Dannato

Mi chiamo Vyachislav, e sono dannato. Vengo dalla Buriazia, un paese che voi non conoscete, nel sud della Siberia, al confine con la Mongolia. Resistiamo all’inverno feroce, godiamo del tepore estivo, sulle rive del Bajkal. Ho gli occhi a mandorla, sono magro e ho vent’anni. Mio padre fa il pastore, ma ho voluto arruolarmi per prendere un po’ di soldi e uscire dalla steppa. Una mattina di Febbraio mi hanno caricato su un aereo e mi hanno portato all’Ovest. Un’esercitazione, che è diventata un’operazione speciale, così la chiamano gli ufficiali. E siamo entrati in un altro paese, dove parlano una lingua simile a quella che parlo io, ma gli abitanti hanno gli occhi tondi. Abbiamo percorso una strada lunga tanti chilometri, annoiati e stufi, poi siamo stati attaccati. Un’imboscata. Un drone dal cielo ha colpito il tank sul quale avevo dipinto la z bianca. Il mio amico Sergey, di un villaggio vicino al mio, è bruciato vivo dopo l’esplosione, mi sono salvato buttandomi per terra sul ciglio della strada, e ho sparato, sparato verso le finestre, verso le porte, verso le case, senza sapere chi colpivo, se ho mai colpito qualcuno. Siamo entrati in una fattoria, era diversa dalla mia, più bella, e abbiamo cacciato due vecchi colpendoli col calcio del fucile. La paura mi accompagna ogni momento, e si trasforma in una rabbia da lupi, mi fa diventare un demone. Sono stato appostato in una cucina devastata, aspettando il loro arrivo. Arrivavano e sparavo, i nostri tank con la z passavano e colpivano tutto, i loro razzi li facevano esplodere. Nelle pause, vedevo gli abitanti fuggire in macchina o a piedi. Ogni tanto tiravamo loro contro, il fuoco che ci bruciava dentro. Camminavamo in ronda, tra le macerie e gli alberi anneriti. Col terrore delle imboscate. Penso che loro provassero lo stesso, ma non li vedevo mai. Un giorno ci hanno ordinato di tornare indietro. Camminavamo sulla strada principale, abbiamo visto un tipo in bici che portava dell’acqua. L’ufficiale mi ha urlato “sparagli, è una spia!” Ho esitato un attimo, l’ufficiale mi ha puntato la pistola contro, e ha cominciato a bestemmiare. L’uomo si è fermato, gli occhi tondi mi hanno guardato e ho sparato. Una raffica, il tipo è saltato dalla bici con la testa esplosa. In una stalla vicina, da una finestra semichiusa, ho visto due occhi azzurri. Una ragazzina, avrà avuto tredici anni. Le ho rivolto contro il mitra, e lei si è ritirata, la sua treccia bionda ha ondeggiato per un attimo prima di sparire. La sera, in un’altra casa devastata, mi hanno dato due pasticche per farmi dormire. Vlad mi ha passato del fumo, e mi sono accucciato, col mitra al mio fianco. Ho pensato al lago Bajkal, prima di addormentarmi. Gli occhi azzurri, nel sogno, mi hanno sorriso, poi è comparso uno di quei draghi cinesi di cui mi raccontavano quando ero bambino, e mi ha sputato addosso il fuoco. Sono dannato, e non volevo. Il giorno dopo mi hanno trasportato in un altro paese, ho spedito a casa un telefonino e un televisore da quaranta pollici che ho preso ai due vecchi. Domani tornerò lì, al fronte, e so che forse non ne uscirò vivo. Un missile, una granata, un drone nella terra delle case devastate e del fango scuro. So che comunque vada, ne uscirò dannato.