quelli. Ieri, oggi, domani. La radio locale che sento da quando vivo e lavoro qui mi regala questa perla. Why can’t we live together. I colori cambiano, i fiori risbocciano, il sole splende più vivo. L’organo a scatti, le percussioni, che meraviglia. Tutto assume un altro aspetto. Ed io che mi dico: adesso la metto su, non posso farne a meno. E’ quello che ho fatto. Buongiorno miei cari. Love, w

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…how English…


As the rain comes down, upon this sad sweet earth
I lie awake at nights and – think about me
All those usual things like what a fool I’ve been
I curse the awful way – that I let you slip away
For what was forged in love, is now cooling down
With only myself to blame for playing that stupid game
I thought I need only call and you would run
But that day you never showed honey – well I sure learnt –

That it seems I need you more each day
Heaven knows why that it goes that way –
Now it’s far too late – an’ I’ve lost this time –
Like the Boy who cried Wolf

An’ yes – I know it’s far too late
To ever win you back –
No tale of nightmare’s at my gate –
Could make you turn –
My lost concern

And now the night falls down, upon my selfish soul
I sit alone and wonder – where did I go wrong?
It always worked before you kept the wolf from my door
But one day you never showed and honey – Now I’m not so sure –

That is seems I need you more each day
Heaven knows why that it goes that way –
Now it’s far too late – an’ I’ve lost this time
Like the Boy who cried Wolf