Giovedì col Bardo

Anche questo è un post di un anno fa.

Giovedi’ scorso e’ stata una giornataccia, e ancora ne sento le conseguenze. 300 Km e passa in macchina, arrivo trafelato al mio dipartimento, subisco un cazziatone dal mio capo (e in parte ha anche ragione lui). Poi 3 ore a fare lezione ad una marea di studenti, fino alle 7 di sera. Perfino il post, che scrivo esausto alle 19.30 dal mio ufficio, per rilassarmi, non mi riesce tanto bene. Torno a casa, e dopo una frugale cena e due birre, tiro fuori una videocassetta. Il film e’ “Romeo + Juliet”, di Baz Luhrmann, ho un’edizione in lingua originale perche’ l’ho comprata quando stavo in Inghilterra. La prima volta ho visto il film in un cinema multisala di Liverpool. Era una serena e lunga serata d’estate, il sole era ancora ben lungi dal tramontare, nonostante fossero le 9 di sera. La sala era piena di ragazzine con coda di cavallo, eta’ max 16 anni circa. E grazie, c’e’ Leo Di Caprio che interpreta Romeo, allora era gia’ una star mondiale delle teenager. Il film e’ un misto di generi, la tragedia di shakespeare calata in una guerra tra gang rivali di una non meglio precisata citta’ balneare americana, Verona beach (Venice di Los Angeles?). Fin qui non e’ una novita’, pure West Side Story era piu’ o meno cosi’. Quello che colpisce subito e’ che effettivamente i protagonisti recitano i versi del Bardo, anche se con accento americano, italiano, latino. Il ritmo e’ velocissimo, l’ambientazione iperrealista, due aggettivi mi vengono in mente per quest’opera: incendiaria, visionaria. Un terzo e’ kitsch, ma non sempre il kitsch e’ un male. Il film mi piacque moltissimo. Alcune scene mi erano rimaste cosi’ impresse che ancora le ricordavo, prima di rivederlo in TV dopo un po’ d’anni. La scena piu’ bella (si sa, sono un sentimentalone) e’ quando Romeo-Leo e Juliet-Claire Danes, luminosi e dolcissimi, si vedono per la prima volta attraverso un acquario, durante la festa alla quale Romeo si e’ imbucato. Gli sguardi che si incrociano mi mossero, e mi muovono ancora adesso, qualcosa dentro, e’ come un lento, dolce vortice. Altre scene sparse. La morte di Mercuzio su una spiaggia con colori post-atomici, l’ingresso di Romeo nella chiesa dove e’ stata portata Juliet (finta) morta, con croci al neon bianco-blu che danno una luce gelida e rovente al tempo stesso. Vedere film cosi’ e’ un modo per resistere ai colpi della quotidianita’.

Lost and found

Sto recuperando alcuni post vecchi ai quali mi sono affezionato, dopo avere improvvidamente cancellato il mio blog. Scusate se mi ripeto.

Bob (Bill Murray), sdraiato sul letto, parla di se’, di sua moglie e dei suoi figli con Charlotte (Scarlett Johansson), in una camera d’albergo 5 stelle a Tokio. “I’m stuck”, sono bloccato, dice, non so che fare di me. Non sei il solo, amico, pensa weller con la sua solita sigaretta tra le dita, sdraiato sul divano davanti al video. Eppure i due non fanno e non hanno fatto quello che in altri film farebbero. L’unico contatto fisico in questa scena e’ una carezza di Bob al piede di Charlotte, poi i due si addormentano. Il film e’ tutto cosi’, una tensione continua fra i due, un po’ come una gara di battute sagaci (alcune di Bob sono grandiose), carezze con gli sguardi, sorrisi. I due sono in una citta’ estranea, non capiscono la lingua, la cultura ed i costumi locali. Sono letteralmente persi, e riflettono su di loro, non stanno tanto bene, no, decisamente. Bob ha la scontata crisi della mezza eta’, e’ in fase da “acquisto Porsche”, Charlotte (semplicemente meravigliosa Scarlett) non sa che fare nemmeno lei, sposata giovanissima che accompagna un odioso quanto assente marito fotografo, le sue prospettive sono a dire poco incerte. C’e’ una differenza d’eta’ fra i due protagonisti che sembra un abisso incolmabile, eppure la scintilla scocca lo stesso, si intendono e si avventurano nella pazza Tokio . Weller non puo’ che tifare per Bob, vai Bob ale’ ale’, metterebbe gli striscioni sugli spalti e suonerebbe i tamburi. Scene a 4 stelle (una di meno dell’albergo, va’):
Il Karaoke a casa di amici, con Charlotte scatenata in parrucca rosa che canta “Brass in my pocket” dei Pretenders, Bob invece, sguaiatissimo, sceglie “More than this” di Brian Ferry. E secondo me e’ li’ che la scintilla scocca, in quel preciso istante.
Le telefonate tra Bob e la sua moglie. Si sente dal telefono la moglie chiedere ad uno dei figli “vuoi parlare con papa’?”, ed e’ perfettamente udibile la risposta, “NO”. “E’ in un’altra stanza”, dice la moglie a Bob.
La gita fuori porta di Charlotte in un Giappone incantevole (non si sa quanto reale) e cosi’ diverso da quel mostro che e’ Tokio.
Ho noleggiato un gioiellino, pensa weller, e riflette su di se’ in questa strana stagione blog.

Mohamed

Questo è un vecchio post. L’ho recuperato. La strada esiste, la potete cercare qui sotto.

Il telefono squilla, ma che ora e’? Troppo presto, ho dormito male, sono rientrato dal lavoro cosi’ tardi che ormai era giorno, l’alba di una qualsiasi Domenica estiva inglese. Il mio amico merlo era gia’ li’, sulla finestra dell’ingresso, sembrava che mi stesse aspettando. E’ una settimana che lavoro alla macchina, su un esperimento, assieme ai miei colleghi. Abbiamo un paio di giorni di break, finalmente. Guardo la mia radiosveglia, le cifre luminose ballano davanti ai miei occhi, le 9.30. Alzo la cornetta, e’ mia madre per i soliti saluti settimanali. No mamma, non ti preoccupare, non mi hai disturbato, si’ sto bene, poi si parla dell tempo, notizie varie dalla famiglia. Riattacco e mi rigiro sul letto. Niente da fare, provo a riaddormentarmi per un’oretta, poi getto la spugna e mi alzo. La schiena non mi fa piu’ tanto male, ma ancora si fa sentire. Sono due anni che ho avuto un’ernia del disco, ho provato cosi’ tanto male certe volte da piangere, ma il mio spartano dottore inglese continuava a ripetermi che l’operazione era inutile, e che sarei piano piano migliorato. Era vero. Doccia, colazione con caffe’ Lavazza, cornflakes, succo d’arancia. Mi vesto, e’ ora che vada a comprare qualcosa da mangiare. Niente supermercato, giusto qualcosa per sopravvivere per i prossimi giorni. Per fortuna abito a due passi da Lark Lane, una strada di Liverpool un po’ particolare, vicino a Sefton Park, all’inizio di un grande quartiere chiamato Aigburth. Nonostante sia lunga solo trecento metri o poco piu’, e’ un concentrato di negozi, di pub e ristoranti. Difficile elencarli tutti. C’e’ un meccanico (specializzato in macchine d’epoca, ci ho visto anche una Rolls Royce), tre o quattro pub, negozi di alimentari vari, ristoranti greci, italiani, francesi, messicani, off licence. Popolazione giovane, studenti, gente un po’ alternativa, “il paradiso dei lettori del Guardian” (giornale di sinistra), come mi sembra di avere letto una volta in una guida. E poi ci sono loro, i corner shops. Ce ne sono tre, vendono giornali, sigarette, ma anche generi alimentari. E sono aperti sempre, fino a sera e durante le feste. Sono la mia salvezza nei periodi di lavoro intenso. Non sono gestiti da indiani, questi, no, ma da medioorientali. C’e’ l’egiziano (come lo chiamo io) dal quale mi servo principalmente per gli alimentari, i libanesi (scomodi ed antipatici) e poi c’e’ Mohamed. Dopo avere comprato un po’ di roba dall’egiziano, vado da lui per comprare il solito giornale della domenica. Mi piace andare da lui, perche’ e’ veramente un personaggio. E’ massiccio, corpulento e con l’immancabile barba da musulmano praticante, sulla quarantina. Ho dei sospetti sulle sue origini, non parla con accento esotico, ma col “twang” tipico dei liverpuliani, e porta fieramente due occhi azzurri dolci e penetranti al tempo stesso. Forse e’ un inglese convertito? Ha una moglie pakistana o qualcosa del genere, velo nero che lascia il viso scoperto, un uccellino all’ingresso del negozio ed un tot di figli, bambini di eta’ varie che ogni tanto spuntano dalla porta sul retro del suo negozietto, che comunica con la sua abitazione. Chiacchieriamo sempre un po’, immagino che la gentilezza sia parte del suo modo di interpretare il suo lavoro. Qualche volta mi dice delle cose che mi lasciano stupefatto. Una sera mi guarda dopo avermi dato il resto delle sigarette che ho appena pagato, e mi fa “tu hai bisogno di una moglie”, e sorride. Io rispondo “si’, certo”, ma lui insiste “vedi conosco un’egiziana che farebbe al caso tuo, una nice egyptian girl”. Non so proprio cosa dire, sorrido, lo saluto e me ne vado. Ma questa volta mi dice qualcos’altro. “Sai, sono malato, qualche settimana fa mi sono svegliato e non ci vedevo piu’ da un occhio. I dottori non sanno ancora bene, forse ho la sclerosi.” . Sono come fulminato, ma riesco a mantenere la conversazione, anzi lui ci riesce, con una soavita’ e leggerezza incredibile, e mi parla di come la sua vita sta cambiando, delle sue nuove abitudini quotidiane. Si sveglia molto presto, ora, e prega. Lavora un po’ e poi dorme un po’ il pomeriggio, si sente molto stanco. Entrano altri clienti, il suo racconto si interrompe. Prendo il giornale con il resto e me ne vado. Lui mi sorride. Fuori c’e’ il sole, una splendida giornata, glorious sunny day of a british summer.

Pubblicato in Greg

Noodles è solo

…Il 7 Gennaio, ore 00.55…..

Mia moglie dorme, ed io vedo la fine di questo grande film.

Cosa sogni, Noodles, quando sorridi alla fine, nella casa dell’oppio?